Il vino, poesia della terra


Il vino è la poesia della terra.

Mario Soldati

Secondo la Mitologia greca a insegnare ai mortali l’arte della viticoltura e della vinificazione fu Dioniso, dio dell’uva e del vino figlio di Zeus e della mortale Semele, figlia di Armonia e di Cadmo, re di Tebe.
Il suo mito probabilmente di origine tracia, si rivolge a tutta la natura e alle sue molteplici manifestazioni: la gioia della rinascita a primavera, il rigoglioso vigore dell’estate, il malinconico sopore autunnale, il freddo e lungo letargo invernale. Egli personifica il ripetersi del ciclo della natura che muore e rinasce.

Si narra che Semele amata da Zeus fu indotta da Era, gelosa di lei, a chiedere al dio di mostrarsi in tutto il suo splendore e la sua potenza. Ma ella, alla visione del fulmine di Zeus, venne incenerita. Avendo in grembo suo figlio, Zeus lo salvò dal fuoco e non essendo ancora maturo per nascere completò la gestazione all’interno della sua coscia. Datolo poi alla luce, venne affidato alle cure delle ninfe del Monte Nisa.

Una volta adulto, Dioniso trovata la vite apprese a coltivarla e dai frutti ne ricavò la bevanda inebriante che a tutti egli dispensava…
E con un numeroso corteo ei si trova a vagare pei boschi incoronato di edera e di alloro, lo accompagnano satiri, ninfe, centauri, e le menadi (o baccanti), invasate dal dio. Tutti lo celebrano. L’ebbrezza dionisiaca cagiona in alcuni dolcezza e gioia, in altri una selvaggia follia. Il corteo si fa sempre più numeroso girovagando fino agli estremi confini del mondo.
Nell’isola di Nasso, Dioniso incontra Arianna che dormiente è stata abbandonata da Teseo. Egli la consola e la fa sua sposa.
Giunto in Frigia la dea Cibele lo inizia ai misteri; da questa divinità anatolica e venerata come Grande Madre, egli apprende quelle danze che diventano parte delle sue cerimonie rituali,
gli orgia.
Una volta raggiunta la Grecia, i Misteri dionisiaci entrano a far parte della religiosità greca.

I MISTERI

Per misteri s’intendono quei culti di carattere esoterico che affondano le loro radici nelle antiche iniziazioni primitive e che si diffusero in tutto il mondo antico greco e medio-orientale, con un particolare sviluppo in età ellenistica e successivamente in epoca romana.
È in ambito prevalentemente agricolo che si radicano queste forme religiose misteriche, la cui visione del ciclo naturale vita – morte – rinascita, per analogia è simile alla sorte dell’uomo che rinasce a nuova vita.
Nei riti di iniziazione dei culti esoterici ad essere celebrata è la rappresentazione drammatica, simbolica e spirituale dell’alternanza ciclica dei fenomeni naturali.

 

Maschera di Dioniso, tra il II-I sec a.C. Museo del Louvre, Parigi

Le feste legate ai culti o misteri dionisiaci erano numerose e celebrate principalmente all’inizio e al termine della vegetazione. Durante le celebrazioni si svolgevano rappresentazioni teatrali tragiche e comiche, a carattere competitivo, con l’utilizzo di maschere. Centrale era la funzione della musica secondo un uso che si traspose nella commedia attica, così come il ditirambo (una poesia lirica corale), i cori e le danze che furono adottati nella tragedia.
È da questo rito collettivo della pòlis che si suppone abbia avuto origine la tragedia greca. Le tragedie di autori greci come Eschilo, Sofocle ed Euripide, le commedie anche di satira politica di Aristofane, di Menandro, venivano messe in scena nel teatro di Dioniso presso l’acropoli di Atene attirando le genti dei paesi intorno.

Dioniso incarna, nel suo delirio mistico,
la scintilla primordiale e istintuale
presente in ogni essere vivente.

L’estasi dionisiaca significa anzitutto il superamento della condizione umana, la scoperta della liberazione totale, il raggiungimento di una libertà e di una spontaneità inaccessibili ai mortali.

