L’Olmo de la Dèzima. E altri alberi

La Dèzima la xe na contrà che se cata poco distante da la ciesa de Sanden, e na volta la jera na gran corte co du gran granaruni, uno soto e uno sora, indo’ che la jente de na volta i naséa a consegnare el fromento e la pulenta de la dèzima parte de quelo che vegnéa fora da i canpi, che la sarìa stà cofà na tassa de quele che se paga ‘desso.
[..]
Par farse na idea de cossa che jera l’olmo de la Dèzima, basta pensare che siè òmani no i jera boni da brazarlo, e che soto la so onbrìa podéa starghe benon zinquanta, sessanta cariti e che na scoadra de tusi i podéa dugare a calcio o a bandiera senza mai nare al sole. Soto la so onbrìa ghe jera na frescura ca no te la catavi soto gnessun altro àlboro e lo ghea capìo ben anca i zìngani che, de lujo-agosto, i ghe se refujava co do tre garavane ogni ano.
Có ghe jera la cavalarìa a Montagnana, i militari i naséa soto l’olmo a fare istruzion, e in tenpo de guera i tidischi, anca cò ‘l jera senza foje, i ghe metéa soto i so cariaji parché no i fusse visti dai reoplani maricani.
Par narghe inzima no jera miga tanta fadiga parché la mura te faséa da scaleta, ma inveze par narghe in crìchigna la roba jera difarente. Na volta ghe son nà sù anca mi: me so’ visto perso, me paréa da èssare ‘nt’on bosco e l’onbrìa la jera cussì gajarda che te paréa da èssare ‘nte l’inbrunire.
Có ghe naséa ‘nte la crìchigna chel’altri, me tirava drio la stradela par védarli e i me paréa picinini che mai.
De istà ‘nte l’olmo ghe jera on stravento de osei e de gnari, la pi parte de rejèstola, finco, rudeto e de pitirosso, ma da coando che la bola de Sanden i xe nà là dessora par farse on posto da dugare a carte, sti osei i xe nà via tuti.
‘Nte le ostarìe o dal barbiere, có se parlava de l’olmo de la Dèzima vegnéa fora de tuto. Ghe jera uno che ‘l tegnéa dito che, par conto soo, l’olmo la jera una de le sete maraveje del mondo. Nantro diséa che al tenpo de la guera del ’15 xe vegnù, descondon, a védarlo la Rejina Elena. Nantro ancora diséa che lo ga fato piantare Napoleon, ma l’olmo de sicuro el jera tanto pi vècio, e ghe xe poco da crédare anca a quei che diséa che le raise de l’olmo rivava fin soto la ciesa de Sanden. Po’ ghe jera quelo che diséa che l’olmo lo gavarìa piantà i frati del convento de San Jorjo che jera lì rente. El maestro del paese diséa inveze che forse, indo’ che ghe xe la Dèzima, el Chisogno ghe jera on gran bosco e che po’ i gai cavà tuti i àlburi e che i ghe gai assà carlì parché, forse, el faséa da confine. Ma mi a digo che coando e come che l’è nato no lo sa gnissun e no lo savarà mai gnissun. Se podéa inveze stabilire coanti ani che ‘l ghea có xe sta tolta la vergognosa decision da butarlo dó.
A ghea on amico che da tanti ani el jera nà a stare a Turin e che ogni tanto el vegnéa coà a védare el so paese indo’ che l’è nato. El me ga contà che coando no ‘l ga pi visto l’olmo de la Dèzima xe stà cofà che ‘l ghesse ciapà na s-ciopetà ‘ntel core. E po’ el ga seguità: “Ma quei del Comune indo’ jèrili? Parché che l’olmo lì no ‘l ghea on paron, ma el jera de tuti. A jera mèjo che a quelo che ga dà l’órdane de cavarlo, a che ‘l dì lì, ghe fusse vegnù na malatìa. Parché, vìdito, se ‘l ghe fusse oncora, a Montagnana vegnarìa pi jente par védare l’olmo ca no fa par védare le mure o el domo!” E có ‘l me diséa ste robe ghe vegnéa da piàndare.

Tratto dal libro: Có cantava le rejèstole – Raccolta di racconti di Bepi Famejo, 1998

(Qui il testo tradotto dalla lingua veneta in italiano)
Foto personale

Oggigiorno sempre più spesso in tutta Italia, sia nelle grandi città che nei piccoli centri, sia in pianura che in montagna si formano comitati contro il taglio di alberi: si progettano nuove strutture e si tagliano alberi secolari e si promette di rimpiazzarli con alberi ad alto fusto. Ma anche i non tecnici sanno che c’è un limite alla messa a dimora degli alberi.

