C’era una volta il vaiolo. Le vaccinazioni

«Mamma, che cos’è quello ?»
il dito indice teso a indicare quella specie di “rosetta” che ho sul braccio sinistro, poco sotto la spalla.
«È la cicatrice lasciata da una vaccinazione» rispondo.
È piccola e rotonda, con i brodi frastagliati, da piccoli facevamo a gara a chi ce l’aveva più bella e regolare, assomiglia un po’ allo stampino che ci facevamo per gioco premendo il pistillo  del papavero contro la pelle.
«E perché io non ce l’ho?»
Anch’io all’età dei miei figli facevo spesso questa domanda, per essere certa di non aver subito un qualche ingiustificata discriminazione.
«Perché il vaiolo non c’è più.»

L’ultimo caso di vaiolo infatti si ebbe in Somalia nel 1977. Ricordo che frequentavo le scuole superiori quando la prof di igiene e puericultura ci disse che per entrare in Somalia era indispensabile essere vaccinati. Sul territorio italiano invece la vaccinazione di routine venne sospesa nel corso degli anni ’70 e ufficialmente abrogata nel 1981.

Dopo l’11 settembre 2001, dato che le nuove generazioni non avevano alcuna difesa verso questa malattia, si temette che il virus del vaiolo potesse essere usato per un attacco bioterroristico rilasciandolo deliberatamente nell’ambiente. Si è provveduto così a produrre nuove dosi di vaccino per essere in grado di immunizzare la popolazione nel caso di una nuova epidemia di vaiolo.
Sarebbe un gesto davvero codardo questo di causare volontariamente il ritorno di un epidemia mondiale, un gesto irresponsabile, un abuso di potere da trogloditi, anche se i trogloditi sono sicura fossero più saggi di noi.

Spiegai a mio figlio che le generazioni del passato avevano ancora un vivido ricordo del vaiolo e di altre malattie importanti, che per noi che eravamo giovani rimanevano confinate nei loro racconti, pur riscontrandone traccia, specie per la poliomielite, nelle persone che ci capitava di vedere, a volte anche in TV in personaggi pubblici famosi.

Una malattia che poteva portare alla paralisi degli arti e colpire la respirazione per questo erano tristemente noti i polmoni d’acciaio, antenati dei moderni ventilatori, che permettevano di tenere in vita chi era colpito da poliomielite.

Noi ragazzini, educati a portare rispetto verso le persone claudicanti o costrette su una sedia a rotelle, potevamo solo immaginare quale impatto avesse avuto la malattia nella loro vita. «Ringrassiè Iddio che ve gà fatto cressere sani e forti!» diceva spesso mia madre.

E la Tubercolosi (o Tisi), e i famosi Sanatori che diventavano luoghi d’incontro e di socialità, il “mal sottile” descritto in molte opere letterarie.
Fra le tante, la poesia intitolata a “A Silvia”: Giacomo Leopardi parla di lei che muore in giovanissima età di tisi polmonare, simbolo della distruzione delle speranze e delle illusioni giovanili.

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi

E la gelida manina della dolce Mimì ammalatasi di tisi, che si spegne dolcemente nella Bohème di Giacomo Puccini.

Si pensava che la guarigione dalla tisi sarebbe stata favorita da particolari condizioni climatiche, visto anche il fatto che fino a cinquant’anni fa non c’erano farmaci per curare la Tbc, mentre negli ultimi decenni si sono diffuse cure antibiotiche.
Ricordo anche il pullman attrezzato parcheggiato per un giorno nel cortile della scuola e noi in fila indiana, a turno salivamo, ci toglievamo la maglietta per restare in canottiera a fare la schermografia del torace, che metteva in evidenza eventuali focolai tubercolari.

