Paure e nevrosi

IL FILONE GOTICO

Le nevrosi dell’età industriale e il disorientamento della civiltà moderna alimentò un filone gotico moderno, in cui l’orrore è più psicologico che reale.

Edgar Allan Poe (1809-1849) scrittore, poeta, critico letterario, giornalista, editore, narratore e saggista statunitense, è un pioniere in questo senso, ma si spinge ancora più avanti sviluppando il thriller e quindi il romanzo poliziesco. Tra le numerose trasposizioni cinematografiche che si basano sui suoi racconti, intrigante è la serie televisiva britannica I racconti del mistero e del terrore (1995). Eccone alcuni in audiolibro.

«Gli uomini mi hanno chiamato pazzo;
ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia
è o non è una suprema forma d’intelligenza»

(dal racconto breve “Eleonora” – Racconti del Terrore, 1841)

I racconti sono presentati da Christopher Lee, grande interprete del Conte Dracula in una serie di film della Hammer Film Productions, di cui il primo è Dracula il vampiro (1958) diretto dal regista Terence Fisher, che introdusse per la prima volta i canini retrattili.

Dracula scritto dall’irlandese Bram Stoker (1847-1912) nel 1897 è uno degli ultimi grandi romanzi gotici, trasformato in opera teatrale di grande successo nel 1925. Il personaggio Dracula, il vampiro per antonomasia, il non morto (Nosferatu, che in romeno significa “Non spirato”), che ha la necessità di nutrirsi del sangue degli esseri viventi, è rimasto popolare negli anni, accrescendo la sua fama ed il suo fascino nel tempo, e dando quindi vita ad un elevato numero di film, musical, libri.
Tra le innumerevoli pellicole vi sono adattamenti più o meno fedeli al romanzo di Stoker.

Tra quelle più recenti, il Dracula di Bram Stoker prodotto e diretto da Francis Ford Coppola nel 1992 con Gary Oldman nel ruolo del conte, e con Winona Ryder, Anthony Hopkins e Keanu Reeves.

Intervista col vampiro invece, film del 1994 diretto da Neil Jordan e interpretato da Tom Cruise e Brad Pitt, è tratto dall’omonimo romanzo di Anne Rice (1976).

Rimane impressa nella storia del cinema e nella memoria delle persone l’interpretazione di Klaus Kinski in Nosferatu, il principe della notte del 1979 diretto da Werner Herzog con le musiche dei Popol Vuh, di Richard Wagner e di Charles Gounod.

Il film è un rifacimento del film del 1922 Nosferatu il vampiro di F.W. Murnau. Due film, entrambi tedeschi e un soggetto che mette in collegamento due epoche diverse.

Popol Vuh

È un gruppo musicale tedesco fondato nel 1969, che univa Kosmische musik (Musica cosmica in italiano, detto anche krautrock) e Proto-New age. La band prese questo nome in omaggio a un antico testo che raccoglie i miti e le leggende di vari gruppi etnici che abitarono la terra Quiché, uno dei regni Maya in Guatemala.

Il Popol Vuh, il “libro della comunità”, narra del mito maya della creazione del mondo e le storie dei due eroi gemelli Hunahpu e Xbalanque, della loro nascita e della loro ascensione al sole e alla luna; della tradizione spirituale, della fondazione e della storia del regno Quiché, in cui si cerca di mostrare come il potere della famiglia reale provenga dagli dei.
Riporta inoltre una credenza Quiché, secondo cui particolari suoni possono garantire armonia ed equilibrio alla mente.