L’agronomo Daniele Zanzi, apprezzato divulgatore delle corrette pratiche di arboricoltura che viene spesso interpellato per avere un parere sui possibili tagli di alberi, afferma infatti che la sostituzione è una barzelletta, è una scusa per dire distruggo rinnovando.

Le piante possono vivere senza di noi.
Ma noi possiamo vivere senza le piante?

Sappiamo che le piante sono essenziali:

  • per effetto della fotosintesi clorofilliana rilasciano ossigeno e assorbono l’anidride carbonica, contribuendo così a ridurre gli effetti negativi degli inquinanti come ad esempio quelli prodotti dagli allevamenti intensivi
  • le fronde degli alberi sono un prezioso filtro per le “polveri sottili”, le particelle fini prodotte in gran parte dai motori a scoppio, dal riscaldamento domestico, dalle industrie, perciò riducono l’inquinamento
  • le loro radici  trattengono il terreno, lo proteggono, limitano il rischio di frane e di alluvioni
  • un’ampia copertura vegetale attutisce l’impatto sul terreno dei forti e improvvisi acquazzoni, ormai così frequenti, consentendo un graduale assorbimento dell’acqua.
    Il terreno infatti, dopo mesi di siccità si presenta secco e compatto e l’acqua scivola via, provocando allagamenti in pianura ed erosione e smottamenti in collina e sui monti, trascinando tutto a valle per effetto della forza di gravità.
    Il danno ambientale ed economico che ne deriva lo vediamo ogni anno.

Occorre dare un valore economico
a un valore ambientale.

Come posso sostituire una pianta, una quercia di circa ottant’anni e alta 30 metri, di quante piante ho bisogno per avere lo stesso valore ambientale? E di quanto spazio in più avrei bisogno per metterle a dimora? E quanti anni impiegherebbero per arrivare a quello stadio? Ammesso e non concesso che per tutto il tempo necessario, queste piante sopravvivano.

Tutto quello che viene detto è: sostituiamo. Ma cosa vi lamentate voi cittadini? Noi vi diamo nuovi alberi più efficienti. Ma non è assolutamente vero.

«Certo il PNRR sta diventando una sciagura per l’ambiente perché sembra un treno, che passa veloce carico di soldi, zeppo di soldi e c’è l’assalto al treno, alla diligenza da parte degli amministratori per accaparrarsi questi soldi, facendo dei progetti nel nome dell’ambiente ma eliminando e distruggendo l’ambiente. Una vera iattura sarà questo PNRR così come sta per essere gestito».

Per pigliare quattrini da Bruxelles
basta fare il nome magico dell’ambiente.

E così nel progettare nuovi edifici, nuove strutture si distrugge e si riqualifica, ma non si pensa a investire per conservare il patrimonio arboreo così importante per il territorio, per le nostre città affinché gli alberi possano sopravvivere.

«Impiegate questi soldi per togliere il cemento ai piedi degli alberi! Impiegate questi soldi per mantenerli correttamente, non rovinarli con le potature! Impiegate questi soldi per dare ossigeno al terreno e agli alberi, per metterli in condizioni migliori e non per mettere del nuovo! Ma poi chi li mantiene tutti questi alberi?»

Ci vuole il buon senso!
Il vero progettista non è quello che distrugge
ma quello che tiene conto dell’esistente.


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Gli alberi ci regalano gratuitamente una bella frescura, quella di cui abbiamo estremo bisogno nella stagione estiva. È bello riuscire a convincere una persona anziana ad uscire di casa, passeggiare con i bambini, lasciar giocare il cane all’ombra di grandi alberi, sedersi insieme sotto il tiglio che nella stagione della fioritura emana quel profumo inebriante… che bei ricordi…
Peccato che ci siano così poche panchine…
La gioia nel sentir frusciare le foglie degli alberi mosse dal vento, è come ascoltare una voce primitiva che sussurra da lontano, e qualche movimento appena accennato rivela che qualcuno lo abita, vi ha trovato casa.
Ma poi arriva il “potatore selvaggio”…
taglia i rami con quell’assordante motosega, a volte senza scala con delle prolunghe che usa a mo’ di spada. Zic! Zac! …montandosi un po’ la testa, lo spadaccino.
Alla fine restano dei tristi monconi orribili a vedersi, oppure modifica le loro chiome tanto da toglier loro ogni dignità, sia nei borghi che nelle città. Succede dappertutto!
L’estate successiva è chiaro: o l’albero è morto (dai! verrà sostituito…), oppure la sua ombra sarà talmente misera che cani, anziani e bambini sarà meglio rimangano a casa, al fresco del condizionatore d’aria!!