Mircea Eliade
Storia delle credenze e delle idee religiose, 1978

Nei rituali dionisiaci venivano stravolte le strutture logiche, morali e sociali del mondo abituale. Il filosofo Friedrich Nietzsche, ne La nascita della tragedia, affermò che la potenza dionisiaca induceva in uno stato di estasi ed ebbrezza infrangendo il cosiddetto “principio di individuazione”, ossia il rivestimento soggettivo di ciascun individuo, e riconciliava l’essere umano con la natura in uno stato superiore di armonia universale che abbatteva convenzioni e divisioni sociali stabilite arbitrariamente dall’uomo.
Nietzsche sosteneva che la vita stessa, come principio che anima i viventi, è istinto, sensualità, caos e irrazionalità, e per questo non poté che vedere in Dioniso la perfetta metafora dell’esistenza: ciò che infonde vita nelle arterie del mondo è infatti una fonte primeva e misteriosa che fluttua caotica nel corpo e nello spirito, è la tempesta primigenia del cosmo in eterno mutamento.
Hegel, da parte sua, nella prefazione alla Fenomenologia dello spirito, raffigurò in un’immagine dionisiaca la conoscenza del Vero, quando la paragonò al «vacillare della baccante, in cui non v’è membro che non sia ebbro».

Maria Papachristos
Gli Dèi dell’Olimpo, 2014

Divinità enigmatica e ammaliante, Dioniso si faceva beffe di ogni ordinamento e convenzione, sconvolgeva le coscienze, sgretolava regole e inibizioni riconducendo gli uomini, in un vortice delirante, al loro stato di purezza primordiale. Per il filologo Walter Otto rappresenta “lo spirito divino di una realtà smisurata” che si manifesta in un eterno deflagare di forze opposte: estasi e terrore, vita e morte, creazione e distruzione, fragore e silenzio, è una pulsione vitale dirompente e selvaggia, che affascina e inquieta: la sinfonia inebriante dell’universale realtà del cosmo.

Maria Papachristos
I semidei, 2014

Con i rituali orgiastici si compie così il rovesciamento dell’ordine, la realizzazione rituale del disordine quale condizione del radicale rinnovamento dell’ordine.

Nell’antichità il culto di Dioniso si espanse spontaneamente.
Conosciuto come Bacco giunse nella penisola italica nel II secolo a.C. e si diffuse presso i Romani dove i misteri dionisiaci furono chiamati Baccanali. Nel 186 a.C il Senato romano nel tentativo di frenarne la rapida diffusione li proibì, ma continuarono ad essere celebrati segretamente tanto che nel I secolo d.C. erano ancora popolari, come attestano le raffigurazioni visibili sui sarcofagi e le celebri pitture murali della Villa dei Misteri a Pompei.

 


Trionfo di Bacco (I bevitori) di Diego Velázquez

Dioniso o Bacco, è il dio della musica, dei teatranti e dei baccanali, colui il quale rappresenta l’impeto dei sensi, l’ebrezza che deriva dall’arte sensuale, ovvero la musica e la danza.

Nella filosofia di Nietzsche lo spirito dionisiaco caotico e irrazionale viene contrapposto allo spirito razionale di Apollo che rappresenta l’armonia e l’equilibrio.
Lo spirito dionisiaco è dunque per Nietzsche lo spirito gaio e entusiasta dell’uomo che dice “sì” alla vita, la quale ha i tratti autentici dell’imprevisto, nell’irrazionale e nell’impeto sensuale.

Syntmentis – Piccolo Dizionario Filosofico (Riflessioni.it)

Il Trionfo di Bacco di Diego Velázquez

Il dipinto con soggetto mitologico venne realizzato da Velázquez nel primo periodo, tra il 1628-29, e oggi è conservato nel Museo del Prado a Madrid.
Vi è rappresentato un giovane dio Bacco accanto al quale si affollano alcuni popolani, persone semplici, che paiono grati per quello sprazzo di leggerezza che ha donato loro, alleviando la fatica del vivere quotidiano. Traspare dalla loro espressione una certa complicità con lo spettatore, come a voler condividere l’allegrezza anche con chi da fuori guarda il dipinto.
Un giovane chino con lo spadino sta per essere incoronato con foglie d’edera, pianta sacra a Bacco, come a riconoscere la sua fedeltà. Come quella di Velázquez per il suo sovrano (non a caso si usa dire “l’edera dove si attacca muore”). Del resto la stessa corona cinge il capo dei satiri.
E Bacco volgendo lo sguardo fuori campo sembra celare un pensiero… qual che sia, a ognuno resta interpretarlo. Che sia l’invito ad avere un po’ d’indulgenza, che a essere troppo ligi ci si spezza?

 

...Ciascun suoni, balli e canti,
arda di dolcezza il core:
non fatica, non dolore!
Ciò che ha esser, convien sia.
Chi vuole esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

da la “Canzona di Bacco”
Lorenzo de’ Medici

Termina così la ballata ideata dallo stesso Lorenzo e composta probabilmente nel 1490 per essere eseguita con musica e in forma corale durante le feste del Carnevale. Essa invita a godere pienamente delle gioie della vita nella consapevolezza della loro fugacità.


Il Trionfo di Bacco e Arianna – Angelo Branduardi (1994)

In epoca classica Bacco e i suoi culti furono soppiantati da Liber (detto anche Liber Pater), il dio italico della fecondità. Sebbene non vi fossero luoghi di culto a lui dedicati, nell’Urbe si festeggiavano i Liberalia con feste e divertimenti e il riposo nei campi, in quanto Liber era un dio di carattere agreste.
I giovani in quei giorni avevano diritto a divenire adulti, secondo le regole del tempo, con l’assegnazione della toga virilis e del praenomen (nome proprio) accanto al nomen (cognome che individuava la gens) e cognomen (che indicava la famiglia all’interno della gens).

LA VENDEMMIA

Prema co ’l piè gagliardo un giovinetto,
entro il tino di quercia, le capaci
sacca ricolme d’uva succulenta;
ed all’urto gli scorra il mosto in rivi.

Poggiato ad una verde asta silvana,
ei moderi co ’l suo canto l’alterno
salto de’ piedi; e sia composto, quale
è Dïonigi nel buon marmo acheo…

di Gabriele D’Annunzio

dal libro La Chimera, 1888

La vendemmia, come in molti altri lavori sui campi, un tempo era allietata dai canti popolari che smorzavano il senso della fatica. L’uva raccolta veniva poi pestata con i piedi nudi nei grandi tini, e spesso diventava una festa che raccoglieva la famiglia, se non la comunità intera.

Viti e vitigni

Come nelle scene del film Il profumo del mosto selvatico del 1995 diretto da Alfonso Arau, remake di Quattro passi fra le nuvole del 1942 di Alessandro Blasetti, soggetto di Cesare Zavattini e Piero Tellini. Un bellissimo film in cui a un certo punto compare il grande Giancarlo Giannini e… sembra di essere in Italia. La cura dell’antica vigna, la gelata da scongiurare, la vendemmia e la benedizione… Tutto è un rito, che si ripete anno dopo anno.

La giovane Victoria Aragon (Aitana Sánchez-Gijón), studentessa universitaria di origini messicane e figlia di un ricco viticoltore della Napa Valley, una contea della California, è in attesa di un figlio e, disperata sta tornando a casa per affrontare un padre autoritario e testardo (Giancarlo Giannini). Durante il viaggio in treno incontra Paul Sutton (Keanu Reeves), un rappresentante di cioccolatini che dopo essere ritornato a casa alla fine della Seconda guerra mondiale è rimasto amareggiato dall’indifferenza della moglie, una donna conosciuta e sposata poco prima di partire, forse con la speranza di tornare a casa e trovare qualcuno ad attenderlo.

Paul si offre di aiutare Victoria. Fingendosi marito e moglie si recano insieme a “Las Nubes”, la tenuta della famiglia Aragon che vanta 400 anni di storia. Paul invece è un ragazzo senza radici cresciuto in un orfanotrofio, con un lavoro apparentemente insignificante, ma buono e cortese. Insieme dovranno affrontare un padre molto infuriato, ma le cose non andranno come avevano progettato perché l’imprevedibile nonno Don Pedro (Anthony Quinn), con la scusa dei cioccolatini… ci metterà lo zampino.

Non si sapeva mai di preciso quando la vendemmia sarebbe cominciata, perché era il vecchio cieco Chicchinu Bastìu a dire qual era il momento giusto, cioè esattamente il giorno prima che si sentisse nell’aria l’odore dell’uva pronta a far mosto. I nipoti lo portavano al campo tutti i giorni, e lui, solenne, annusava a occhi chiusi il vento lieve che venendo dal mare sfiorava la vigna. Nell’onda d’aria che scuoteva le foglie e frugava tra le pieghe fitte dei grappoli, il vecchio sosteneva di percepire la voce del vino che doveva nascere, come una levatrice esperta. Maria quella leggenda non si stancava mai di sentirla.

di Michela Murgia dal libro Accabadora, Einaudi

Dalla vendemmia si otteneva così il succo dell’uva che a noi bambini piaceva molto, il cosiddetto mosto.
Quando venni ad abitare qui in pianura ho cominciato a sentire parlare dei sugoli preparati con il mosto. Non li conoscevo, ma poi sfogliando il libro “La ricetta della nonna” ho trovato come prepararli.

ANTICHE RICETTE:

I Sugoli

Ingredienti:

3 litri di mosto
4 hg di farina fiore
3 hg di zucchero

Preparazione:

Stemperate la farina con un po’ di mosto in una pentola, possibilmente di rame.
Mettete al fuoco aggiungendo un po’ alla volta il mosto che vi rimane, e mescolate in continuazione con un cucchiaio di legno.
Fate bollire a fuoco lento per circa tre quarti d’ora.
Aggiungete lo zucchero, attendente ancora qualche minuto per farlo amalgamare per bene.
I sugoli, che devono risultare “fissi ma molisini” sono pronti (densi ma morbidi).

Stè atenti che no i ve vegna fora farinosi e che no i ve se taca. Cavà dal fogo, i sugoli i se buta su dele piadenele e i se lassa là. Più veci che i diventa e più boni i xè; e se i fa la muffa i xè mejo ancora.
(State attenti che non escano farinosi e che non si attacchino. Tolti dal fuoco, i sugoli si versano su delle ciotoline e si lasciano là. Più vecchi diventano e più buoni sono; e se fanno la muffa sono meglio ancora).

Tratto da: La ricetta della nonna – antologia di ricette ricostruite dagli scolari e dagli studenti delle Province di Padova e Rovigo (Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, 1982)

SAN MARTINO

La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.

Giosuè Carducci

I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia:
rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo.
Non bisogna agitarla, la bottiglia.

Mario Rigoni Stern

Questa era la mia camera quando ero piccolo. Dormire qui… questo era il posto più sicuro del mondo. Niente compiti, niente orari, niente adulti che litigavano. Amavo tantissimo Henry, ma non sono mai riuscito a dirglielo. Mi fa sentire uno schifo. Quelle estati mi hanno salvato la vita”.

Max, a cui giunge la notizia della morte dello zio, si ritrova unico erede della tenuta e del vigneto in Provenza. Sembra aver scordato i luoghi dove ha vissuto i più bei momenti della sua vita, dove il tempo fluiva lento, con i preziosi saggi insegnamenti di zio Henry. «Una volta che trovi qualcosa di buono, Max, devi averne cura. Devi lasciare che cresca».

Sono passati molti anni da quando Max era un ragazzino (interpretato da Freddie Highmore, lo stesso del film August Rush – La musica nel cuore) e trascorreva le sue vacanze dallo zio Henry (Albert Finney) nella splendida campagna francese.

Max Skinner (Russell Crowe) è il protagonista del film Un’ottima annata del 2006 diretto da Ridley Scott. È diventato un broker londinese, avido e spietato, tutto ciò che incontra deve piegarsi al suo volere ed è convinto che “vincere non è tutto: è l’unica cosa“.
Decide di tornare alla tenuta con il sol scopo di capitalizzarne il valore e vendere tutto. Ma appena arriva in quella casa le cose sembrano essere fuori dal suo controllo. I ricordi riemergono, gli eventi accadono, imprevedibilmente… come lo scontro con Fanny, la proprietaria del bistrot del paese.
Lontano da quel luogo magico e accogliente sembra aver rimosso tutto, anche quell’esistenza tranquilla “a misura d’uomo”… Ma più riaffiorano i ricordi e più egli appare confuso.

“Fanny, questo posto non si adatta alla mia vita.”

“No. È la tua vita che non si adatta a questo posto”.

Man mano si riappropria del suo passato, e della sua vita. Il denaro infondo è un qualcosa di effimero, mentre lì le cose sono sostanza, hanno una consistenza, una genuinità.

Max ti ho mai detto perché fare il vino è per me fonte di grande piacere? Io amo fare il vino perché questo nettare sublime è semplicemente incapace di mentire, vendemmiato presto o tardi non importa, il vino ti bisbiglierà in bocca sempre con completa e imperturbabile onestà ogni volta che ne berrai un sorso.

Una volta ottenuto il mosto viene lasciato lì a fermentare, e pian piano si trasforma in vino grazie allo zucchero contenuto nell’uva.

L’arte della vinificazione
e della degustazione dei vini

Era usanza per le donne venete scegliere i migliori tralci di uva Garganega, dal chicco gustoso e dalla dura buccia dorata, e appenderli in soffitta su fili di ferro a lasciarli appassire fino al principio del nuovo anno. Dal loro mosto si otteneva uno speciale vino passito: il Recioto.

Il Recioto è un famoso e pregiato vino veneto la cui denominazione è protetta da una legge fin dal 1975. È il primo vino veneto ad ottenere la Denominazione di origine controllata e garantita (DOCGche nel veronese prende il nome di Recioto di Soave e nel vicentino Recioto di Gambellara, la cui produzione è consentita solo nella zona collinare in provincia di Verona e Vicenza, lungo la cosiddetta Strada del Recioto.
Il nome di questo pregiato vino pare derivi dal termine dialettale “recia” che è la parte alta del grappolo di Garganega, quella più ricca di zuccheri e meglio esposta alla luce solare.

Un buon vino è come un buon film:
dura un istante e ti lascia in bocca un sapore di gloria;
è nuovo ad ogni sorso e, come avviene con i film,
nasce e rinasce in ogni assaggiatore.

Federico Fellini (1920 – 1993)

Jean, Juliette e Jérémie fin da bambini sono stati iniziati all’arte della degustazione dei vini dai genitori, proprietari di un esclusivo vigneto in Borgogna dove sono stati cresciuti. Jean (Pio Marmaï) il maggiore, ha un carattere inquieto e a un certo punto della sua vita decide di lasciare la casa paterna e di mettersi in viaggio per dare un significato alla sua vita, che rimane comunque legata al vino. Ma lontano da casa in Australia, dove si è creato una nuova famiglia, tuttavia le sue difficoltà relazionali permangono. Jérémie (François Civil) invece, ha sposato una ragazza del luogo, sarebbe anche contento della sua vita… se non fosse per i suoceri, decisamente invadenti. Solo Juliette (Ana Girardot) è rimasta a occuparsi del vigneto famigliare, lei genuina come lo era da bambina, genuina come l’uva, come il vino, come la tradizione della sua famiglia.  

Gli ultimi giorni di vita del padre li porta a riunirsi dopo tanto tempo, dovranno affrontare insieme ostacoli che sembrano insormontabili, e decidere se voltare pagina o mantenere vive le loro origini.

Il film Ritorno in Borgogna del 2017 per la regia di Cédric Klapisch è un film molto piacevole, da vedere. Seppur ambientato in Francia sembra di essere in Italia sia per il paesaggio molto simile, sia per le vicende che accadono. Il richiamo della terra, i ricordi dell’infanzia, la vendemmia e l’allegria che porta con sè, ti faranno riassaporare i piaceri di una vita semplice e autentica.

L’amore è come il vino, ha bisogno di tempo.

Leda


Pane e vino

La volpe e i grappoli d’uva

 

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