 

Ma la prima figura del vampiro nella letteratura comparve precedentemente, nel racconto breve The Vampyre scritto da John William Polidori (1795-1821) scrittore e medico britannico, nonché segretario e medico personale del poeta George Byron. Al carattere crudele e sanguinario delle leggende popolari, egli preferì modellare il personaggio del vampiro come un aristocratico tenebroso inserito nell’alta società, come lo conosciamo oggi e come molti anni dopo Bram Stoker racconterà nel suo Dracula.
L’idea di scrivere il racconto che verrà pubblicato nel 1819, venne a Polidori durante una vacanza vicino al lago di Ginevra in Svizzera. A Villa Diodati, affittata da Lord Byron, erano spesso ospiti anche Mary Shelley e Percy Bysshe Shelley che soggiornavano nelle vicinanze.
Era il 1816 e fu un’insolita stagione molto piovosa che costrinse in casa il gruppo di villeggianti per intere giornate, e per passare il tempo leggevano storie di fantasmi.

L’ANNO SENZA ESTATE

Il 1816 è noto come l’anno senza estate, durante il quale si registrarono a livello globale stravolgimenti del clima con fenomeni insoliti.
Agli effetti provocati negli anni precedenti dalle eruzioni di alcuni vulcani, nel 1815 si unirono quelli devastanti provocati dal vulcano Tambora situato in quella che è l’attuale Indonesia (allora Indie orientali olandesi). Il vulcano restò attivo per settimane e sprigionò grandi quantità di ceneri che oscurarono il cielo per un ampio raggio, giungendo fino in Europa spinte dalle forti correnti d’aria. Tutto ciò causò l’abbassamento della temperatura media mondiale poiché la luce solare faticava ad attraversare l’atmosfera.
Se non bastasse, tali fenomeni si sovrapposero ad un periodo di bassa attività solare chiamato il Minimo di Dalton che andò dal 1790 al 1830 circa, e al periodo di raffreddamento ancora in corso, della cosiddetta piccola era glaciale.
Piogge anomale e inondazioni, frequenti gelate e tempeste di neve causarono forti danni all’agricoltura e all’allevamento, specie nella zona boreale, andando incontro a carestie ed epidemie.
L’Europa appena uscita dalle lunghe guerre napoleoniche entrò in uno stato di emergenza per mancanza di cibo e per gli aumenti del prezzo del grano che, specie in Gran Bretagna con le Corn Laws e in Francia, portarono a rivolte e saccheggi. Mancando anche il foraggio per gli animali, all’inventore Karl Drais, allora ancora un barone, essendo senza cavalli venne l’idea di nuovo mezzo di trasporto inventando la draisina, uno dei prototipi della moderna bicicletta.

In quell’anno gli alti livelli di cenere presenti nell’atmosfera resero spettacolari i tramonti, che si dice abbiano ispirato il celebre paesaggista inglese William Turner nei suoi dipinti dai toni aranciati.

 

Il gruppo di amici per ovviare alla noia intraprendeva anche lunghe conversazioni su vari argomenti, tra cui la natura dei princìpi della vita, le idee base della teoria dell’evoluzione di Erasmus Darwin e il Galvanismo, la possibilità cioè di assemblare una creatura e infondere in essa la vita con una forte scarica elettrica. L’atmosfera che venne a crearsi divenne tale che li convinse a scrivere ciascuno una storia del terrore. Nacquero così due tra i più grandi miti del genere horror: Frankenstein scritto da Mary Shelley e Il vampiro di Polidori.

Mary Shelley (1797-1851) scrittrice, saggista e biografa inglese, scrisse  Frankenstein, o il moderno Prometeo, a soli 19 anni pubblicandolo in un primo tempo in forma anonima (1818).

I pensieri nati da quelle conversazioni scatenarono l’immaginazione di Mary, portandola ad avere un terrificante incubo, che poi tradusse nel racconto in cui il dottor Victor Frankenstein dà la vita a una sua creatura utilizzando un’energia di essenza divina.

Il sottotitolo del romanzo, Il Prometeo moderno, non a caso vuole alludere all’aspirazione degli scienziati di poter fare tecnicamente qualsiasi cosa, come il Prometeo della mitologia greca.