Già per quelli della mia generazione, invece, una malattia come la difterite la si conosceva solo per averla letta nel certificato delle vaccinazioni. Un po’ come succede adesso  per i giovani genitori e i nostri figli, ai quali può sembrare inutile ricorrere alle vaccinazioni per malattie divenute rare. Ma credo sia importante riflettere sul fatto che sono divenute rare proprio perché tutta la popolazione infantile per decenni è stata vaccinata.
Ma batteri e virus continuano a esistere, e a decidere di rifiutare le vaccinazioni senza un motivo ben preciso si rischia di essere in parte responsabili di una nuova diffusione di queste malattie. Senza contare che ci sono i cosiddetti portatori sani, che pur non manifestando sintomi della malattia, portano in sè l’agente patogeno a cui  si espongono bambini senza difese. Credo sia più coscienzioso discuterne con il pediatra che saprà valutare se la vaccinazione può comportare dei rischi per i nostri figli.

Molti anni fa una delle mie cognate prese la decisione di non vaccinare le figlie, per questo andò incontro a tutta una serie di difficoltà burocratiche perchè per frequentare le comunità infantili (tipo la scuola) era indispensabile presentare il certificato delle vaccinazioni. Lei aveva un suo credo al quale voleva rimanere fedele e ciò fu, nonostante tutto, per questo la stimo pur non condividendo la sua scelta. Ne discutemmo più volte in particolare sul fattore di rischio: finchè la maggioranza dei bambini è vaccinata, anche chi non lo è indirettamente è protetto, ma se il rapporto si ribalta non starei molto tranquilla per le mie nipotine. Così come per il tetano, la vaccinazione di massa non preserva dal contagio poiché le spore sono diffuse ovunque.

Ho sempre avuto l’impressione che il tetano sia molto sottovalutato e poco conosciuto. Personalmente continuo a praticare il richiamo ogni 10 anni (peraltro dall’anno scorso è anche gratuito) perché fortemente sensibilizzata da ciò che accadde a una mia ex collega di lavoro la quale da bambina contrasse il tetano dopo essersi punta con una spina di rosa; e dalla mia prof di igiene e puericultura delle superiori che ci raccontò del marito che si era procurato una ferita profonda con una grossa scheggia di legno. Poiché non sanguinava gli aveva iniettato dentro dell’acqua ossigenata per prevenire il tetano che non sopravvive in presenza di ossigeno, di cui appunto il sangue è ricco.

Nel periodo in cui ho lavorato al nido, primi anni 80, ho avuto modo di assistere davvero a tanti casi di pertosse, si diffondeva in un batter d’occhio ed era molto debilitante e fastidiosa per la tosse persistente, soprattutto per un bambino piccolo, basti pensare a quanto fastidio si prova nel tossire involontario provocato dalla saliva o dal cibo che ci va di traverso.

Ricordo che questo vaccino spesso causava un gonfiore doloroso nella zona dove era stato iniettato, a cui si ovviava con impacchi freddi, mentre in seguito tale reazione non si è più verificata.

Ai vaccini classici negli anni ne sono stati aggiunti di nuovi, raccomandati per far fronte al diffondersi di altre malattie importanti, in particolare il vaccino per l’epatite virale B.

Oggi si tende a vaccinare i bambini con il vaccino esavalente, che protegge anche contro le infezioni invasive da Haemophilus influenzae B, che non è un vaccino contro l’influenza, come erroneamente si è portati a credere dal nome stesso, ma specifico contro la meningite.

In Veneto c’è stata una particolare sensibilizzazione al fine di prevenire i casi di meningite nei bambini, casi isolati ma molto dolorosi da affrontare, per l’evolversi repentino della malattia. È accaduto anche che i sintomi fossero sottovalutati o scambiati per influenza, per questo per noi genitori un espediente utile è quello di verificare se il bambino è in grado di chinare il capo fino a toccare con il mento la parte alta dello sterno, come normalmente riesce a fare, ma reso impossibile dalla rigidità nucale, sintomo tipico della meningite.

Un fatto piuttosto discutibile mi capitò allorché mi fu proposta la vaccinazione contro morbillo-parotite-rosolia. L’invito del dipartimento di prevenzione spiegava compiutamente e in modo chiaro le malattie, e i motivi per cui si consigliava la vaccinazione, facoltativa ma raccomandata per i bambini. Ne discussi anche con il pediatra di base con cui avevo un rapporto di fiducia e decisi di aderire.

Il giorno della vaccinazione trovai un medico che cominciò col chiedermi se ero sicura di volerla fare. Con un giro confuso di parole mi parlò della parotite, che era meglio contrarre la malattia da bambino…che da adulto avrebbe dovuto fare un richiamo…della rosolia che è specifica per le femmine, eccetera eccetera

In tutti questi anni ho sentito qualche sporadico caso di parotite, mentre nella mia infanzia era una malattia molto frequente, segno che sta scomparendo, per cui mi trovavo d’accordo aderire per poterla debellare. Un motivo in più per la rosolia.

Trovai scorretto e inopportuno l’atteggiamento di quel medico che insinuava il dubbio. Se vuoi fare informazione devi darti dei tempi, una strategia, avere un metodo, non puoi ridurre il tutto all’ultimo minuto. In tempi così poco etici, in cui ognuno fa quello che gli pare senza tener conto delle possibili conseguenze delle proprie azioni, un approccio così poco professionale può generare in noi il senso della fregatura, la sensazione che  che la nostra buona fede sia stata tradita. Il che non va bene perché produce sfiducia verso lo stesso medico e verso l’istituzione.
Mi chiedo che senso ha, che un medico preposto alle vaccinazioni ne parli contro, se per principio sei contrario, ti rifiuti di svolgere quel ruolo e ti occupi d’altro.

Un mattino alzandosi da letto, mio figlio mi disse che aveva prurito alla fronte, non feci in tempo a fermarlo che si grattò quella prima vescicola, che gli ha lasciato in ricordo una cicatrice. Era la varicella, per qualche anno ci furono una serie di epidemie prima che fosse diffusa la vaccinazione. Tra frequenti bagni con avena colloidale e talco mentolato riuscii a dargli sollievo dal prurito.
Nel frattempo tenevo d’occhio il più piccolo che aveva pochi mesi ed era nato prematuro e immaturo. Appena comparve l’inconfondibile vescicola avvisai il pediatra, che provvide a impedire l’evolversi della malattia.

Certo, un conto è parlare di vaccinazioni in modo astratto e un altro è conoscere i rischi a cui si va incontro, senza contare che prendiamo delle decisioni importanti che riguardano non tanto noi stessi, ma i nostri figli e indirettamente anche la comunità. È una grande responsabilità di cui è fondamentale prendere coscienza.

Ho memoria dei racconti di mia madre sugli effetti del tifo, quando era molto diffuso in Italia e ritornava ciclicamente; la sentivo nominare spesso il chinino, il farmaco specifico per la malaria (l’ultimo caso nel 1962), venne estirpata con una serie di conquiste sociali, vi contribuì anche Benito Mussolini con la bonifica integrale dell’agropontino, sebbene con fini e conseguenze tutt’altro che umanitarie.
(Malaria, una vittoria della ricerca italiana di Enzo Merler).

Ho anche vivido il ricordo dell’allarmismo provocato dall’epidemia del colera nel 1973 a Napoli.

“Da quel momento il colera a Napoli non fu più solo la storia di una malattia contagiosa e degli interventi per debellarla, ma soprattutto il racconto della paura che si impossessa della gente, della psicosi che induce a comportamenti spesso irrazionali e dell’immagine stravolta di una città che sarebbe pesata negli anni successivi”.

dall’articolo: Napoli, 40 anni fa l’incubo del colera di Enzo La Penna

Ne riporto il video perché rende bene l’idea di cosa vuol dire affrontare un’emergenza simile.

In Africa una malattia che non dà tregua e rappresenta un grave problema sanitario, tanto da collocarsi al terzo posto dopo l’AIDS e la diarrea grave, è la Tripanosomiasi africana umana meglio nota come malattia del sonno.

Nel 2007 nella mia regione, il Veneto, è stata presa la decisione di sospendere in via sperimentale l’obbligatorietà per le vaccinazioni. Un atto altamente democratico che voleva riconoscere da un lato il DIRITTO di poter decidere e dall’altro il DOVERE di una responsabilità civile e morale nei confronti dei propri figli e della comunità. Si traduce in una presa di coscienza del proprio ruolo di cittadino in uno Stato fondamentalmente democratico.

Riporto un sunto delle interessanti considerazioni in base alle quali si è presa questa decisione, che poi non ha registrato sostanziali mutamenti nei comportamenti.

Legge regionale n.07/2007 “Sospensione dell’obbligo vaccinale per l’età evolutiva” – Regione Veneto

Estratto da un’intervista al Dirigente del Servizio Igiene e Sanità Pubblica – Regione Veneto Dott. Antonio Ferro

Oggi la politica di contrasto delle malattie infettive deve confrontarsi con una situazione scientifica, sociale e culturale radicalmente mutata rispetto all’epoca dell’introduzione dell’obbligo vaccinale: la prevenzione dovrebbe infatti essere intesa attualmente come un’opportunità di salute e partecipazione informata, consapevole e convinta della popolazione.  Inoltre nel panorama europeo le scelte di sanità pubblica per la lotta alle malattie infettive sono in larga misura orientate alla volontarietà dell’adesione alla vaccinazione, accompagnata da un’adeguata offerta del servizio e sensibilizzazione della popolazione.
Su questa base la Regione del Veneto dal 2008 in via sperimentale, ha introdotto la sospensione dell’obbligatorietà delle vaccinazioni.
Tale decisione è maturata partendo dai presupposti che i livelli di copertura medi risultavano già elevati sia per le vaccinazioni “obbligatorie” che per quelle “raccomandate”, la solidità operativa del sistema vaccinale è supportato da un valido sistema di anagrafi vaccinali, e la maturità culturale della popolazione.
Va precisato che la legge regionale non prevede l’eliminazione dell’obbligo vaccinale ma la sua sospensione. Infatti data la cautela che una scelta di questa portata impone, il Veneto ha in contemporanea predisposto un Piano di Monitoraggio del sistema vaccinale.

Per quanto riguarda la ridotta “percezione del rischio” dovuta alla scomparsa delle grandi epidemie del passato, va detto che la vaccinazione rappresenta una delle più importanti scoperte scientifiche nella storia della medicina e ha contribuito in modo fondamentale ad incrementare la speranza di vita delle popolazioni umane.
L’importanza delle vaccinazioni è infatti paragonabile, per impatto sulla salute, alla possibilità di fornire acqua potabile alla popolazione.

Per quanto riguarda il rischio connesso all’utlizzo delle vaccinazioni è fondamentale che i prodotti vaccinali disponibili soddisfino opportune caratteristiche di efficacia e di tollerabilità.
La probabilità di avere la malattia naturale e le sue complicazioni è enormemente più elevata di quella di subire effetti collaterali causati dagli stessi vaccini. In base a questo semplice principio vaccinarsi conviene.
Tuttavia, perché questa semplice logica venga applicata, è importante conoscere precisamente la probabilità di contrarre una certa malattia e le sue complicazioni e confrontarla con la probabilità di sviluppare effetti collaterali causati dalla vaccinazione. Dal punto di vista della comunicazione tra medico e paziente questi dati sono spesso trascurati ed il pubblico può essere in grave difficoltà nell’avere una precisa percezione del rischio associato alla malattia e di quello associato alle vaccinazioni e questo va valutato attraverso i numeri.

L’immunità del gruppo è un patrimonio della comunità e di ogni singola persona; tutti sono chiamati a contribuire a mantenere questa condizione.

