L’età vittoriana e l’universo femminile

H.G.Wells fu uno scrittore prolifico in molti generi, si dedicò anche alla narrativa contemporanea, alla storia e alla critica sociale.
Egli sentì forte l’influenza di Nathaniel Hawthorne (1804-1864) scrittore statunitense celebre soprattutto per il romanzo La lettera scarlatta (1850), ambientato nella metà del Seicento, opera paragonabile ai Promessi sposi di Alessandro Manzoni. Due romanzi che parlano dello stesso periodo storico e che riflettono entrambi sul male da un punto di vista religioso cristiano: l’uno cattolico, l’altro protestante.

Colpa, espiazione e redenzione sono i temi trattati in La lettera scarlatta film del 1995 diretto da Roland Joffé, che un po’ si discosta dal testo originale ma è valorizzato dagli interpreti quali Demi Moore, la cui A credo rimanga bene impressa nella mente, e Gary Oldman e Robert Duvall.
Ambientato nella Nuova Inghilterra del XVII secolo, il romanzo racconta la storia di Hester Prynne che  vive a Boston e, nonostante il marito sia assente da molto tempo, ha dato alla luce una bambina di nome Pearl. Viene quindi accusata di adulterio e per espiare la propria colpa le viene imposto di portare una lettera A scarlatta sul petto (che sta per adultera). Diventa così la pecora nera della comunità puritana, tanto religiosa quanto assai poco incline al perdono e alla comprensione.

La Nuova Inghilterra (New England) fu la prima regione degli Stati Uniti a definire una propria identità. Originariamente abitata da popolazioni native, all’inizio del XVII secolo iniziò a ricevere i Padri Pellegrini, soprattutto appartenenti a minoranze inglesi, che fuggivano dalle persecuzioni religiose in Europa.

Quella vittoriana fu un’epoca di grande fermento creativo e di innovazione anche letteraria. Non più sotto la protezione di aristocratici tanto influenti quanto illuminati, l’intellettuale ora per scrivere deve adattarsi ai gusti mutevoli del grande pubblico, la sua sopravvivenza dipende più dal numero di copie vendute che dal pregio intrinseco dell’opera. L’insicurezza degli editori porta inoltre il letterato a pubblicare (e vendere) il suo romanzo “pezzo per pezzo”, a fascicoli settimanali o quindicinali senza essere sicuro di poterla ultimare: compone quindi ogni episodio con elementi che lascia volutamente in sospeso per incrementare le aspettative del lettore, che corre incuriosito a comprare la puntata successiva. Hanno successo in questo periodo le short story o racconto breve. La scrittura non è più solo vocazione, ma un mestiere faticoso e spesso mal pagato.
L’età vittoriana è un periodo di transizione, un ponte tra Romanticismo etico e modernismo.

Le sorelle Brontë fu un trio di scrittrici famose per aver pubblicato tre romanzi nello stesso anno 1847, tutt’ora molto apprezzati, scelsero di firmare le loro opere con uno pseudonimo a causa dei pregiudizi che allora esistevano nei confronti delle donne:
Charlotte Brontë, sorella maggiore, autrice di Jane Eyre;
Emily Brontë, autrice di Cime tempestose;
Anne Brontë, sorella minore, autrice di Agnes Grey;

Cime tempestose, il più famoso dei tre romanzi, ebbe critiche contrastanti per la sua struttura innovativa, che è stata paragonata a una serie di matriosche e per la forte crudeltà fisica e mentale, tema centrale è l’effetto distruttivo che la gelosia e la vendetta possono avere sugli individui.

Ha ispirato molti adattamenti: vari film, sceneggiati radiofonici e televisivi, un musical diretto da Bernard J. Taylor, un balletto e tre opere liriche (di Bernard Herrmann, Carlisle Floyd e Frédéric Chaslin), un gioco di ruolo, come pure nel 1978 una canzone di successo di Kate Bush intitolata per l’appunto Wuthering Heights.
Personalmente ricordo di aver visto molti anni fa alla TV una pellicola in bianco e nero molto realistica e cruda, specie l’attore nella parte di Heathcliff, si tratta di “Wuthering Heights”, un film britannico del 1920 diretto da AV Bramble e interpretato da Milton Rosmer, Colette Brettel e Warwick Ward ritenuto il primo adattamento cinematografico del romanzo di Emily Brontë. Non è noto se il film sopravviva attualmente, è comunque considerato un film perduto.
Molto coinvolgente anche lo sceneggiato televisivo del 1956 per la regia di Mario Landi con Massimo Girotti, nel ruolo del protagonista.