Pare poi che di questi tempi manchino proprio le piante per la messa a dimora di nuovi alberi e per i rimboschimenti, ci sono richieste per un consistente numero che non c’è.
Le  piante di specie autoctone, al fine di tutelare la biodiversità, erano solitamente fornite dai vivai forestali pubblici, molti dei quali erano gestiti dal Corpo forestale dello Stato che dal 2017 è stato assorbito nell’Arma dei Carabinieri. Il passaggio e i mancati investimenti hanno portato negli ultimi anni all’abbandono di molti di questi vivai pubblici, mentre il settore privato ha puntato più sulla vivaistica ornamentale e frutticola.


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Tra i rami dei grandi alberi mi sono arrampicato per guardare il cielo, dietro i loro tronchi mi sono nascosto al nemico o ho aspettato una preda, con la loro frutta mi sono sfamato, con il loro legno mi sono riscaldato; a loro devo di certo la mia vita dopo la nascita: sarà per questo che quando mi avvicino ad uno di loro sento commozione dentro il petto; e quando gli sono accanto, senza farmi vedere, lo accarezzo. Dei più belli ripongo in tasca un pezzetto di corteccia, o una foglia, o una briciola di radice ed è come se avessi in dono un poco della loro secolare vita.

di Mario Rigoni Stern, in AA.VV., Gli alberi monumentali d’Italia, 1989


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Il nostro rapporto con la natura è cambiato.
Il botanico Stefano Mancuso ci fa notare che abbiamo la tendenza a non vedere le piante, siamo ciechi verso questa forma di vita così diversa da noi. Eppure di fatto le piante rappresentano la stragrande maggioranza di quello che è vivo sul nostro pianeta: gli animali tutti insieme rappresentano solo lo 0,3% a fronte di un 85% di vita vegetale. Pertanto dovremmo ridimensionarci e comprendere che sul pianeta Terra sono le piante ad essere gli esseri dominanti, mentre la presenza animale è registrabile soltanto in tracce.

Le piante sono esseri complessi, sono organismi molto più raffinati, adattabili e intelligenti di quanto siamo soliti pensare.
È ormai assodato che le piante sono dotate di capacità di senso, addirittura superiori a quelle degli animali, sono in grado di percepire un numero di parametri quali: luce, temperatura, gravità, gradienti chimici, campi elettrici, tocco, suono ecc. che le rende esseri estremamente sensibili all’ambiente che le circonda.
Oltremodo tendiamo a dare più attenzione alla parte che emerge degli alberi, dimenticando che sottoterra c’è una quantità altrettanto grande in massa che rimane nascosta, ma che svolge il 90% delle funzioni più particolari e straordinarie della vita degli alberi.

Quando pensiamo alle piante immaginiamo degli esseri passivi, che non hanno capacità complesse simili a quelle del mondo animale. In realtà senza muoversi le piante comunicano fra loro e con gli altri esseri viventi, e per comunicare utilizzano tutta una serie di strategie come segnali elettrici o attraverso molecole chimiche che vengono emesse nell’atmosfera.

Pensa che in un albero
c’è un violino d’amore.
Pensa che un albero
canta e ride.
Pensa che un albero
sta in un crepaccio,
e poi diventa vita.

Alda Merini

Il larice di Pietraporzio cresce abbarbicato a una roccia e si erge solitario in un vallone in provincia di Cuneo (Piemonte).
Il cercatore di alberi Tiziano Fratus, scrittore e poeta di Bergamo, racconta che questo albero monumentale si stima abbia almeno 650 anni. Nella zona è conosciuto come il “Lou merze gros” (il larice grosso) il cui fusto misura 23 m di altezza e ben 6,60 m di circonferenza. È un esemplare che ha un suo posto nella memoria popolare del luogo ed è ancora un punto di riferimento per montanari ed escursionisti.

Sparsi nell’arco alpino ci sono centinaia di larici ultrasecolari che, nonostante le proteste dei residenti, vengono spesso sacrificati per nuovi impianti sulla neve.