Il beneficio collettivo che ne deriva é un valore aggiunto che rappresenta la ragione storica delle politiche di obbligo vaccinale.

La protezione, conferita dalla vaccinazione o dalla malattia stessa verso le infezioni trasmissibili da persona a persona, porta quindi alla protezione indiretta anche di chi, o per la presenza di controindicazioni o per scelta, non si è vaccinato.
Un esempio è il caso dei soggetti immunodepressi: in un nucleo con la presenza di un soggetto con queste caratteristiche è indicata la vaccinazione dei familiari, conoscenti e comunque del cerchio dei contatti, per creare un cordone immunitario attorno alla persona.
Questa strategia costituisce, quindi, una garanzia del principio di equità riguardo alla disponibilità del beneficio vaccinale nella comunità che si intende il più possibile rispettare.

(Testo completo)

Sembra un paradosso il fatto che noi si abbia i vaccini disponibili e gratuiti e si sottovaluti il valore che rappresentano, e ci sia una parte del pianeta che combatte tra la vita e la morte e non abbia modo di accedervi, e sia addirittura spesso vittima di speculazioni, per non parlare dei farmaci… Oltre il danno anche la beffa!  Il benessere prolungato in cui siamo vissuti ha generato una sorta di illusione di crederci immuni e di avere tutto sotto controllo. In realtà dobbiamo fare i conti con il mutamento dei tempi, delle abitudini, delle realtà e un certo equilibrio si raggiunge e si mantiene se c’è equità tra i popoli.


Ogni giorno 18.000 bambini muoiono prima di compiere 5 anni per malattie come polio, tetano, morbillo: malattie prevenibili con un vaccino. Tu puoi salvarli. Dona il tuo 5xmille all’UNICEF: diventerà vaccini e interventi salvavita in 156 paesi nel mondo (clicca sull’immagine) A te non costa nulla a loro salva la vita. (Unicef.it)


É fondamentale acquisire nuovamente la fiducia nelle istituzioni e in chi ha l’autorità, di vigilare affinché la prevenzione non diventi un business e sia salvaguardata la fiducia che il cittadino pone nelle istituzioni. D’altro canto chi ha un qualsiasi ruolo pubblico deve farsi carico della responsabilità di ciò che dice e ciò che fa.

Ad esempio, secondo me raccomandare il vaccino antinfluenzale per tutti indiscriminatamente, è un messaggio che ritengo scorretto e soprattutto diseducativo. D’accordo che le persone anziane, bambini e adulti in particolari condizioni di salute necessitano di protezione dalle possibili complicanze che possono derivare da un’influenza. Ma le persone in normali condizioni di salute possono far fronte alla malattia con il proprio patrimonio immunitario restando a riposo, al riparo dal freddo, assumendo spremute d’arancia ed eventualmente un antipiretico per tenere a bada la febbre. Nel caso insorgessero complicanze, allora il medico interviene diversamente.
Almeno a me così è stato insegnato.

Vaccinoterapia desensibilizzanteL’immunoterapia ha contribuito a migliorare la vita, per esempio, di chi soffre di allergie, poiché alcuni allergeni, soprattutto quelli volatili (ad es. pollini, acari della polvere), non possono essere evitati. È un trattamento capace di agire sulle cause, e non solo sui sintomi dell’allergia: desensibilizzando l’organismo verso l’allergene si riducono gradualmente i sintomi allergici.

Personalmente, per prevenire i malanni invernali ricorrenti alle vie respiratorie nei bambini, ho trovato molto efficace l’uso di immunostimolanti, consigliatami dal pediatra prima dell’inizio della scuola, e soprattutto una buona dose di mare nel periodo estivo, come si faceva una volta.

Leda


Nota bene: questa non è una testata medica, le informazioni fornite da questo sito hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, pertanto occorre sempre fare riferimento al proprio medico di famiglia o al pediatra.

 

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