Jane Eyre è la storia di un’eroina dotata di una vivida intelligenza, aspetto che l’aiuterà a destreggiarsi in una società conformista e spietata, la stessa in cui visse Charlotte Brontë. Crudeltà, amore, rabbia, pazzia, pietà, rigide regole religiose e morali è tutto ciò che si trova ad affrontare e in cui si dibatte lo spirito libero e sensibile di Jane. Jane Eyre risulta infatti essere un’opera parzialmente autobiografica.
(Il contenuto è simile anche in Agnes Grey della sorella Anne).

Tra le innumerevoli interpreti cinematografiche e televisive, è incredibile la dolcezza che traspare, in contrasto con il contegno rigoroso e imperturbabile, in Charlotte Gainsbourg in Jane Eyre di Franco Zeffirelli del 1996. Un film dal cast notevole tra cui William Hurt, Maria Schneider, Geraldine Chaplin e Anna Paquin nella parte di Jane bambina.

Anche se antecedente al periodo vittoriano ed espressione del pre-romanticismo, a queste opere viene naturale associare Orgoglio e pregiudizio (1813) di Jane Austen, un romanzo che ancora oggi affascina per il forte impatto emotivo generato dai sentimenti di orgoglio di classe del signor Darcy, e del pregiudizio nei confronti di una nobiltà tronfia e saccente di Elizabeth Bennet. Che poi, alla fine, tutti esseri umani siamo, ognuno con le proprie debolezze, le proprie miserie e una sorprendente capacità di saper elevare lo spirito attraverso l’amore, che libera dai lacci dei luoghi comuni terreni. Ma che fatica! Elizabeth simbolizza la donna colta, libera e sicura di sè, una donna all’avanguardia, che deve mediare il lato mascolino del suo carattere per non negare la sua femminilità.

Numerose sono le trasposizioni cinematografiche e televisive. Nel ruolo di Darcy è stato Laurence Olivier nel 1940, Franco Volpi nello sceneggiato televisivo RAI del 1957 diretto da Daniele D’Anza, con Virna Lisi ed Enrico Maria Salerno (nella foto) rispettivamente nella parte di Elizabeth e del Tenente Wickham, mentre Sergio Tofano è il Signor Bennet. Colin Firth nel 1955 è Darcy in una miniserie televisiva della BBC, è anche interprete di Mark Darcy (2001) ne Il diario di Bridget Jones (un omaggio al personaggio originario) che contiene alcuni dei temi del romanzo austeniano.
Ma l’Elizabeth più dirompente è Keira Knightley in Orgoglio e Pregiudizio del 2005 diretto da Joe Wright, insieme a un Darcy superbo quanto tenero Matthew Macfadyen, che non ha sofferto del paragone con il grande Colin Firth. È un film molto intenso, vivace e incalzante, una versione molto fedele al libro, tanto da riportarne talvolta frasi citate quasi testualmente. Suggestiva ed appropriata la colonna sonora del film, opera di Dario Marianelli, compositore di origini pisane ma attualmente domiciliato a Londra, che per questo film si è ispirato alle prime opere di Ludwig van Beethoven.
Orgoglio e pregiudizio è anche in audiolibro letto da Paola Corrtellesi, Emmons Audiolibri 2009.

Jane Austen (1775-1817) scrittrice britannica, fu una delle prime a dedicare l’intero suo lavoro all’analisi dell’universo femminile, ironica e implacabile descrive pregi e difetti delle sue stesse eroine e dà ai suoi personaggi caratteri distintivi che li rendono riconoscibili anche dal loro linguaggio. La quotidianità diventa un importante soggetto narrativo: le abitudini, i luoghi e le classi sociali sono elementi essenziali per lo svolgimento degli eventi. I paesaggi influenzano i caratteri, la riservata campagna è contrapposta alla corrotta città e ai suoi abitanti contro i quali l’autrice si schiera. L’egoismo dei ricchi e l’avidità dei nobili sono gli ostacoli da superare per raggiungere la felicità.

La condizione delle donne

Nella società dell’epoca vittoriana era molto diffusa l’idea della donna angelo. I diritti legali delle donne sposate erano simili a quelli dei figli: esse non potevano votare, citare qualcuno in giudizio, né possedere alcuna proprietà. La legge considerava una coppia di sposi come una persona sola, il coniuge maschile, che era responsabile della moglie e obbligato a proteggerla, il solo inoltre ad avere la potestà sui figli; in cambio, la moglie aveva il dovere di obbedienza al marito.
Il ruolo delle donne si riduceva a procreare e occuparsi della casa, e a questo doveva limitarsi la loro educazione. Si arrivava addirittura a dire che studiare fosse contro la loro natura e che potesse farle impazzire. Le uniche professioni accessibili erano quella di insegnante o di domestica.
Il corpo della donna era visto come un elemento puro e pulito, tranne quando ella entrava nel periodo mestruale. Per una donna rispettabile non era consigliato portare alcun genere di trucco o altri ornamenti, né indossare vestiti che mostrassero troppa pelle, o persino calze particolari o qualunque altro tipo di indumenti intimi (consuetudini d’abbigliamento in parte anche per gli uomini).

Era considerato assolutamente naturale per un uomo aver bisogno del corpo di un’altra donna, per cui la prostituzione era un comportamento tollerato e le mogli non avendo diritti, non potevano far altro che accettarlo. La prostituzione era considerata come una punizione per quelle donne che avessero violato le volontà del marito. Infatti una volta ritenuta sporca, la moglie poteva essere ripudiata e divorziare. Il destino di una donna ripudiata era, inevitabilmente, di finire sulla strada a vendere il proprio corpo.
Nell’era vittoriana era molto difficile costruirsi una buona reputazione, mentre era molto facile perderla. Un uomo poteva chiedere il divorzio solo provando l’adulterio della moglie, mentre una donna doveva provare che il marito non solo aveva commesso adulterio, ma anche incesto, bigamia, violenza o abbandono del tetto coniugale.

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Una pungente critica sui tradizionali ruoli dell’uomo e della donna nell’ambito del matrimonio durante l’epoca vittoriana fu Casa di bambola (1879), un testo teatrale scritto da Henrik Ibsen (1828-1906) scrittore, drammaturgo, poeta e regista teatrale norvegese. Il dramma di Ibsen suscitò scandalo e polemica essendo stato interpretato come esempio di femminismo estremo, in realtà pone un problema morale:

«Ci sono due tipi di leggi morali, due tipi di coscienze, una in un uomo e un’altra completamente differente in una donna. L’una non può comprendere l’altra; ma nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini, come se non fosse una donna, ma un uomo»

Nora la protagonista, comprende che il suo ruolo fin dalla nascita è stato quello di una semplice e bella marionetta costretta a vivere in una casa di bambola. Il marito la chiama incessantemente “allodola”, considerandola alla stessa stregua di un animale domestico molto rumoroso e vivace; un vezzeggiativo da accollare al linguaggio del maschilismo più retrivo.

NORA: «Tu non pensi e non parli come l’uomo di cui possa essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l’angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. Ed io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t’eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. Ascolta, Torvald; ho capito in quell’attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli… Vorrei stritolarmi! Farmi a pezzi! Non riesco a sopportarne nemmeno il pensiero!»
TORVALD: «Capisco. Siamo divisi da un abisso. Ma non potremmo, insieme…»
NORA: «Guardami come sono: non posso essere tua moglie.»
TORVALD: «Ma io ho la forza di diventare un altro
NORA: «Forse, quando non avrai più la tua bambola.»

(Casa di bambola, Atto III. Traduzione di Lucio Chiavarelli.)

Il dramma di Nora è quello di una donna costretta a vivere in una società a cui non sente di appartenere perché la considera una mera bambola. Tutte le leggi che le proibiscono di amare ed essere felice sono per lei solo parole scritte in qualche libro che rimangono tali. Prima di tutto, Nora vuole vivere pienamente e realizzarsi come persona, badando a se stessa autonomamente senza essere mai più la bambola di qualche bambino viziato.

«Credo di essere prima di tutto una creatura umana, come te…
o meglio, voglio tentare di divenirlo.
»

Tra le tante rappresentazioni di questo spettacolo, resta memorabile quella che vide come protagonista l’intensa attrice russa Alla Nazimova (1907), che lo fu anche nella versione cinematografica (1922, nella foto). La Rai ha mandato in onda quattro edizioni della commedia, nel ruolo di Nora è stata Lilla Brignone (1958), Giulia Lazzarini (1978), Ottavia Piccolo (1986) e Micaela Esdra.
Il testo originale è stato inserito nel 2001 dall’UNESCO nell’Elenco delle Memorie del mondo.

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Di due morali parlò anche Gustave Flaubert (1821-1880) scrittore francese considerato l’iniziatore del naturalismo francese, che divenne celebre con il suo primo romanzo Madame Bovary (1956).