L’albero solitario ha una sua forza, unica, osserva Stefano Mancuso, di fronte a un albero come questo diventa evidente l’umiltà riguardo alla vita, riguardo all’essere migliori.
Per me sono la rappresentazione stessa dell’idea di intelligenza, intesa in un valore più ampio di ciò che normalmente noi intendiamo. È un albero solitario, è un albero che ha resistito a cambiamenti enormi dell’ambiente, a un’incredibile successione di problemi che ha saputo risolvere.

Il salice piangente del resto ci insegna come nella vita sia fondamentale apprendere l’arte della cedevolezza con i suoi flessibili rami che si piegano sotto il peso della neve, come accadde in un giorno d’inverno giapponese.

Little Willow è una canzone che Paul McCartney, ex Beatles, scrisse nel 1994 quando apprese la notizia della morte per leucemia di Maureen Cox, la prima moglie di Ringo Star. Il brano venne inciso e pubblicato all’interno del suo album “Flaming Pie” nel 1997, proprio l’anno in cui Linda, la moglie di Paul, scoprì di avere un cancro che la portò alla morte l’anno successivo.

Tutto comincia e finisce con le piante.
Dalla possibilità di vivere su questo pianeta
al piacere di ascoltare la voce di un violino,
all’inizio di ogni storia c’è sempre una pianta.
La maggior parte di queste
rimangono per sempre sconosciute.

Stefano Mancuso

L’abete rosso del bosco di Paneveggio in provincia di Trento, non tutti sanno che regalò ad Antonio Stradivari, famoso liutaio italiano, il legno per i suoi celebri violini. Il legno di questa pianta molto comune sulle nostre montagne si caratterizza per essere leggero ma molto resistente ed elastico, opportunamente lavorato offre ottima qualità di amplificazione del suono. Per questo motivo viene chiamato “legno di risonanza” e viene utilizzato nella costruzione delle tavole armoniche degli strumenti a corda.

L’albero ha la storia scritta nelle venature. Specie l’abete rosso, il legno di risonanza dei liutai, quello con la più veloce diffusione del suono. Svela sempre la sua origine, l’età, i climi che ha vissuto, luogo per luogo.

Paolo Rumiz

L’abete rosso sull’isola di Campbell, che si trova tra la Nuova Zelanda e l’Antartide, è l’albero più solitario del mondo. Un albero che cresce in situazioni così estreme è l’esemplificazione della straordinaria forza della vita, della capacità che la vita ha di vincere sempre.

Come le sequoie giganti che Tiziano Fratus ha incontrato attraversando le foreste della California.

Le sequoie giganti della California, la specie vegetale più alta e più longeva del mondo possono vivere oltre 2.000 anni. La maggior parte di esse possono superare i 100 metri d’altezza e raggiungere un diametro alla base del tronco di oltre 7 metri; si trovano all’interno di parchi nazionali al fine di poterle proteggere.
Nella seconda metà del 1800, infatti, molte sequoie plurimillenarie vennero abbattute dagli uomini proprietari di imprese di legname, subodorando la possibilità di far soldi anche nell’esibirle nelle grandi città, vista la loro incredibile altezza. Per realizzare ciò si ricorse all’espediente di utilizzare solo la corteccia.
La Madre della foresta, una delle sequoie più alte, venne così spogliata della corteccia fino all’altezza di trentasei metri, venne spedita intera via mare, rimontata su una struttura ed esibita come albero da esposizione al Crystal Palace (enorme costruzione in vetro e ferro) di New York, e successivamente al Crystal Palace di Londra.
Tale distruzione provocò una serie di proteste pubbliche e dagli anni trenta del Novecento all’istituzione di parchi protetti. Ma il disboscamento delle foreste non si arrestò provocando danni alle zone circostanti, già messe a dura prova dagli incendi e dalle tempeste.
Per protesta nel 1997 l’attivista Julia Butterfly Hill si mobilitò e salì su una sequoia a circa 55 metri di altezza dove rimase per quasi due anni.

Meno protetta è invece la Foresta Amazzonica nel cuore della quale sono stati scoperti alberi enormi, che si ritiene siano molti di più nelle zone inesplorate. La foresta amazzonica che si sviluppa sul territorio di ben nove Stati sudamericani, è la foresta pluviale più grande rimasta sulla Terra. Ospita una straordinaria varietà di specie animali e vegetali da cui dipendono le popolazioni indigene della regione, specie ancora in parte sconosciute, altre che si stanno studiando. Come nel film Mato grosso (1992) diretto da John McTiernan in cui un medico e una ricercatrice trovano nella foresta la cura per il cancro, ma sta per essere perduta con l’avanzata dei bulldozer che abbattono gli alberi per costruire una strada.
Quello della foresta pluviale è di fatto un habitat messo sempre più in pericolo dall’uomo con l’agricoltura industriale e gli incendi, specie in territorio brasiliano dove si è notevolmente ridotta. Gli allevatori e gli agricoltori disboscano la foresta e bruciano i detriti per far posto a coltivazioni e bestiame.

