La genuinità perduta

UMORISMO E SATIRA

Noto soprattutto per le sue opere satiriche è lo scrittore inglese William Thackeray (1811-1863), in particolare per La fiera delle vanità (1848).
Tema che fa sempre discutere la vanità. Comunemente è considerata tutt’altro che una virtù, eccedere nell’amor proprio è una forma di narcisismo che porta a sopravvalutarsi, a diventare superbi, a dare più valore all’apparenza che non alla sostanza e a cadere spesso vittime di lusinghe, come in Dorian Gray.

Un’ottima recensione del libro: La fiera delle vanità. Romanzo senza eroe.

È un romanzo che ha avuto numerose trasposizioni per lo schermo sin dal 1911.

È del 1967 uno sceneggiato televisivo dal titolo omonimo diretto da Anton Giulio Maiano. L’ultimo film, Vanity fair diretto da Mira Nair del 2004 splendidamente interpretato da Reese Witherspoon nella parte di Becky Sharpe, la protagonista.

Dello stesso autore sono Le memorie di Barry Lyndon, o più dettagliatamente:
Le memorie del gentiluomo Barry Lyndon, del regno d’Irlanda. Comprendenti un resoconto delle sue straordinarie avventure e sventure; le sue sofferenze al servizio di Sua Maestà il defunto Re di Prussia; le sue visite a numerose corti d’Europa; il suo matrimonio e le sue splendide dimore in Inghilterra e Irlanda; e le molte e crudeli persecuzioni, cospirazioni, e calunnie di cui egli è stato vittima. (Traduzione di Tommaso Giartosio)

Dal romanzo è stato tratto il film Barry Lyndon di Stanley Kubrick del 1975, una delle più grandi opere cinematografiche mai realizzate.

Il Barry Lyndon di Kubrick è un film fortemente visivo, talmente ricco di immagini e riferimenti estetici (dovute alle vastissime ricerche condotte dall’autore) da farne la più ampia e rigorosa rappresentazione del Settecento che il cinema abbia mai prodotto. Sono state utilizzate per l’appunto delle lenti rivoluzionarie, studiate dalla Zeiss per la NASA, oltre a nuove macchine da presa messe a punto dalla Panavision. Una ricca colonna sonora, crea l’atmosfera con brani di Bach, Schubert, Händel, Mozart e Vivaldi. Nella parte di Barry Lyndon l’affascinante Ryan O’Neal, indimenticabile interprete di Love Story (1970).

Ritenuto tra i maggiori scrittori umoristici inglesi è Jerome Klapka Jerome (1859-1927) scrittore, giornalista britannico. Lontano dai modi della farsa, del facile gioco di parole, dell’allusione oscena, il suo umorismo scaturiva anche dall’osservazione delle situazioni più comuni e quotidiane.
Come Charles Dickens, Jerome iniziò a lavorare presto essendo rimasto senza genitori, all’età di 13 anni fu assunto dalle London and North Western Railway a raccogliere carbone lungo le ferrovie. La sua opera più famosa è il romanzo umoristico Tre uomini in barca (1889), nato quasi per un malinteso, inizialmente doveva essere una guida turistica e doveva intitolarsi “La storia del Tamigi”. L’editore della rivista sulla quale venne pubblicato il racconto, fortunatamente, pretese di tagliare le digressioni storico culturali e questo fatto sancì l’enorme successo con il quale venne accolto il libro, snellito ma pieno di gag umoristiche. Il romanzo contribuì significativamente a fare del Tamigi un’attrazione turistica e fu adattato per film, show per la TV e la radio, per il teatro ed anche per il musical. Il suo stile letterario influenzò molti umoristi e satirici in Inghilterra e altrove.

Tipico humor inglese è quello di Sir Pelham Grenville Wodehouse (1881-1975) scrittore inglese, maestro riconosciuto della lingua inglese e di stile, fu un autore molto prolifico di romanzi leggeri e vitalizzanti, raccolte di racconti e una commedia musicale. Collaborò alla composizione della canzone “Bill” che rielaborata, ebbe grande successo in Show Boat, un musical del 1927 composto da Jerome Kern.