«Aah! Ma ce ne sono due di morali: ce n’è una piccola così, la morale convenzionale, quella degli ometti, che muta secondo il profitto e sbraita forte e s’agita in basso, terra terra, come quell’accolta d’imbecilli che potete contemplare. Ma l’altra, la morale eterna sta tutta intorno e al di sopra, come il paesaggio che ci avviluppa e il bel cielo azzurro che ci illumina.»

Un romanzo che fece scandalo perchè rendeva tangibile l’ipocrisia regnante nella borghesia del tempo, ma ebbe un grande successo che dura fino ai giorni nostri. Numerosi sono gli adattamenti realizzati per film, sceneggiati, mini-serie televisive, Shojo manga.
É del 1949 il film omonimo diretto da Vincente Minnelli con Jennifer Jone come protagonista. Un adattamento cinematografico molto fedele al romanzo è invece quello del 1991 di Claude Chabrol.

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A definire Jane Austen, “l’artista più perfetta tra le donne” fu Virginia Woolf (1882-1941) scrittrice, saggista e attivista britannica, considerata una delle principali figure della letteratura del XX secolo, attivamente impegnata nella lotta per la parità di diritti tra i due sessi; fu, assieme al marito Leonard, militante del Fabianesimo, un’organizzazione socialista che sosteneva la graduale introduzione delle riforme sociali. Nel periodo fra le due guerre fu membro del Bloomsbury Group e figura di rilievo nell’ambiente letterario londinese.

IL BLOOMSBURY GROUP

Fu un gruppo di artisti e allievi formatosi in Inghilterra, nel quartiere londinese di Bloomsbury, dal 1905 circa fino alla Seconda guerra mondiale. Sebbene principalmente conosciuto come gruppo letterario i suoi aderenti erano attivi in diversi campi d’arte, critica artistica e insegnamento, tanto che le loro opere influenzarono la letteratura, l’estetica, la critica e l’economia, come anche il femminismo, il pacifismo e la sessualità umana.

Ebbe origine dagli incontri informali di alcuni neolaureati dell’Università di Cambridge, che usavano riunirsi nelle proprie case principalmente nel quartiere di Bloomsbury, specie prima della Prima guerra mondiale, di cui l’esponente più prestigiosa fu Virginia Woolf.
Bloomsbury rimase un gruppo molto esclusivo i cui membri si mantennero in stretto legame tra loro, dando valore alle relazioni personali e alla vita privata, a una sessualità priva di tabù, al gusto estetico de “l’arte per l’arte”, coltivando una passione per l’Europa meridionale, soprattutto per l’Italia e la Francia, ma anche per la Grecia. Essi erano fortemente critici nei confronti delle convenzioni sociali, del perbenismo, dell’ipocrisia che caratterizzò i periodi Vittoriano ed Edoardiano, rifiutando le abitudini borghesi nelle loro costrizioni religiose, artistiche, sociali e sessuali, sebbene loro stessi non riuscissero a liberarsene mai completamente.

Un gruppo così esclusivo che suscitò attorno a sè un certo sospetto e la cui reputazione divenne oggetto di parodia negli anni Venti. I bombardamenti su Londra durante la Seconda guerra mondiale e il suicidio di Virginia Woolf posero fine ai giorni d’oro del gruppo.

Virginia Woolf durante la sua giovinezza subì diversi lutti, nel racconto autobiografico Momenti di essere e altri racconti ella delinea i rapporti con la madre amata e perduta, con la dominante figura paterna, l’ambiguo comportamento del fratellastro George, l’affetto per la sorella Vanessa. In questo periodo compaiono i primi disturbi psichici, che l’avrebbero accompagnata per tutta la vita, giungendo infine al suicidio, nonostante fosse sostenuta e amata moltissimo dal marito, a cui lasciò una breve ma intensa lettera di addio.
Le moderne tecniche diagnostiche hanno portato a una postuma diagnosi di disturbo bipolare unito, probabilmente, negli ultimi anni, a una psicosi.

Con le stesse tecniche operate da James Joyce in Irlanda, Marcel Proust in Francia e Italo Svevo in Italia, Virginia Woolf abbandona la tecnica di narrazione tradizionale prediligendo il monologo interiore del soggetto preso in questione. Il tempo si differenzia per l’assenza di una cronologia precisa, non è visto come uno scorrere perenne bensì come una serie di momenti staccati successivamente riuniti dall’associazione di idee o dall’immaginazione. Il linguaggio si presenta particolarmente raffinato e ricercato, ricco di similitudini, metafore, assonanze, e allitterazioni usato per esprimere il flusso di coscienza.

Il flusso di coscienza

Consiste nella libera rappresentazione dei pensieri di una persona così come compaiono nella mente, prima di essere riorganizzati logicamente in frasi.
Il flusso di coscienza viene realizzato tramite il monologo interiore nei romanzi psicologici, ovvero in quelle opere dove emerge in primo piano l’individuo con i suoi conflitti interiori e, in generale, le sue emozioni e sentimenti, passioni e sensazioni.

La tecnica del flusso di coscienza divenne nota con lo scrittore irlandese James Joyce (1882-1941) che è stato di fondamentale importanza per lo sviluppo della letteratura del XX secolo, in particolare della corrente modernista. Influenzato dalle pubblicazioni di Freud, nel 1906 Joyce realizzò la raccolta di racconti Gente di Dublino, nel quale si fondono realtà e pensiero, coscienza e inconscio: per fare ciò, utilizzò la tecnica del monologo interiore diretto, derivante dalla teoria del flusso di coscienza, per la prima volta nella storia della letteratura. Il suo romanzo più noto, Ulisse, fu una vera e propria rivoluzione rispetto alla letteratura dell’Ottocento, e nel 1939 il successivo e controverso Finnegans Wake (La veglia per Finnegan) ne fu l’estremizzazione.

Joyce soffriva di alcune fobie: quella per i cani, da cui venne morso all’età di 5 anni, e dei temporali, perché una zia molto religiosa gli disse che erano un segno dell’ira di Dio.
Le paure avrebbero sempre fatto parte dell’identità di Joyce e sebbene avesse il potere di superarle, non lo fece mai. Nell’adolescenza Joyce sviluppò il suo carattere anticonformista e ribelle che lo contraddistinse anche dopo nel tempo, e rifiutò il Cristianesimo, anche se la filosofia di San Tommaso d’Aquino ebbe una forte influenza sulla sua vita.
Il suo pensiero ben si espresse in questa lettera di Joyce a Nora Barnacle del 29 agosto 1904:

«La mia mente rifiuta l’intero ordine sociale esistente e il Cristianesimo-patria, le virtù riconosciute, gli stili di vita, le dottrine religiose […] Sei anni fa io abbandonai la Chiesa Cattolica, detestandola molto fervidamente. Ho compreso che era impossibile per me rimanere nel suo ambito, in considerazione degli impulsi della mia natura. Ho combattuto una guerra segreta contro di lei quando ero uno studente e mi sono rifiutato di accettare le posizioni che essa mi proponeva. Nel fare ciò sono diventato un furfante, ma ho conservato il mio amor proprio. Adesso combatto una battaglia aperta contro di essa attraverso quello che scrivo, dico e faccio»

«Quando un’anima nasce, le vengono gettate delle reti per impedire che fugga. Tu mi parli di religione, lingua e nazionalità: io cercherò di fuggire da quelle reti»

James Joyce, Ritratto dell’artista da giovane

In un mondo in cui tutto sembra frantumarsi, la famiglia March trova forza nell’unione. Dal romanzo Piccole donne del 1868 la scrittrice statunitense Louisa May Alcott (1832-1888) racconta delle quattro sorelle Meg, Jo, Beth e Amy March, educate ad essere protagoniste della propria vita, delle proprie scelte, a costo anche di grossi sacrifici, e ad essere responsabili delle proprie azioni, metodo educativo inusuale per quel tempo. È la madre a gestire un doppio ruolo di genitore, essendo moglie di un pastore, cappellano al fronte durante la Guerra di secessione americana. Ella insieme alla sua famiglia, forte nei suoi valori, troverà il coraggio di affrontare i tempi difficili che ogni guerra comporta.

Piccole donne è stato soggetto di numerose trasposizioni cinematografiche (fin dai tempi del film muto, 1918), televisive e anime. Katherine Hepburn fu Jo March nel 1933, Elizabeth Taylor fu Amy March nel 1949; è del 1955 lo sceneggiato televisivo di Anton Giulio Maiano.
Indimenticabile la Jo di Winona Ryder in Piccole donne di Gillian Armstrong del 1994, valorizzata magistralmente dal doppiaggio di Micaela Esdra che dà voce alla dolce e schietta determinazione del personaggio. E mamma March interpretata da Susan Sarandon e Christian Bale nella parte di Laurie Lawrence.

 La genuinità perduta

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