«L’Amazzonia ci riguarda tutti»
Sebastião Salgado

La Foresta boreale del Canada è la più grande foresta vergine del mondo che si estende da nord-ovest nella regione dello Yukon al versante orientale nella regione del Quebec.
Nella parte occidentale della foresta di conifere si trovano alberi giganti alti fino a 80 metri alcuni dei quali con più di mille anni, alberi secolari che nella Columbia britannica sono stati in gran parte abbattuti per ricavarne legno e cellulosa, nonostante la resistenza pacifica degli attivisti locali.
È questo uno degli ecosistemi più rari costellato di laghi, fiumi e zone umide, messo in serio pericolo dall’uomo con le attività di disboscamento industriale e gli incendi, che stanno decimando anche la fauna selvatica privata del suo habitat.
Nelle terre dell’Alberta, una regione ricca di sabbie bituminose che ospita parchi dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, le popolazioni indigene si trovano costrette a vivere circondate da miniere superficiali e pozzi che estraggono il bitume, una miscela di idrocarburi naturali, con costi ambientali estremi. Il Canada nel cui sottosuolo ci sono giacimenti di quasi tutti i minerali, in campo energetico oltre al bitume estrae carbone, petrolio e gas naturale qualificandolo come un importante produttore e primo esportatore di greggio verso gli Stati Uniti.

Quando avremo abbattuto l’ultimo albero,
pescato l’ultimo pesce,
inquinato l’ultimo fiume,
allora ci accorgeremo
che il denaro non si può mangiare.

In Italia un gruppo di sequoie giganti si trovano nel parco del Castello di Sammezzano, nel comune di Reggello in Toscana, un parco storico che custodisce un patrimonio botanico di inestimabile valore.
A Longarone (Belluno) una sequoia gigante porta il segno indelebile del disastro del Vajont ed è stata dichiarata albero monumentale dalla Regione Veneto, che da anni valorizza il sentiero dei Grandi Alberi che attraversa la piana di Recoaro Mille (Vicenza).

Nel 2018 la Tempesta Vaia ha sradicato molti grandi alberi e causato l’abbattimento di milioni di piante, distruggendo decine di migliaia di ettari di foreste alpine.
Inoltre ha creato le condizioni per la diffusione del bostrico (Ips typographus), un piccolo insetto coleottero presente naturalmente nei boschi di abete rosso dell’arco alpino. Ma l’enorme quantità di piante danneggiate e in decomposizione che sono rimaste disperse nei boschi ha prodotto un’infestazione destinata a durare qualche anno, e che sta producendo ingenti danni.
Il bostrico colonizza singole piante indebolite o sotto stress, prevalentemente l’abete rosso sotto la cui corteccia si sviluppa e si riproduce scavando intricate gallerie che interrompono il flusso della linfa, portando in breve tempo la pianta alla morte.
L’abbattimento delle piante infestate così come il rimboschimento richiedono professionalità e tempo, al fine di tutelare l’equilibrio delle piante sane. La gestione stessa delle foreste, anche per quanto riguarda gli incendi, è una materia molto complessa che richiede una certa esperienza per attivare strategie mirate che tengano conto di più fattori.

Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi li sa ascoltare, conosce la verità. Essi non predicano dottrine e precetti, predicano, incuranti del singolo, la legge primigenia della vita.

da Il canto degli alberi di Hermann Hesse

A Belluno, la bella Val Visdende, la valle tanto amata da Papa Wojtyla circondata da maestosi boschi di abeti rossi, non è stata risparmiata dalla Tempesta Vaia. Nel 2022 un grande abete rosso “di risonanza” di 250 anni è stato abbattuto poiché aveva iniziato a colorarsi di giallo, marrone e rosso, uno dei segnali più evidenti dell’attacco del bostrico.

C’è un uomo col violoncello in un bosco d’abeti ancora coperto di neve. Lo strumento ha cinque secoli, è fatto col legno di quella foresta. L’uomo lo appoggia a un tronco, incastra il puntale nella corteccia, lo accorda, attacca una suite per violoncello solo di Bach. Le note svegliano l’albero quasi immediatamente e succede. L’albero – un gigante di trenta metri – reagisce. Si sveglia, risuona nelle fibre, diventa un prolungamento del liuto. Di più. Mezza foresta suona…  è il bosco intero che risponde.

Lo strumento è suonato da un grande del violoncello mondiale, il veneto Mario Brunello, uno che da piccolo voleva fare il guardiaboschi.

Liberamente tratto da: Il legno che canta nella foresta degli alberi-violino di Paolo Rumitz

Il platano orientale dell’Orto botanico di Padova messo a dimora nel 1680 è un albero storico imponente la cui singolare particolarità è il possedere un fusto cavo, probabilmente come conseguenza di un fulmine, la pianta comunque continua lo stesso a vegetare.
Questo tipo di platano è originario del bacino del Mediterraneo Orientale, è un albero longevo e resistente dalla chioma fitta e molto ombrosa. Uno spettacolo della natura!

L’Orto botanico di Padova è stato fondato nel 1545 per la coltivazione delle piante medicinali. È il più antico orto botanico al mondo ancora nella sua collocazione originaria. Dal 1997 è Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

È vitale la necessità di ritornare a quel rapporto originario, tra esseri umani e natura, per poter comprendere quali sono i veri e reali bisogni dell’essere umano e dare un senso alla propria vita.

È ciò che sosteneva Henry David Thoureau, scrittore, poeta e filosofo statunitense. Egli scelse a ventisette anni di allontanarsi dal rumore delle grandi città, dagli obblighi e dalle trappole sociali che alienano l’uomo, preferendo una vita semplice, essenziale. Per questo decise di vivere da solo per quasi due anni, tra il 1845 e il 1847, in una piccola capanna di legno in un bosco vicino al laghetto Walden nel Massachusetts. Esperienza che raccontò nel suo libro “Walden ovvero Vita nei boschi” pubblicato nel 1854.

Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.

Questa frase di Thoreau viene citata nel magnifico film  L’attimo fuggente (1989) nel momento in cui il gruppo di studenti riporta in vita la “Setta dei poeti estinti”.

Il suo fu un messaggio profetico, che metteva in guardia dai pericoli della civiltà industriale che si stava affermando, e che portava con sé un’illusione di felicità.
Egli pose l’attenzione sulla dimensione etica delle scelte individuali che l’uomo compie, e sulla disobbedienza civile come forma di resistenza in presenza di leggi ingiuste; fu fonte di ispirazione per Gandhi e Martin Luther King e per i grandi movimenti di protesta non violenta.
Thoreau sosteneva l’idea di una responsabilità personale anche nei confronti della natura.

L’uomo deve sentirsi parte della natura che guarda nella natura, piuttosto che una forza esterna padrona della natura.

Il suo pensiero anticonformista e i suoi libri, che ancora oggi si studiano nelle scuole statunitensi, sono state e sono tuttora fonte di ispirazione per molte persone nel corso degli anni portandole a cambiare il modo di intendere la vita, e indirettamente a impegnarsi per proteggere le foreste e per istituire alcune riserve naturali americane. Thoreau divenne una vera e propria icona specialmente per la Beat Generation e la controcultura giovanile Hippy, generazioni stanche delle ipocrisie e dei confini imposti dalla cosiddetta società civile.

Thoreau era anche tra gli autori preferiti, insieme a Tolstoj e Jack London, di Chris McCandless della cui storia racconta il film Into the wild – Nelle terre selvagge (2007) e il libro Nelle terre estreme di Jon Krakauer pubblicato nel 1996. Il libro racconta il lungo viaggio che il ventiduenne Chris intraprese dopo aver conseguito la laurea, lasciatosi tutto alle spalle girovagò tra Stati Uniti e Messico e trascorse gli ultimi mesi della sua vita nei boschi dell’Alaska all’interno del Parco nazionale del Denali.

Dobbiamo creare
– come le radici delle piante –
reticoli di fiducia e di speranza.

Giulia Maria Crespi
fondatrice FAI

Io sono il Legno venuto dal mare.
Ero 
sfinito, a pezzi, ricordate?

Con il legno delle barche usate dalle persone migranti per arrivare a Lampedusa sono stati costruiti gli strumenti ad arco dai detenuti che lavorano nella liuteria del carcere di Opera, in Lombardia.

Leda

A piantar un albero

Alberi e uomini

La festa degli alberi negli anni sessanta

Alberi e Feste

L’albero del pane

Il segreto del bosco vecchio

Uno sviluppo sostenibile,
un futuro migliore

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