La prima gravidanza la annunciai ad amici e parenti solo alla fine del terzo mese. Questo un po’ per cautela, si sa che a volte “la natura vede e provvede” e può capitare un aborto spontaneo. É sempre un’esperienza molto dolorosa e credo sia importante porsi fin da subito nella giusta prospettiva e cioè che possa accadere, è il fato della vita. Se succede un motivo c’è, forse qualcosa non è andato nel verso giusto e non c’erano le prerogative perchè la gravidanza potesse continuare.
Un’usanza un po’ scaramantica è quella di regalare un paio di scarpette da neonato come buon auspicio, ma non prima dello scadere del terzo mese.
Verso il quinto mese cominciai a sentire il bisogno di condividere questa nuova esperienza con altre donne, così mi informai se c’erano corsi premaman vicini a casa. Ma rimasi piuttosto delusa, scoprii che erano organizzati a singhiozzo, duravano solo tre mesi, occorreva prenotarsi per tempo e più che altro vertevano sul parto. Risultò che quello più accessibile lo avrei potuto frequentare soltanto l’ultimo mese di gravidanza.
Quello che io cercavo invece era una preparazione alla nascita, un corso che accompagnasse anche sotto il profilo emotivo la donna per tutto l’arco della gravidanza. Un tempo si poteva contare sulle donne della famiglia, che attraverso la loro esperienza rappresentavano un supporto, e anche se spesso imperavano i pregiudizi, era pur sempre un aiuto.
Il ginecologo mi suggerì un consultorio in provincia di Verona, dovevo fare una trentina di chilometri, poco più di mezz’ora di strada e ne valse davvero la pena.
Era un corso un po’ informale, a carattere colloquiale, gestito da una psicoterapeuta molto competente. Eravamo in sei e mi trovai fin da subito a mio agio anche se non conoscevo nessuno, ci stimolava al dialogo, a confrontarci tra di noi, ad esprimere sensazioni, paure, emozioni, preoccupazioni, aspettative.
Ebbi anche occasione di sperimentare delle sensazioni incredibilmente belle e forti quando un giorno la psicoterapeuta ci invitò a stenderci per terra su dei tappetini in una stanza in penombra. Dopo aver trovato ognuna la posizione in cui ci si sentiva più comode, lei seduta in disparte, ci invitò a chiudere gli occhi, a concentrarci sulle sue parole e a cercare di immaginare e di immedesimarci nelle situazioni che ci avrebbe suggerito.
Parlava con tono basso, pacato, cadenzato, penetrante; ci invitò a immaginare le acque di un fiume che scorre e scende a valle, di prendere i nostri pensieri e lasciarli scorrere con l’acqua e lasciarli andar via fino a sentire vuotarsi la mente. Rilassare la fronte, appoggiando bene il capo, sciogliendo i muscoli del collo e lasciando morbida la mandibola, respirando lentamente e in modo ampio.
Immaginare di essere in un prato, stese in mezzo all’erba alta, verde, fresca e sopra di noi un sole, luminoso, caldo, sentire il suo calore sulla faccia, lasciarsi andare appoggiando bene la schiena facendola aderire completamente alla terra, rilassare le braccia appoggiando il palmo della mano aperta, le gambe morbide, sentire il sangue fluire nelle vene e risalire dai piedi fino al cuore.
Ora dovevamo immaginare di entrare nella bocca, scendere giù pian piano, vedere le pareti dello stomaco e proseguire lentamente finchè avremmo trovato il nostro bambino protetto nell’utero, immerso nell’acqua, in una luce calda, serena; percepire i suoi movimenti lenti, fluidi, e sentire tutto il nostro amore e avvolgerlo come in un abbraccio caldo….
Ero totalmente concentrata e coinvolta che rilassandomi mi andò pure la saliva di traverso e cominciai a tossire, scusandomi mortificata per aver rovinato una così fantastica atmosfera.
Credo si trattasse di training autogeno o qualcosa del genere, ho provato delle sensazioni molto potenti, una totale fusione tra corpo, mente e natura nel cui mezzo c’era il mio bambino.
Ci invitò a provare a farlo anche a casa una volta al giorno, di rilassarci e di ripensare alle sue parole e riproporre la sequenza. Incredibile, anche se con minore intensità, riesco ancora a provare quelle sensazioni.
IL TRAINING AUTOGENO
Penso che ogni cosa che ci accade può essere interpretata in modo diverso a seconda di come la guardiamo. In ogni caso ci insegna sempre qualcosa, dobbiamo solo aprire la mente e vedere a 360°, capire quali sono le nostre aspettative, essere disposti a mettersi in gioco e a lasciarci modificare al fine di migliorare se stessi.
IL FATO E IL DESTINO
Immagine di mohamed Hassan da Pixabay
Per gli antichi il fato è una legge ineluttabile che domina l’universo.
Nel linguaggio moderno il termine fato è stato sostituito da quello di destino che nell’antichità però differiva nel suo significato da quello di fato. Questi infatti, indica l’essere sottoposti a una necessità che non si conosce, che appare casuale e che pure invece guida il susseguirsi degli eventi secondo un ordine non modificabile.
Il destino invece può essere cambiato poiché esso è inerente alle caratteristiche umane: l’uomo «faber est suae quisque fortunae» (Ciascuno è artefice della propria sorte). L’unico artefice del proprio destino è dunque l’uomo stesso: concezione questa ricorrente nella mentalità romana che si contrappone all’idea del fato (dominante nel mondo classico) e che considera il romano responsabile protagonista delle sue azioni e della lotta contro il bisogno e la miseria.
La mia impressione è che oggi si cerchi di controllare e prevenire ogni cosa per non soffrire, si fa fatica anche a “sopportare” il pianto di un bambino vivendolo con ansia, si impedisce ai figli di sperimentare per l’apprensione e la paura che accada loro qualcosa.
In passato si era più fatalisti. Mi ricordo che quando i miei genitori esprimevano preoccupazione per qualcosa che volevo fare, rispondevo loro che in qualsiasi momento mi poteva capitare qualcosa, anche uscire dalla porta e una tegola cadermi in testa. Ciò in qualche modo li rassicurava.
Per quanto mi riguarda mi trovo molto d’accordo con questo articolo.
Leda
Il destino esiste? Tu ci credi?
Siamo artefici del nostro destino o siamo in balìa di forze che non controlliamo?
Fin dagli albori della storia l’uomo si è posto questa domanda, cercando risposte nell’arte, nella filosofia, nelle scienze e nella religione. Una domanda centrale da sempre ma che oggi va facendosi ancor più pressante. Non è un caso che negli ultimi venti anni siano usciti molti film che affrontano il tema destino da varie angolazioni, come “Sliding doors”, “Match point”, “Se mi lasci ti cancello”…