Secondo la Mitologia greca il titano Prometeo fu incaricato da Zeus di forgiare l’uomo. Egli lo modellò dal fango e lo animò col fuoco divino. Per distinguerlo dagli altri animali, Prometeo gli donò la conoscenza e la memoria rubandoli dallo scrigno dove li custodiva Atena, figlia di Zeus e dea della sapienza dell’arte del fare, dell’inventare, della saggezza e della strategia in battaglia. Zeus considerando i doni del titano troppo pericolosi, perchè gli uomini sarebbero potuti diventare sempre più potenti e capaci, tolse loro il fuoco e lo nascose.
E colui che osò sfidare il potere degli dei, venne punito: Zeus incatenò Prometeo a una rupe ai confini del mondo sprofondandolo nel Tartaro, al centro della Terra.

Frankenstein (che è il nome del dottore, e non della creatura come erroneamente si tende a pensare) come Prometeo sfida le leggi non scritte ma inviolabili che, da sempre, regolano il mondo degli uomini e degli dei. Per questo entrambi vengono puniti per aver varcato i limiti: Prometeo viene legato a una roccia e ogni giorno un’aquila gli mangia il fegato, che poi si rigenera la notte; il dottor Victor invece vedrà soffrire la sua famiglia e i suoi amici rimanendo solo.
In bioetica spesso il termine viene utilizzato per estensione ad indicare il cattivo esempio, in questo caso, di una sperimentazione illecita o eticamente discutibile.

Erasmus Darwin (1731-1802) fu un filosofo, poeta, medico e naturalista britannico, autore del trattato Zoonomia Le leggi organiche della vita, opera in due volumi scritta tra il 1794 ed il 1796, che tratta di medicina e contiene alcune idee che stanno alla base della teoria dell’evoluzione.
Teoria che verrà successivamente approfondita dal più celebre nipote Charles Darwin, con il suo saggio L’origine delle specie (1859), mentre un altro nipote, Francis Galton formulerà la teoria del Darwinismo sociale.

Francis Galton (1822-1911) esploratore, antropologo e climatologo britannico, che ha lasciato alla scienza anche alcuni termini come anticiclone, regressione e correlazione, fu fortemente interessato al miglioramento della razza e alla selezione di una élite intellettuale.
Con la teoria del Darwinismo sociale egli pose le fondamenta di una nuova disciplina per migliorare la razza umana, da lui denominata Eugenetica.

TEORIA DEL DARWINISMO SOCIALE

Se da una parte la Teoria dell’evoluzione portava con sé un ottimismo razionale circa il processo della selezione naturale che avrebbe migliorato le specie viventi, dall’altra la Teoria del darwinismo sociale rilevava che l’evoluzione umana non seguiva queste regole, sostenendo che la selezione doveva applicarsi all’uomo, poiché anch’esso appartiene al regno animale e perché la selezione naturale avrebbe garantito la migliore qualità degli individui e il migliore futuro della specie umana.

Quest’interpretazione biologica della società basata esclusivamente sull’ereditarietà (razze e incroci), non teneva in alcun conto dei fattori sociali ed educativi poichè, a quel tempo, si riteneva non influenzassero in alcun modo il comportamento umano.
Da questa immagine semplicistica dell’uomo come animale in evoluzione, si dedusse un’immagine dello sviluppo della società umana come evoluzione altrettanto spontanea e incontrollata di quella che si supponeva fosse l’evoluzione dell’organismo umano.
Muovendo da questa concezione Francis Galton si accinse con le migliori intenzioni, a studiare l’eredità delle grandi personalità del suo tempo.

Il suo lavoro, che pur tuttavia ha il merito di essere il primo esempio, per quanto grossolano, di statistica applicata allo studio dell’ereditarietà, pose le fondamenta dell’Eugenetica, scienza socio-biologica che da allora è stata utilizzata soprattutto per tentare di provare, sul terreno genetico, la superiorità di sangue delle classi privilegiate, e la necessità di proteggerne la purezza da incroci avventati con le classi inferiori.

Galvanismo

In fisiologia è la contrazione di un muscolo stimolato da una corrente elettrica. Prende il nome da Luigi Galvani (1737-1798) un fisiologo, fisico e anatomista italiano, che investigò a lungo su tale fenomeno e sviluppò la teoria secondo la quale gli esseri viventi sarebbero in possesso di un’elettricità intrinseca prodotta dal cervello, propagata tramite i nervi e immagazzinata nei muscoli.
Tale termine, tuttavia, fu coniato da un suo collega contemporaneo con cui ebbe un acceso confronto su questo argomento, Alessandro Volta (1745-1827) fisico italiano, conosciuto soprattutto per l’invenzione del primo generatore elettrico, la pila, e per la scoperta del metano.

 

Frankenstein affonda le sue radici nelle paure umane. Così come l’incombente sviluppo tecnologico scardina le certezze, crea disorientamento, genera nell’uomo la paura di cadere in balia di qualcosa che non conosce e che sfugge al suo controllo. La “creatura” è l’esempio del sublime, del diverso che, in quanto tale, causa terrore.
Il Dottor Frankenstein, scienziato ambizioso, disgustato dalla deformità e dalla forza fisica smisurata del mostro che ha creato, lo abbandona a se stesso, al suo destino.

Mary Shelley  tentò di avvertire il mondo del pericolo del manipolare forze più grandi dell’uomo. Ella visse nell’era del nascente capitalismo e già William Godwin, suo padre, aveva ravvisato il pericolo di anteporre gli scopi scientifici alle responsabilità sociali, dichiarando che la conoscenza sarebbe divenuta presto fredda senza la coerenza, con l’umanità.

Nel quadro di una società che valuta l’apparenza prima dei sentimenti e dei bisogni, la luce assume un ruolo fondamentale: un raggio di sole viene accolto dalla creatura con un mezzo sorriso e immediatamente il Dottor Frankenstein gli toglie la luce, ossia, simbolicamente, ogni conoscenza che non venga da lui.
La luce è sinonimo di divinità, un sapere arcaico che si manifesta attraverso la natura. Strettamente connesso con la luce è il fenomeno dell’aurora boreale che si può osservare al Polo Nord, una delle grandi ambientazioni di Frankenstein.

Il romanzo di Mary ebbe grande successo e come altri straordinari romanzi che appartengono al genere della letteratura gotica hanno ispirato innumerevoli adattamenti teatrali e cinematografici.

Durante la sua vita, Mary Shelley non vide gioie durature per i frequenti lutti. Ella crebbe nell’idealizzazione di una madre, che era morta poco dopo la sua nascita, filosofa antesignana del femminismo: Mary Wollstonecraft che fu autrice dell’opera Rivendicazione dei diritti della donna (1792). Pur non essendo d’accordo con le concezioni educative espresse dalla moglie, il padre le diede un’educazione ricca e informale, insolita per quei tempi, incoraggiandola ad aderire alle sue idee politiche. Ella fu una politica radicale per tutta la sua vita, sostenendo spesso anche nelle sue opere gli ideali di cooperazione e di comprensione, praticati soprattutto dalle donne, come strade per riformare la società civile. Questa idea era una diretta sfida all’etica individualista-romantica promossa dal poeta Percy Shelley, suo marito, e alle teorie politiche illuministe portate avanti da William Godwin, suo padre.

Il radicalismo

È una corrente ideologica sorta nel 18° secolo all’interno del Movimento liberale, considerato insieme alla democrazia moderna una filiazione dell’Illuminismo. Infatti esso si ispira agli ideali di tolleranza, libertà ed eguaglianza propri del movimento illuminista, contesta i privilegi dell’aristocrazia e del clero e l’origine divina del potere del sovrano.

Alla fine dell’Ottocento in molti Paesi europei la contrapposizione politica era tra conservatori e liberali. I primi erano espressione dell’aristocrazia terriera, i secondi, invece, raccoglievano gli intellettuali, la piccola e media borghesia, i piccoli contadini ed erano portatori di istanze di rinnovamento e ricambio economico-sociale.
All’interno del pensiero politico liberale, che solitamente si incarnava in partiti posizionati alla sinistra dello schieramento parlamentare, si formò una frangia progressista particolarmente attenta alle questioni sociali: i radicali. Tra le riforme politiche radicali essi sostenevano l’introduzione del suffragio universale, l’abolizione dei titoli nobiliari e, taluni, la repubblica. I radicali inoltre sostenevano la libertà di stampa e la rigida separazione fra Stato e Chiesa.

Con la nascita dei partiti socialisti e socialdemocratici, i radicali si sono di conseguenza spostati verso il centro-sinistra dello schieramento politico, mentre i liberali si spostarono verso il centro e in taluni casi verso il centro-destra, sposando la causa dell’intervento statale come promotore del progresso sociale. Liberali e Radicali vennero schiacciati tra i conservatori e le forze socialdemocratiche, tanto che in molti Paesi finirono per riunirsi in uno stesso partito e il termine “radicalismo” fu soppiantato dal termine liberalismo sociale.

 

Quello gotico alimentò altri nuovi filoni con autori del tardo Ottocento, come Robert Louis Stevenson, scrittore scozzese autore del celebre romanzo Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886). È considerata la più importante opera di Stevenson in cui in anticipo sulle teorie freudiane, affronta il problema del subconscio (o preconscio) e dello sdoppiamento della personalità. È uno dei più grandi classici della letteratura fantastica di tutti i tempi.

Il dottor Henry Jekyll studiando la psiche umana e la sua condotta dal punto di vista morale, giunge alla conclusione che «l’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due» Passando non senza esitazioni dalla teoria alla pratica, Jekyll miscela varie sostanze e ottiene una pozione dagli effetti straordinari. Essa destruttura l’unità dell’essere umano e conferisce esistenza propria e distinta alle inclinazioni nascoste ma presenti nell’animo:
«La droga infatti, di per se stessa, non agiva in un senso piuttosto che nell’altro, non era divina né diabolica di per sé; scuoté le porte che incarceravano le mie inclinazioni… »
Sperimentando la pozione su di sé, il dottor Jekyll subisce una trasformazione tale da far emergere la sua seconda natura, quella delle sue inclinazioni attratte dal male, soppiantando completamente la propria identità personale. Finché ne dura l’effetto, diventa un altro essere con diverso corpo e diversa psiche: Mister Edward Hyde (che in inglese suona come to hide, nascondere). Assumere una seconda volta la pozione nasconde di nuovo la natura malvagia e consente il restaurarsi dell’identità precedente.
Le due identità, quindi, sono separate sia nell’aspetto fisico come nelle dinamiche psichiche. Ma sia Jekyll sia Hyde hanno memoria dell’alter ego (dell’altro sè).
Il racconto ha avuto innumerevoli versioni teatrali, cinematografiche, musical, fumetti e cartoni animati, videogiochi, oltre a numerose parodie.

Tra le apparizioni più recenti dei personaggi del romanzo di Stevenson vi è il film La leggenda degli uomini straordinari del 2003 diretto da Stephen Norrington, l’ultimo film interpretato da Sean Connery prima del suo ritiro dalle scene.
Il film è tratto dal fumetto La lega degli straordinari gentlemen, nel quale il personaggio di Henry Jekyll si unisce ad altri famosi personaggi del romanzo d’avventura e del fantastico dell’Otto-Novecento, come Allan Quatermain, il capitano Nemo con tanto di Nautilus, l’uomo invisibile, Tom Sawyer, Dorian Gray, Mina Murray, la maestra vampirizzata da Dracula, e persino il mozzo del Pequod, Ismaele di Moby Dick, per combattere contro il nemico giurato di Sherlock Holmes, il professor Moriarty.
In questa opera il protagonista impara a convivere con la sua parte malvagia sfruttandone l’incredibile forza (che ne fa una specie di Hulk, personaggio che a sua volta si rifaceva a Jekyll e Hyde), salvando più volte la situazione.
Jekyll ha anche un cameo nel prologo del film Van Helsing del 2004, scritto e diretto da Stephen Sommers, nel quale viene cacciato dal “cacciatore di mostri” Gabriel Van Helsing (interpretato da Hugh Jackman).

Oltre che nel racconto del brivido, Robert Louis Stevenson eccelse anche nel genere avventuroso, come in L’isola del tesoro (1883). Col suo entusiasmo per il mondo che ci circonda e col suo stupore e il suo incanto di fronte alla forza e all’intensità di una natura selvaggia, non guastata dalla civiltà, pare piuttosto da accostare all’ardore del primo romanticismo, piuttosto che all’ipocrisia vittoriana e dagli eccessi del realismo del suo tempo.
Lo stile di Stevenson, che con gli anni ha saputo acquistare spontaneità, sin dalle prime opere è caratterizzato dalla delicatezza dei ritmi e dalla limpidezza delle frasi. Reminiscenze dell’infanzia compaiono ripetutamente nella sua opera, età in cui si mescolano terrori e fantasie, alimentate dalle storie della bambinaia “Cummy” che si occupava di lui, una donna molto religiosa e dalla fervida immaginazione. Un periodo segnato anche dall’inquietudine dovuta alla sua salute cagionevole e all’eccessiva magrezza che lo costringevano a vagabondare continuamente tra le stazioni climatiche europee. I sogni – talvolta banali, a volte meno strani o informi – lo tormentavano fin da bambino:
“una sfumatura d’oscuro di cui non gli importava nulla quando era sveglio, ma che temeva e aborriva nel sogno”;
ebbe come collaboratori instancabili, sia nel sonno che nella veglia:
“quegli uomini che dirigono il teatrino che c’è in ognuno di noi”.

La sofferenza, il gioco e la fantasia caratteristiche delle sue esperienze infantili, furono anche le componenti fondamentali della sua ispirazione letteraria. Il bambino gracile, sognatore e timoroso di Dio si tramutò in un giovanotto scapestrato e ribelle, effettuando un apprendistato diverso da quello previsto dal padre e poi professandosi ateo.

Trasferitosi negli Stati Uniti, Stevenson si occupò degli emigranti, nel registrare le traversie vissute durante il lungo e disagevole viaggio in treno dall’Atlantico al Pacifico, con cui demoliva non solo il mito dell’America, ma anche quello della Frontiera che Stevenson aveva conosciuto attraverso i romanzi di James Fenimore Cooper (1789-1851) scrittore statunitense famoso per il romanzo L’ultimo dei Mohicani (1826), considerato da molti il suo capolavoro.
Il romanzo è ambientato nello stato di New York nel 1757, durante la Guerra dei sette anni, un conflitto che coinvolse le principali potenze europee dell’epoca e che si estese nei selvaggi territori delle colonie del Nord America.

La storia, che ha come sfondo sia le frequenti battaglie tra francesi e inglesi, sia tra Uroni e Mohicani è stata ripresa da numerosi film indimenticabili, considerati particolarmente importanti per la storia americana.
Decisamente coinvolgente è l’interpretazione di Daniel Day-Lewis nel film, molto toccante, L’ultimo dei Mohicani del 1992 diretto da Michael Mann, famoso soprattutto per la sua colonna sonora. Il film, più che al libro, si ispira principalmente alla sceneggiatura dell’omonimo film del 1920, diretto da Clarence Brown e Maurice Tourneur e a quella dell’omonimo film del 1936, diretto da George B. Seitz.

Sarebbe più opportuno dire che più che in razze,
l’uomo andrebbe suddiviso in buoni e cattivi.

Il mondo perduto

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *