Cucina, parchi e santi della Calabria

Generalmente sobria e austera, la cucina della Calabria al pari della struttura del suo territorio è piuttosto complessa: bagnata da due mari, il Tirreno e lo Ionio, caratterizzata da quattro complessi montuosi: la Sila, il Pollino, le Serre e l’Aspromonte, questa terra dispone di una vasta gamma di prodotti di qualità.
Lo scrittore calabrese Leonida Rèpaci, così ne indicava alcuni in successione:

a maggio il pescespada, a giugno la ciliegia, a luglio il fico melanzano, ad agosto lo zibibbo, a settembre il fico d’India, a ottobre la mostarda, a novembre la noce, a dicembre l’arancia”.

Se a questi ghiotti richiami aggiungiamo le olive e l’olio, le cipolle carnose, dolci e rossicce di Tropea e San Giovanni in Fiore, i capocolli preparati con la lonza del maiale di monte, fatti stagionare appesi all’aria e al fumo, le melanzane a scapece messe a insaporire nel salaturi, uno speciale recipiente di terracotta smaltata a forma cilindrica e, ancora, i porcini salati della Sila che si consumano come quelli freschi dopo averli dissalati in acqua fresca, salta fuori un repertorio sorprendente conosciuto da pochi.

PARCO NATURALE REGIONALE DELLE SERRE

Il parco è un’area naturale protetta situata nel cuore della Calabria, tra l’Aspromonte e la Sila, è percorso da due lunghe catene montuose, da grandi boschi, da corsi d’acqua e cascate spettacolari come la cascata del Marmarico, la più alta della Calabria con i suoi 118 metri.
Istituito nel 2004, il parco che si estende tra le province di Catanzaro, Reggio Calabria, Vibo Valentia, rappresenta un importante patrimonio naturalistico e culturale, ed offre numerose opportunità e attività all’aria aperta.

Le Serre Calabresi sono un gruppo montuoso dell’Appennino meridionale (Monte Covello, Monte Cucco e Monte Pecoraro) che comprendono rilievi di cui alcuni superano i 1400 metri di altitudine, con cime ammantate da fitte foreste, coperte di neve durante l’inverno.

L’area del Parco delle Serre è caratterizzata da una varietà di ambienti, tra cui boschi di faggio, abete bianco, castagno e pino laricio, tra le specie rare si annoverano diverse orchidee e felci, oltre a muschi e licheni di interesse scientifico.

Nel parco sono presenti strade forestali e itinerari sterrati per Mountain Bike, numerosi sono i sentieri segnati dal CAI tra cui  il “Sentiero Frassati delle Serre Calabre”.

I Sentieri Frassati sono percorsi escursionistici ideati dal CAI (Club Alpino Italiano) per rendere omaggio alla figura di Pier Giorgio Frassati (1901–1925), un giovane alpinista torinese che per il suo impegno sociale è diventato simbolo di una gioventù attiva e generosa. Egli amava la bellezza della natura e della montagna, che sentiva lo avvicinava a Dio. Non a caso il suo motto personale era: “Verso l’alto”. Morì a soli 24 anni a causa di una poliomielite fulminante, una malattia molto diffusa ai primi del Novecento. È stato beatificato nel 1990 da Papa Giovanni Paolo II, che lo definì: “L’uomo delle Beatitudini”.
In ogni regione italiana c’è uno di questi sentieri, che viene selezionato per la bellezza ambientale, per il valore spirituale e storico. Pensati come itinerari che uniscono natura, spiritualità e impegno civile, sono ideali per camminare e meditare, in particolare per escursionisti, pellegrini e gruppi CAI.

È questi un percorso ad anello lungo circa 21 km che attraversa boschi secolari e siti di interesse storico, come:
• il Santuario di Santa Maria del Bosco che si trova immerso negli uliveti e boschi secolari e sorge nei pressi dell’eremo dove visse san Bruno di Colonia (1030 circa-1101), un monaco cristiano tedesco, fondatore dell’Ordine dei Certosini la cui vita monastica è solitaria e contemplativa, austera, basata sul rigido silenzio, la preghiera, lo studio e il lavoro manuale.
• le Reali Ferriere Borboniche di Mongiana, sono i resti di un complesso siderurgico storico nato nel 1771, e la fabbrica d’armi inaugurata nel 1852 destinata a produrre cannoni, doppiette, sciabole  che andavano in dotazione all’esercito borbonico, ma anche utensili come bracieri e mortai. È oggi sede di un museo che ne racconta la storia, con allestimenti interattivi e multimediali.

Proprio per valorizzare il trascorso industriale calabrese e salvaguardare il suo patrimonio di risorse, cultura e tradizioni, l’Associazione calabrese archeologia industriale (ACAI) dal 1982 ha dato vita all’Ecomuseo delle Ferriere e Fonderie di Calabria. È un parco archeologico, monumentale, ambientale, dislocato e compreso tra le industrie Borboniche delle Serre, la Valle dello Stilaro e il mare di Kaulon, una colonia della Magna Grecia i cui resti sorgono nei pressi di Punta Stilo vicino Monasterace.
L’Ecomuseo è organizzato su 5 aree con percorsi tematici dedicati a:
– le miniere, da cui venivano estratti minerali ferrosi, rame, piombo, ecc. per alimentare le ferriere e le fonderie, e contribuire allo sviluppo industriale del Sud;
– i mulini, che sfruttando la forza dell’acqua servivano per macinare grano, farina, e anche per le attività artigianali e industriali come la concia delle pelli;
– le centrali idroelettriche, che alimentavano i macchinari di miniere, ferriere e officine, oltre che a fornire elettricità per la comunità anticipando l’elettrificazione del Meridione;
– le risorse forestali, che nel passato fornivano il legname ai cantieri navali borbonici;
– i siti religiosi, come:
• la Certosa di Serra San Bruno fondata nel XI secolo, è un antico monastero ancora oggi abitato da monaci certosini, un centro spirituale di grande rilievo, un luogo di silenzio e contemplazione;
• il Monastero Ortodosso di San Giovanni Therestis che si trova immerso nella natura a breve distanza dalle cascate del Marmarico, in località Bivongi. Sorse nel X secolo durante il dominio bizantino quando i monaci basiliani migrarono dai Balcani e dalla Grecia e ivi costruirono eremi, cenobi, chiese rupestri spesso scavate nella roccia, a testimonianza della loro profonda spiritualità nel condurre una vita ascetica.
Dopo lunghi periodi di abbandono, il monastero è stato recentemente ricostruito da monaci ortodossi provenienti dal Monte Athos (Grecia). È un luogo di ritiro, di silenzio e di preghiera, frequentato da pellegrini ortodossi e cattolici, ed è spesso tappa dei Cammini religiosi calabresi, tra i quali Il cammino basiliano.

San Giovanni Theristis detto “Giovanni il Mietitore”, nacque intorno al 900 d.C. in una famiglia cristiana. Durante una delle tante incursioni saracene lungo la costa calabra, la madre incinta fu catturata e deportata in Sicilia dove nacque Giovanni che crebbe in schiavitù. All’età di quattordici anni, dopo che le sue origini gli furono rivelate dalla madre, fuggì in Calabria dove visse come eremita o cenobita nella Vallata dello Stilaro. Abbracciò quindi la vita monastica secondo la regola basiliana (rito orientale). È venerato come santo sia dalla Chiesa Ortodossa che dalla Chiesa Cattolica.

Di lui si racconta che nel periodo della mietitura un furioso temporale si abbatté sui campi rischiando di distruggere il raccolto, ma Giovanni giunto in soccorso ai contadini disperati pregò con loro intensamente e fece sì che il grano fosse mietuto e raccolto in covoni. L’episodio, che simboleggia la forza umile della fede, gli valse l’appellativo di Therìstis, cioè mietitore.

Gli antichi sentieri un tempo erano percorsi da boscaioli, carrettieri e carbonai che si dirigevano ai luoghi di trasformazione del legno in carbone, in catrame e pece. Altri si occupavano della lavorazione del legno, altri del marmo e del granito calabro, una roccia magmatica molto apprezzata per la sua durezza e resistenza molto adatta per costruzioni e pavimentazioni.

Un piatto della tradizione calabra che costituiva un pasto sostanzioso per i lavoratori è il ‘morseddu’, che viene preparato con interiora (fegato di vitello, di maiale, trippa di vitello) stufate lentamente in un sughetto di aglio e concentrato di pomodoro, insaporito con il peperoncino piccante tritato, e quindi bagnato con il vino rosso tipo Savuto. Del morseddu, detto anche mursiellu, esistono numerose varianti a seconda delle usanze locali e della disponibilità degli ingredienti. Nelle ormai rarissime osterie calabresi veniva servito nelle pitte, panini morbidi che assorbono facilmente l’intingolo.

Il Savuto rosso è un vino DOC che prende il nome dal fiume omonimo il quale forma il confine tra Cosenza e Catanzaro, le due province dove viene esclusivamente prodotto nel rispetto del disciplinare di produzione.  Di colore rosso rubino, dal gusto pieno e asciutto, è un vino che ben accompagna le carni arrosto e alla griglia.

Marchio DOC – (Denominazione di Origine Controllata) è una particolare certificazione istituita nel 1963 e utilizzata in enologia per indicare quei vini di qualità le cui caratteristiche sono determinate da uve raccolte in particolari zone controllate nel rispetto dei requisiti previsti da un apposito disciplinare di produzione.

Altro cibo indicato per forti mangiatori e per palati robusti è il ‘macco di fave’, una fra le più antiche minestre mediterranee che la Calabria conserva nella sua tradizione culinaria, assieme alla Puglia e alla Sicilia. Il macco o maccu deriva dal latino maccus e significa “dalla grossa mascella”, alla base si tratta semplicemente di una polenta di fave cotte e passate al setaccio, alla quale è stata aggiunta poi della pasta, dei finocchietti selvatici, un filo di olio di oliva e qualche cucchiaiata di pecorino grattugiato. Le fave, dopo averle accuratamente scelte, è usanza conservarle per alcuni mesi sotto uno strato di strutto, da cui vengono tolte durante la stagione invernale per cuocerle a fuoco lento con aggiunta di olio di oliva, pancetta a fettine e sottili rondelle di cipolla. Una vera delizia…
Altrettanto saporito è l’abbinamento delle fave, fresche o conservate, con le cotiche (parte di tessuto sottocutaneo detto anche cotenna). Le frittuli, cioè le cotiche, vanno poste per una notte intera ad ammorbidire in acqua fredda, il giorno dopo si cuociono in un tegame a fuoco dolce senza alcun condimento. Le fave quindi si fanno bollire lentamente nel liquido di cottura delle cotiche con uno spicchio di aglio schiacciato.

Nei borghi oltre ai piatti tipici, tramandata di generazione in generazione era l’arte antica della lavorazione delle pipe artigianali, degli esperti impagliatori e dei canestrai, così come l’arte della tessitura, con lana e seta venivano realizzati tessuti d’arredo di grande pregio, come i damaschi e gli arazzi, l’arte della lavorazione a tombolo o all’uncinetto del tradizionale merletto con filo di lino o seta per gli arredi sacri e i corredi, o la tecnica dello sfilato “n’cùllerata” che adorna ancora oggi il costume tradizionale calabrese. È lo sfilato tipico di San Giovanni in Fiore, un comune in provincia di Cosenza le cui origini risalgono al XII secolo quando Gioacchino da Fiore fondò l’Abbazia Florense, un sito storico di grande importanza.

Gioacchino da Fiore nacque intorno al 1130 in un paesino della Sila dove visse in condizioni agiate. Presto dimostrò interesse per lo studio delle Sacre Scritture, e dopo aver compiuto un viaggio in Terrasanta (1167) si ritirò a vita eremitica e penitenziale in Sicilia e in Calabria. Compiendo diversi viaggi venne a contatto con vari ordini monastici e nel 1174 divenne monaco entrando nel monastero di Santa Maria di Corazzo, di cui divenne priore e poi abate. Papa Lucio III messo al corrente dei suoi studi teologici, gli concesse “Licentia scribendi” e lo incoraggiò a scrivere. Nel 1188 egli poté ritirarsi e continuare le sue scritture, le sue idee talvolta generarono tensioni e lo posero in conflitto con la gerarchia ecclesiastica, ma d’altra parte attirò a sé molti discepoli con i quali l’anno successivo salì sull’altopiano silano e fondò l’Abbazia Florense nella località “Iure Vetere”, dedicandola a San Giovanni Battista. Intorno al monastero si sviluppò un villaggio che nel 1530 prese il nome di San Giovanni in Fiore. L’Abbazia di San Giovanni in Fiore è uno dei luoghi di culto più grandi della Calabria.
Gioacchino da Fiore fondatore dell’Ordine florense, fu uno dei pensatori religiosi più originali del Medioevo, la sua opera principale è l’Expositio in Apocalypsim (Commentario sull’Apocalisse) dedicata all’interpretazione dell’Apocalisse di Giovanni, sviluppando la teoria delle tre età della storia dell’umanità:
• L’età del Padre: che corrisponde all’Antico Testamento, segnata dalla Legge e dal timore, dominata dal ruolo dei patriarchi e dei profeti.
• L’età del Figlio: corrisponde al Nuovo Testamento, incentrato sulla venuta di Cristo e sull’istituzione della Chiesa, è l’epoca della fede, dei sacramenti, della struttura gerarchica.
• L’età dello Spirito Santo: un’epoca che verrà, in cui la presenza dello Spirito Santo porterà una nuova forma di spiritualità, capace di superare le tradizionali strutture della Chiesa. Un tempo caratterizzato dall’amore e dall’illuminazione spirituale, un tempo di pace universale e armonia.

Più di cent’anni dopo la sua morte, Dante Alighieri nella Divina Commedia inserì Gioacchino da Fiore nel paradiso (canto XII, versi 139-141), tra la schiera dei beati sapienti, corrispondenti agli odierni dottori della Chiesa. Otto secoli dopo, nel 2024 Papa Francesco lo cita nel messaggio per la Giornata mondiale del creato, dicendo di lui: “Seppe indicare l’ideale di un nuovo spirito”.

In Calabria molti borghi che nel tempo sono stati abbandonati in conseguenza a disastri naturali, come terremoti, frane, alluvioni, o in seguito a eventi storici, come assedi e bombardamenti, grazie al turismo e ad attività culturali stanno ritornando ad avere nuova vita ritrovando il fascino del passato.

Un vero gioiello naturale che si trova all’interno del Parco delle Serre è: il Bosco Archifòro,  popolato da maestosi abeti bianchi tra i più alti d’Europa alle quote inferiori, mescolati a faggi monumentali con l’elevarsi delle quote. Questi monumenti vegetali qui trovano un microclima unico, un terreno pulito e umido ricoperto di muschio che favorisce la loro crescita.
Il bosco Archifòro è delimitato dalla Pietra del Caricatore, un imponente blocco granitico, insieme alla vicina Pietra dell’Ammienzo (nella foto) anch’essa un’imponente formazione granitica monolitica, da cui veniva estratto il granito per l’arte e l’architettura.
Il Sentiero Archifòro che ben si confà per chi ama le escursioni, rispetto ai cammini ad anello più impegnativi, attraversa il bosco che si caratterizza per la ricca biodiversità con rarità botaniche tra i licheni e le orchidee alpine, e offre un habitat per ungulati, lupo, gatto selvatico, anfibi e rapaci.

Al Parco delle Serre è anche affidata la gestione di una delle riserve più importanti del Mediterraneo presente nel territorio: l’Oasi del Lago Angitola. Il lago creato artificialmente nel 1966 dallo sbarramento del fiume Angitola, è vincolato a zona di protezione della fauna e ai sensi della convenzione di RAMSAR, è stato dichiarato “zona umida di valore internazionale” (D.M.30/09/1985).

Convenzione di Ramsar – è un trattato internazionale firmato a Rasmar (Iran) nel 1971 per la conservazione e l’uso sostenibile delle zone umide (paludi, torbiere, laghi, ecc.) a livello globale, con particolare attenzione al loro ruolo come habitat per gli uccelli acquatici. La Convenzione di Ramsar è stata ratificata e resa esecutiva dall’Italia nel 1976, assumendo l’impegno di designare specifici siti (Siti Ramsar) che vengono inclusi in una lista internazionale, e di attivarsi per la protezione di questi ecosistemi vitali per la biodiversità, la regolazione idrica e lo sviluppo sostenibile.

Questa magnifica oasi nata nel 1975 come Oasi WWF per le sue particolari condizioni ambientali attrae una grande quantità di uccelli di oltre cento specie diverse, che qui trovano un luogo ideale per una sosta e per la riproduzione. Con i grandi flussi migratori vi transitano in primavera e in autunno, e in inverno si riscontra una considerevole concentrazione di uccelli svernanti. È il luogo ideale per chi ama osservarli da postazioni e capanni, ascoltare il loro canto, magari imparando a riconoscerlo (birdwatching).
Sul colle che guarda il lago si trovano i ruderi medievali della Rocca Angitola, antica fortezza medievale.

Tra la fauna in territorio calabrese sono tutelate numerose specie di uccelli, come il picchio nero e i rapaci. Dal 2003 e principalmente in provincia di Cosenza è attivo il “Progetto Cicogna bianca” promosso dalla delegazione LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli) di Rende, per favorire il ritorno della cicogna bianca in Calabria.

La cicogna bianca… proprio quella che nei racconti di un tempo si diceva portasse “i bambini, nuovi nati, all’interno di un fagotto legato al lungo becco”.
Una specie che in Italia si pensava estinta, rimasta solo sul libro di lettura delle scuole elementari e di cui, chi allora era bambino, ne ha serbato un affettuoso ricordo…
e ai genitori, per spiegare ai loro figli come nascono i bambini, non è rimasto che “il cavolo dell’orto”!  😀

Negli ultimi anni invece le cicogne bianche sono tornate a nidificare e a popolare il territorio, grazie a un insieme di fattori ambientali, climatici e a progetti di conservazione mirati, come ad esempio l’installazione di decine di piattaforme per consentire alle cicogne di nidificare sui pali elettrici in assoluta sicurezza, prevenendo gli incidenti dovuti a folgorazione.

Più che il cavolo dell’orto… regine indiscusse della Calabria sono le melanzane, piante originarie delle Indie che necessitano di un clima piuttosto caldo, trovando un habitat ideale nel territorio calabrese. Vengono distinte con il nome ‘violette lunghe’, hanno una polpa assai gustosa e priva di tracce di amaro, perciò non necessitano di essere pretrattate con il sale.
Va ricordato che il piatto comunemente noto come ‘melanzane alla parmigiana’, in realtà si chiama ‘parmigiana di melanzane’ e ha avuto origine in Calabria. Alle fette di melanzane fritte disposte a strati nella tortiera, vengono aggiunti spicchi di uova sode, polpettine, provola a fette sottili, basilico e salsa di pomodoro. Fuori regione il piatto è stato alleggerito togliendo le uova e (ahimè) le polpettine.

Oltre alle specie di uccelli in Calabria sono tutelati anche altri animali come la lontra e il lupo appenninico.

La lontra vive prevalentemente nei pressi dell’acqua, dove in genere trova il suo nutrimento dato che è un animale carnivoro, di solito è più attivo di notte. La sua presenza indica fiumi sani, ma è una specie vulnerabile a minacce come investimenti stradali, caccia, inquinamento e alterazioni fluviali. È un animale a rischio di estinzione. Mentre in Calabria si registrano frequenti avvistamenti, in altre regioni d’Italia sembra essere scomparsa.

Il lupo di norma vive tra i boschi montani nutrendosi di piccoli animali, ma attacca anche mammiferi più grandi come cervi e cinghiali. In caso di penuria di prede arriva talvolta ad attaccare anche le greggi, e ciò ha portato a una caccia spietata nei suoi confronti che ha decimato la popolazione fino a portarla sull’orlo dell’estinzione.
A minacciarlo seriamente sono infatti soltanto gli umani. Il lupo è considerato un predatore all’apice della catena alimentare ed è una specie fondamentale per il ruolo chiave che svolge nel mantenere l’equilibrio degli ecosistemi, tenendo sotto controllo le popolazioni di prede e contribuendo a mantenere sana la loro distribuzione. Il declino della popolazione del lupo grigio (il lupo comune) si è arrestato negli anni Settanta del secolo scorso, un esiguo numero di esemplari era rimasto quasi esclusivamente sull’Appennino centro-meridionale.
La definitiva scomparsa di questa specie è stata evitata grazie alle campagne condotte dalle organizzazioni ambientalistiche, le cui raccomandazioni sono state recepite dalle autorità con norme che dichiarano il lupo come specie protetta vietandone la caccia e prevedendo pene severe per i trasgressori. In tutto l’arco alpino la ricolonizzazione del lupo è avvenuta in maniera esclusivamente naturale.

«Nell’immaginario comune il lupo rappresenta un animale famelico, aggressivo e cattivo, caratteri alimentati da miti e leggende. L’ululato del lupo nella notte induce inquietudine nei racconti horror, e paura se pensato in branco, o compassione se immaginato come lupo solitario. I lupi sono simbolo di coraggio e lealtà al branco.
Nei racconti per bambini gli tocca sempre fare la parte del cattivo… come nella fiaba “I tre porcellini”, ma sempre per fini educativi, come nella favola pubblicata in forma anonima sul web “Il lupo e l’uccellino” e quella attribuita ad Esopo “Al lupo! Al lupo!”.
Fedro invece racconta di un lupo
e un agnello che si stanno abbeverando allo stesso ruscello. Quando il lupo famelico lo accusa di intorbidargli l’acqua, l’agnello osserva che ciò è impossibile poiché lui si trova più in basso del lupo. Allora il lupo cerca un altro pretesto e lo accusa di aver parlato male di lui sei mesi prima, ma l’agnello gli assicura che non era ancora nato! Allora il lupo conclude che deve essere stato suo padre ad aver parlato male di lui! E nel mentre afferra e divora l’agnello, arrecandogli una morte ingiusta. Una favola scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con ingiuste accuse.
Ma poi arriva Gianni Rodari a scombinare tutto con Le favole al rovescio, e invita i bambini a giocare con la fantasia e a creare un finale proprio, come fa nel suo libro “Tante storie per giocare” (1977)».

La Calabria ospita diverse Aree Marine Protette e parchi marini regionali, lungo la costa ionica spicca l’Area naturale marina protetta Capo Rizzuto, istituita nel 1991 e gestita dalla provincia di Crotone è una riserva marina molto importante sia dal punto di vista della fauna e della flora, sia per le spiagge bianche e le acque cristalline.
L’area è delimitata da diversi promontori, tra cui quello del Parco archeologico di Capo Colonna dove è rimasta un’unica colonna del tempio di Hera Lacinia, dea sorella e sposa di Zeus (Giunone per i romani), e si estende fino a Le Castella, un borgo costiero famoso per il suo castello aragonese e per i fondali spettacolari.

Sulla cinta collinare costiera in provincia di Crotone si trova l’antichissima Cirò, il borgo che diede i natali all’abate Nicodemo, e dove gli abitanti della parte costiera si rifugiarono per difendersi dai continui saccheggi e devastazioni.

San Nicodemo da Cirò nacque nel X secolo, attratto fin da giovane dalla vita monastica professata al tempo dagli asceti, decise di farsi monaco cercando di entrare nel Mercurion, una serie di comunità basiliane che vivevano sulle balze del Pollino. Ma san Fantino, l’austero abate a lungo rifiutò la sua richiesta, giudicandolo troppo gracile per sopportare la vita cenobitica.
Infine l’accolse e Nicodemo divenne suo discepolo e seppe contraddistinguersi per la profonda umiltà, l’amore per la natura e la carità verso il prossimo, divenendo un esempio per gli altri monaci.
Lasciato il Mercurion si trasferì in altri luoghi dove continuò a condurre una vita ascetica sempre più austera. Egli divenne popolarissimo e amato da tutti, tanto che in età matura quando decise di ritirarsi a Mammola in un luogo solitario, attirò a sé un gran numero di monaci e asceti fino a fondare un monastero in cui morì nel 990, e che venne poi a lui dedicato.

Una leggenda del posto racconta che durante un’incursione di briganti a Mammola, il santo apparve loro tra le rocce come una luce luminosa. Spaventati fuggirono a gambe levate e il villaggio fu salvo. Da allora San Nicodemo è considerato il protettore delle comunità calabresi  contro le ingiustizie e le violenze.

A Cirò si produce un vino rosso tra i più antichi del mondo, conosciuto ancor prima della civiltà Romana: il Cirò DOC ricavato da uve di Gaglioppo, un vitigno a bacca nera autoctono calabrese, che donano un colore rosso rubino intenso a un vino robusto e strutturato, con note di frutta rossa e spezie. Ben si abbina a carni rosse e formaggi stagionati.

Un piatto rinomato della cucina marinara calabrese, che  riserva pochi piatti ma molto ben caratterizzati, è la mùstica o caviale calabrese preparato con giovanissime sardelle sapientemente lavorate con olio di oliva e pepe rosso in polvere. E il pesce spada alla bagnarese, con fettine di limone, capperi, aglio, origano e prezzemolo. La pesca del pesce spada avviene su tipiche barche appositamente attrezzate, dette passerelle.

In provincia di Crotone è stato istituito un geosito di interesse internazionale: il Geosito dei Diapiri salini di Zinga, una frazione del comune di Casabona, riconosciuto dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Si tratta di un’area che si caratterizza per affioramenti di masse saline antichissime, che hanno plasmato il paesaggio e custodiscono segreti geologici del Mediterraneo.

CONTINUA

 

 

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