Primo dei musical americani, Show Boat è un genere completamente nuovo e segna un determinante distacco dallo stereotipo dell’operetta degli anni 1890 e dalle “Follies” dei primi anni del XX secolo, così definite a Broadway. La trama narra la vita di coloro che lavorarono sul Cotton Blossom, un’imbarcazione che navigò sul fiume Mississippi dal 1880 al 1927. L’argomento base della trama è imperniato sui pregiudizi razziali e sulla storia di un tragico amore.
Tra le versioni cinematografiche in quella del 1951 diretta da George Sidney, a interpretare la canzone “Bill” è Ava Gadner, indimenticabile attrice che seppe ben dosare il suo fascino e il suo talento.

Il musical Show Boat è basato sul romanzo omonimo di Edna Ferber, scrittrice statunitense di origini ungheresi, che si interessò alla scomparsa di un fenomeno del sud degli Stati Uniti: gli showboat, battelli che venivano usati come teatro galleggiante. Edna Ferber è autrice anche del leggendario Giant (Il gigante, 1952) da cui fu tratto il film Il gigante (1956) diretto da George Stevens e interpretato da James Dean.

Profondamente disinteressato alla politica e agli affari mondiali, Wodehouse ebbe qualche problema in patria per aver condiviso il suo humor con il nemico durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1940 fu infatti fatto prigioniero dai tedeschi che lo persuasero a fare una serie di trasmissioni radio da Berlino, usando come base alcuni dialoghi umoristici con cui aveva intrattenuto gli altri prigionieri. L’Inghilterra in guerra non era dell’umore giusto per battute a cuor leggero e le trasmissioni generarono numerose accuse di collaborazionismo e perfino tradimento, tanto che alcune biblioteche bandirono i suoi libri.

Tra i suoi maggiori critici c’era A. A. Milne (1882-1956) scrittore britannico, autore di una serie di libri di Winnie the Pooh. Il suo primo libro, Winnie Puh del 1925, era in gran parte una trascrizione delle storie che Milne stesso era solito raccontare a suo figlio Christopher Robin, che è anche il protagonista dei racconti insieme ai suoi animali di pezza, tra cui il celebre orsacchiotto Winnie Puh. Personaggi divenuti successivamente, una volta acquisiti i diritti, uno dei marchi di maggior successo della Walt Disney, realizzando film d’animazione, cartoni animati, libri e merchandising di ogni tipo.

«Ooh, Pooh… Semmai ci sarà un domani in cui non saremo insieme c’è una cosa che devi assolutamente ricordare»
«E quale sarà mai questa cosa, Christopher Robin?»
«Che sei più coraggioso di quello che credi, e più forte di quello che sembri, e più intelligente di quello che pensi. Ma la cosa più importante è, che anche se noi saremo lontani, io sarò sempre con te. Io sarò sempre con te. Io sarò sempre con te… »

Tra i suoi difensori, Wodehouse ebbe invece George Orwell (1903-1950, pseudonimo di Eric Arthur Blair), giornalista, saggista, scrittore e attivista britannico. Conosciuto come opinionista politico e culturale, ma anche noto romanziere, Orwell è uno dei saggisti di lingua inglese più diffusamente apprezzati del XX secolo. Meglio noto per due romanzi scritti verso la fine della sua vita, negli anni quaranta: uno è l’allegoria politica de La fattoria degli animali.

«Gli animali da fuori guardavano il maiale e poi l’uomo,
poi l’uomo e ancora il maiale: ma era ormai impossibile
dire chi era l’uno e chi l’altro»

Orwell con questa frase vuol sottolineare in modo ironico l’utopia del comunismo: nessun uomo riuscirà mai a debellare il desiderio di potere. Gli ideali di uguaglianza e fraternità proclamati al tempo della rivoluzione sono traditi da un unico comandamento che si sostituisce agli altri sette:

«Tutti gli animali sono uguali,
ma alcuni sono più uguali degli altri»

L’altro romanzo è 1984, appartiene a quella serie di romanzi come Il mondo nuovo (1932) di Aldous Huxley (suo insegnante a cui s’ispirerà) che compaiono nell’Europa del Primo e del Secondo Dopoguerra, caratterizzati da un profondo pessimismo, segno di una crisi di valori che colpisce la fiducia della borghesia e degli intellettuali nel positivismo e nelle ideologie da esso derivate, compreso il comunismo. Entrambi descrivono una così vivida distopia (termine contrario a utopia) totalitaria dall’aver dato luogo alla nascita dell’aggettivo «orwelliano», oggi ampiamente usato per descrivere meccanismi totalitari di controllo del pensiero.

LA GENUINITÀ PERDUTA

Un senso di genuinità perduta è riscopribile nei racconti fantastici di Joseph Rudyard Kipling (1865-1936) scrittore e poeta britannico, di cui si ha una ricca produzione. La sua opera più nota è Il libro della giungla (1894), seguito da Capitani coraggiosi (1897), due racconti per ragazzi divenuti strumenti pedagogici nello scoutismo.

Le opere di Kipling riflettono un’ infanzia infelice, una dura educazione giovanile con cui si tentò di domare il suo spirito selvaggio attraverso punizioni fisiche e psicologiche, tipiche della rigida tradizione puritana e dell’educazione ottocentesca inglese. Considerati a lungo un capolavoro della letteratura infantile, dai suoi libri sono stati tratti numerosi film, ben due su Il libro della giungla prodotti da Walt Disney nel 1967 e nel 2003, raccontano di Mowgli, il ragazzino che cresce nella giungla indiana, allevato come «cucciolo d’uomo» da una lupa; intorno a lui gli animali della foresta.

Ti bastan poche briciole,
lo stretto indispensabile
e i tuoi malanni puoi dimenticar.
Infondo, basta il minimo,
sapessi quanto è facile
trovar quel po’ che occorre per campar

Sotto la struttura della fiaba si nasconde un originale impianto ideologico, che mette a fuoco il problema del rapporto con la società, e del primato della legge morale sugli istinti primitivi. La Natura selvaggia viene addomesticata proiettandovi all’interno le leggi e le regole sociali della cultura vittoriana, e gli animali, coi loro difetti e le loro virtù, diventano campioni di umanità.

Da molti il romanzo Kim (1901) è considerato il suo maggior capolavoro, in cui la visione indiana della vita si configura come fuga nello spirituale dal “Grande Gioco” della Politica e dello spionaggio occidentale, un conflitto tra i valori religiosi delle antiche civiltà asiatiche e quelli del razionalismo europeo.
Ancor molto celebre e apprezzata è la sua poesia If (Se), scritta nel 1895 per il suo unico figlio maschio John, che in seguito, appena diciottenne, perse la vita nella Prima Guerra Mondiale.
Rudyard Kipling è stato a lungo considerato come il cantore dell’Imperialismo britannico, e tardi ci si accorse che invece egli esprimeva un’idea dell’Impero molto diversa da quella attribuitagli dai critici più superficiali. Il concetto dell’uomo bianco che porta la civiltà presso le popolazioni altrimenti condannate alla barbarie, giustifica il fatto che, se Kipling aveva una fede incrollabile nella missione imperialistica dell’Inghilterra, era perché la credeva capace di amare e rispettare le nazioni e i popoli a lei sottomessi. La tragedia del figlio e la lunga e sofferente malattia che accompagnerà l’autore fino alla morte, precipitano Kipling nella sua ultima e più tetra stagione narrativa. I suoi pensieri si colorano di amarezza e disillusione, e si caricano di considerazioni pessimistiche sul futuro stesso dell’Umanità.

Racconti labirintici e inquietanti sono quelli di Franz Kafka (1883-1924), scrittore boemo di lingua tedesca (la Boemia al secolo era una provincia dell’Impero austro-ungarico) nato in una famiglia medio borghese, di origini ebraiche che gestiva un emporio a Praga.
Il suo divenire vegetariano e il suo appassionato interesse per la letteratura furono causa di conflittualità con il padre, aspetto che influenzò buona parte delle sue opere. Così come dal punto di vista sentimentale non gli riuscì di raggiungere una stabilità, e iniziò a manifestare una certa avversione per il suo aspetto fisico e per il sesso.
Nel 1917 la diagnosi di una forma grave di tubercolosi polmonare lo costrinse a lunghi e spesso dolorosi periodi di cura che non mancarono di influenzare la sua produzione letteraria; la malattia lo condusse alla morte all’età di 40 anni.
Gran parte delle sue opere erano inedite e nel suo testamento Kafka aveva dato disposizioni perchè fossero distrutte; furono invece pubblicate dopo la sua morte e in breve tempo Franz Kafka divenne un autore molto conosciuto e i testi dei suoi libri sono oggetto di numerose e diverse interpretazioni.

Dall’opera di Kafka emerge l’immagine dell’uomo alienato in una moderna società industriale e di massa. Una società autoritaria, non a misura d’uomo, ben lontana dalle sue aspirazioni e incarnata dalla figura dominante del padre. Una società in cui l’uomo (e Kafka) si sente escluso per una colpa non ben compresa, sconosciuta. Un incubo fattosi realtà: quella di una condanna a una condizione di solitudine, di insignificanza, a un’esistenza priva di felicità e di libertà, realizzabili in un’altra dimensione parallela in cui poter trovare rifugio: quella del sogno o della pazzia.

«Kafka non si accontenta di cedere alla disillusione ma vuole indagare ciò che imprigiona la società e gli uomini sotto la neve, ne rimuove, per noi, lo strato candido e rassicurante per farci sapere che ciò che sembra terreno solido è in realtà anch’esso solamente apparenza.»

di Stelio Vascotto, da un commento all’articolo: “Franz Kafka e la metamorfosi” su Il Post

Di notevole interesse per la comprensione dei suoi scritti è la convinzione di Kafka che il destino dell’uomo – anche nella sua più banale quotidianità – sia sempre e comunque nelle mani di forze imperscrutabili e beffarde, imprevedibili e ingannevoli. Kafka con il suo stile sa esprimere i temi dell’alienazione interiore ed esteriore dell’io, mostra come nella vita ordinaria di uomini qualunque possa manifestarsi, all’improvviso, l’irreparabile perdita di contatto con la realtà ovvero l’emarginazione e il naufragio.

Le sue opere più famose includono i racconti La metamorfosi: in cui il protagonista, risvegliatosi una mattina, si ritrova trasformato “in un gigantesco insetto”, e Un digiunatore: un “artista della fame” che esprime il digiuno estremo come forma d’arte; si tratta di un individuo emarginato e vittima della società in generale.

Dal romanzo Il processo di Kafka è stato tratto il film dal titolo omonimo del 1962 diretto e intrepretato da Orson Welles con Anthony Perkins. È la storia surreale di un impiegato di nome Josef K. che viene accusato, arrestato e processato per motivi misteriosi. Il film è visivamente ricchissimo e tecnicamente si segnala per virtuosismi davvero inusitati per l’epoca, che rendono in pieno il pesante senso di soffocamento descritto dall’autore.

È a questo romanzo che si riferisce maggiormente il termine kafkiano, che è entrato nell’uso comune e si riferisce a situazioni assurde, paradossali e angoscianti.

Infine America, un romanzo giovanile di Franz Kafka scritto tra il 1911-14, rimasto incompiuto e pubblicato postumo in Germania nel 1927, descrive le quanto mai bizzarre peregrinazioni di un emigrante europeo di sedici anni nel Nuovo Mondo.
Quasi tutte le sue opere rimasero incompiute, e non a caso, poichè in questo si riflette l’impossibilità per Kafka di risolvere il proprio conflitto interiore attraverso la scrittura.

Paure e nevrosi

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *