Seta – Commento al film

“SETA”
di Françoise Girard

Il film tratto dall’omonimo romanzo di Alessandro Baricco, è ambientato a metà del 1800 e racconta la storia di Hervé Joncour (Michael Pitt), un soldato francese che abbandona la carriera militare per diventare un commerciante di bachi da seta e sposare Hélène Fouquet (Keira Knightley), di cui è innamorato.

A causa di un’epidemia che colpisce i bachi da seta in Europa e in Africa, Hervé è costretto a recarsi in Giappone per comprarne le uova. Per lui è un paese sconosciuto e il suo unico contatto è Hara Jubei (Kōji Yakusho), un uomo con cui fin da subito si instaura un rapporto di reciproca fiducia. Hervé è attratto dai paesaggi e dalle usanze di quel paese, ma soprattutto dalla giovane ragazza che accompagna sempre Hara Jubei. Tra i due nasce un’intenso scambio di sguardi discreti e segreti.

Al rientro in Francia Hervé è contento di ritrovare tutto come prima, ma sente che è lui ad essere cambiato. In un secondo viaggio rivede la ragazza, con la quale avrà un breve contatto di pelle e lei gli lascerà nella mano un bigliettino scritto con i caratteri giapponesi che riuscirà a far tradurre solo in seguito. Hervé troverà il pretesto per tornare ancora una volta, nonostante una guerra civile in atto, ma la sua ormai è diventata una passione-ossessione che lo spinge a cercare la carovana di Hara Jubei che si sta spostando.
Egli prende atto delle dure leggi antiche giapponesi e sarà costretto a lasciare il Giappone non senza difficoltà e ritardi. Le uova acquistate subito un deterioramento, avrà come conseguenza la chiusura delle filande e la gente che resta senza lavoro.
Ricevuta una lettera scritta in giapponese con cui la giovane ragazza delicatamente gli dice addio, Hervé si chiude in se stesso e non parla con nessuno fino al giorno in cui, rendendosi conto che tutto il paese soffre della crisi, decide di riportare in vita il giardino di Hélène, affidando il lavoro agli abitanti del luogo.
Sembra finalmente aver ritrovato l’armonia con se stesso e con la moglie…

Dopo aver letto varie recensioni, ho voluto rivedere ancora questo film perché mi aveva lasciato un piacevole ricordo, sia per il paesaggio suggestivo sia per l’attenzione ai particolari che la cultura giapponese coltiva fino al dettaglio, con un risultato armonico dei sensi, un culto della bellezza. La gestualità lenta, accurata, delicata in particolare, mi ha sempre affascinata, il piacere che si può trovare anche nei piccoli gesti di tutti i giorni a cui non prestiamo attenzione e che compiamo in modo automatico e spesso rozzo, aggredendo le cose. Se ci soffermiamo un attimo a guardare le nostre mani e l’abilità con cui sanno muoversi scopriremmo dei piaceri dimenticati e così la gestualità nel parlare con le persone, l’abbraccio, il bacio, la pacca sulla spalla, il prendersi sottobraccio oggi sembrano scomparsi, soppiantati da un freddo distacco.

Il film prosegue con un andamento lento, con momenti di silenzio, con poche parole, ma tanto “non detto” che si vede e che si sente. Nel suo insieme il film dà valore alla felicità nelle piccole cose di ogni giorno, che si trova con le persone che ci sono vicine con il cuore, e nel saperlo riconoscere.
Spesso siamo affascinati da ciò che è misterioso, irraggiungibile, ciò che rappresenta soltanto degli idoli, più per soddisfare dei desideri che per trarre gioia e bellezza da quello che ci sta intorno. Sembra tutto così scontato, dovuto, e non un dono…

Titolo originale: Silk
di François Girard
Canada, Francia, Italia, Regno Unito, Giappone, 2007
Genere: Drammatico, Romantico
Cast: Keira Knightley, Michael Pitt, Koji Yakusho,
Alfred Molina, Mark Rendall, Sei Ashina, Leslie Csuth
Produzione: Bee Vine Pictures, Fandango,
Rhombus Media, Vice Versa Film
Distribuzione: Medusa

Chi siete voi?
Mi chiamo Hervé Joncour.
Lo so questo.
Sono un commerciante.
Questo non è ciò che siete, è ciò che fate.
Sono l’uomo che sta di fronte a voi, nientr’altro.

Non lasciatevi ingannare dalla sua gentilezza
c’è un prezzo per ogni cosa!

Credevo fossi morto…
e non c’era più niente di bello a questo mondo.
(Hélène)

Ho conosciuto uno che si era fatto costruire una ferrovia
e il bello è che se l’era fatta fare tutta dritta,
senza neanche una curva.
C’era anche un perchè, ma non me lo ricordo.
I perchè si dimenticano.

 

Negli anni Sessanta del Novecento poche erano le famiglie venete che ancora si dedicavano all’allevamento del baco da seta, una pratica che invece era molto diffusa nell’Ottocento e nei primi del Novecento in molte zone rurali d’Italia, e sovente rappresentava una fonte di guadagno per le famiglie povere e spesso con molti figli.

Tutto cominciava con i semi (piccole uova) acquistati al Consorzio agrario che si dovevano tenere bene al caldo, di solito in cucina, fino alla schiusa. Nascevano così i bachi, chiamati cavalieri, che necessitavano di costanti cure e pertanto entravano praticamente a far parte della famiglia.

Nella casa venivano adibite apposite stanze oppure si usavano i granai in cui i bachi venivano sistemati su dei ripiani (sovrapponibili per risparmiare spazio) cosparsi di foglie tenere dei morari, ossia i gelsi, piante del genere Morus, di cui i bachi si nutrivano esclusivamente.

La crescita dei bachi è rapida e avviene in un susseguirsi di quattro mute; ad ogni muta la loro voracità aumenta arrivando a consumare foglie intere, per cui occorre che i bachicoltori ne procurino in modo costante sempre di fresche. La pulizia dei ripiani deve essere accurata e una buona aerazione deve essere garantita per far sì che l’allevamento non sia  compromesso da malattie o infezioni.

Terminata la crescita, i bachi oramai maturi smettono di mangiare e, si usa dire “salgono al bosco”: sono piccole fascine di ramoscelli secchi poste vicino loro, sulle quali i cavalieri cominciano a costruirvi il bozzolo dove avverrà la metamorfosi: da baco si trasformerà in crisalide e quindi in farfalla. La farfalla accoppiandosi con il maschio riforma le uova e continua il ciclo.

Le galete, i bozzoli in italiano, una volta staccate a una a una dai ramoscelli vengono selezionate e immerse in acqua calda, bollite per permettere la dipanatura e quindi trovare il capofilo, poi con l’aiuto di un arcolaio il filo viene avvolto formando una matassa.

Alla fine del secolo l’industria serica divenne un’attività industriale, i bozzoli che erano perfetti venivano acquistati dalle filande dove subivano un processo di lavorazione. Invece quelli difettati, le falope in dialetto, venivano venduti come prodotto di scarto a poco prezzo, o filati manualmente dalle donne nelle cascine, le quali tra impegni domestici e lavoro in campagna trovavano anche il tempo per filare e tessere la seta, la lana o la canapa al riparo sotto il porticato o nelle stalle.

Leda

La seta è una fibra lucente e resistentissima alla quale spetta un posto d’onore nel campo tessile. È nota dai tempi più antichi, originaria della Cina, conosciuta dai Greci e dai Romani, la seta è stata alla base di fiorenti industrie in Cina, ma anche in Giappone, in India, in Persia e dal VI secolo anche in Europa, particolarmente in Italia.

La seta è prodotta dal baco o filugello (bombix mori) sotto forma di bava vischiosa che emette attraverso due aperture poste ai lati della bocca. Al baco serve per costruire il bozzolo entro il quale compirà una lunga e complessa metamorfosi, trasformandosi prima in larva e poi in farfalla.

Il filo di seta che è composto da due proteine: la fibroina e la sericina, quando viene a contatto con una fiamma si comporta come ogni altra sostanza di origine animale: brucia lentamente, sviluppando l’odore caratteristico di capelli bruciati e lasciando ceneri compatte.

I paesi produttori di seta sono soprattutto la Cina, il Giappone e l’Italia. I tessuti serici per abbigliamento e per arredamento di produzione italiana si distinguono per la qualità del filato, l’accuratezza della tessitura, il gusto e l’eleganza dei colori e dei disegni. Fra essi ricordiamo:

  • i tussors, di fibra grezza a trama leggermente irregolare
  • crespi e gli organzini, leggeri e ritorti
  • rasi, i velluti, le mussole, morbidissimi
  • taffetas, i broccati, i damaschi, i failles, i gros (canettati), rigidi e sontuosi;
  • nastri, i pizzi, i tulli, i foulards, le maglie per calze e per biancheria.

Gli indumenti di seta naturale sono raccomandabili da un punto di vista igienico perchè la seta, come la lana, è cattiva conduttrice del calore, è porosa e igroscopica (in grado di assorbire vapore acqueo senza dare la sensazione di bagnato), ma anche dal punto di vista economico per l’elasticità e la resistenza che la caratterizzano, e dal punto di vista estetico, ispirato dall’estrema ricchezza ed eleganza dei tessuti serici.

Come viene raccontato nel film, in effetti nel 1845 ci fu un “morbo epidemico” che comparve in Provenza e colpì gli allevamenti bachicoli europei, rischiando di portare al collasso l’industria serica del successivo ventennio.
In questo clima di profonde incertezze si dovette ricorrere all’importazione di seme-bachi dal Giappone, nel contempo si attivò la Ricerca per determinare l’origine dell’epidemia e un metodo di prevenzione che riuscisse a contenerla.
Grazie all’intervento di numerosi esperti e di figure di spicco della Scienza, primo fra tutti Louis Pasteur, si riuscì a stabilire un metodo che garantisse una produzione di seme-bachi privo d’infezioni.


STAZIONE BACOLOGICA SPERIMENTALE


Nel 1869 a Gorizia, per decreto dell’Imperatore d’Austria-Ungheria, Franz Joseph consorte di Elisabetta di Baviera, venne fondato un Istituto bacologico, primo caso in Europa di un ente pubblico per lo sviluppo dell’agricoltura.
Su tale esempio venne istituita nel 1871 la Reale Stazione Bacologica Sperimentale di Padova per decreto del re Vittorio Emanuele II. Come ubicazione dell’Istituto fu scelta Padova in quanto uno dei centri principali dell’industria serica italiana.
L’industria della seta, come per altre fibre tessili naturali, dovrà affrontare tempi duri sia a causa delle due Guerre mondiali, che per il sopraggiungere delle nuove fibre artificiali in campo tessile, e infine per la specificità della produzione dei bozzoli giapponesi.

Un nuovo fenomeno si verificò nel 1989 colpendo gli allevamenti dei bachi da seta in particolare nel Nord Italia, ma anche in Francia e in Giappone: la mancata filatura dei filugelli. Le larve superata l’età in cui avrebbero dovuto “salire al bosco” non emettevano i fili di seta, ma continuavano ad alimentarsi fino a morire d’inedia. Il filugello, anzichè un contagio come per la pebrina, aveva subito delle modificazioni e si scoprì che ciò coincideva con l’uso di insetticidi usati in frutticoltura.
L’intenso lavoro di ricerca messo in atto dalla stazione bacologica padovana in sinergia con l’Università di Torino permise di individuare la presenza di fenoxycarb contenuto all’interno di un pesticida usato sui frutteti, che per deriva arrivava sulle foglie dei gelsi di cui si nutrivano i bachi da seta.

Occorsero anni di impegno per ottenere il divieto dell’uso di tale micidiale pesticida, ma nel frattempo la bachicoltura aveva subito tali danni da far desistere la maggior parte di bachicultori, specie in Veneto, a continuare l’attività.
L’istituto si prodigò allora verso una nuova sperimentazione: trovare qualcosa che potesse sostituire la foglia del gelso e ciò portò a brevettare una dieta “artificiale” nel 2004.

Resosi ormai necessario il restauro dell’edificio che ospitava la Stazione bacologica costruito nei primi anni del Novecento, fu possibile realizzare, grazie al contributo offerto dalla Provincia di Padova insieme alla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, al Ministero delle Politiche Agricole, al Ministero dell’Ambiente, a Butterflyarc s.r.l., un progetto che comprendeva:

  • uno stabile finalizzato alla ricerca e alla conservazione della consistente collezione serica padovana e di quella ricevuta in dote, in seguito alla chiusura della stazione bacologica di Ascoli Piceno istituita nel 1920 e divenuta stazione agraria nel 1958;
  • un edificio dedicato al Museo Esapolis.

Dal 1999 è sede del Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura (C.R.A) dell’Unità di Apicoltura e Bachicoltura di Bologna (CRA-API).


MUSEO ESAPOLIS
“Il Museo Vivente del MicroMegaMondo”


Esapolis è il primo grande insettario d’Italia, in cui sono esposte antiche collezioni di bozzoli e fibre, strumenti e attrezzi, libri che conservano la memoria delle tradizioni della sericoltura italiana, e soprattutto razze di bachi internazionali, collezioni ritenute tra le più importanti al mondo.

Il percorso espositivo del museo consta anche di importanti e numerose collezioni viventi che includono il micromegamondo degli insetti e altri esemplari di animali, non insetti, in grado di fornire fibre tessili come il mollusco produttore del bisso (Pinna nobilis) e gli Aracnidi produttori di seta. Vi sono inclusi anche molti altri piccoli esseri che formano la più grande biomassa animale del nostro pianeta.
Il percorso comprende anche laboratori interattivi e tecnologiche moderne che stimolano i sensi e la mente del visitatore, i più piccoli ne rimarranno estasiati.
Esapolis è il frutto di una proficua collaborazione tra la Provincia di Padova e Butterfly Arc.


BUTTERFLY ARC


Nel 1974 per Enzo Moretto, sedicenne studente presso l’Istituto per Periti Agrari di Padova, comincia l’avventura nel dare forma a un sogno che aveva fin da bambino: realizzare un giardino dell’eden per le farfalle.  Sfruttando la risorsa termale del vicino bacino euganeo l’idea era di creare un ambiente protetto in cui far crescere un piccolo ecosistema tropicale.

Cominciò così per Enzo, entomologo naturalista, un percorso di studi per acquisire conoscenze specifiche, che ha portato all’inaugurazione della prima Casa delle Farfalle nel 1988 a Montegrotto Terme (Padova), cittadina veneta conosciuta in gran parte d’Europa per le sue cure termali.
Un progetto irto di difficoltà: occorreva uno spazio pubblico apposito, saper districarsi tra leggi e regolamenti sanitari per l’importazione di specie esotiche, trovare le risorse economiche per realizzare un sogno che sì, era comune tra gli appassionati di entomologia dell’epoca, ma in cui pochi hanno creduto.

All’allevamento delle farfalle sono stati affiancati progetti sull’educazione, conservazione e ricerca scientifica. I visitatori, dai gruppi scolastici alle famiglie, ad anziani e gruppi organizzati, possono vedere il ciclo di vita dall’uovo, al bruco alla crisalide e quindi la farfalla adulta, osservare e ammirare il comportamento di diversi esemplari vivi e comprendere l’importanza ecologica di molti organismi, piante e animali che caratterizzano alcuni aspetti affascinanti della biodiversità del nostro pianeta.

Da segnalare la presenza del Bosco delle Fate con un itinerario mitologico ecologico, in cui si rivivono antiche leggende celtiche e paleo venete.

In breve il modello della Butterfly Arc a Montegrotto Terme, il primo nel dividere gli ambienti di volo delle farfalle per macro aree zoogeografiche tropicali: Africana, Amazzonica ed Indo-Australiana, è stato per molti aspetti un punto di riferimento per altre strutture italiane sorte dopo il 2000.

Ma le Case delle Farfalle, una vera e propria novità naturalistica che ha cominciato a imporsi verso la fine del millennio scorso, non sarebbero potute esistere senza le Fattorie delle Farfalle sorte intorno alla seconda metà degli anni ’80 in vari luoghi tropicali in prossimità di aree di foresta naturale.
Oggi, non senza problemi, il butterfly farming produce le crisalidi in modo sempre più sostenibile e controllato da questi bioproduttori, crisalidi che vengono inviate settimanalmente a tutte le Case delle Farfalle del pianeta rappresentando un reddito alternativo e sostenibile alle comunità rurali, e un incentivo economico per salvaguardare l’habitat poichè l’allevamento delle farfalle richiede una foresta intatta. Le fattorie di farfalle sono state stabilite in molti paesi tropicali in tutto il mondo – tra cui le Filippine, Costa Rica, Uganda, Kenya e Tanzania.

Nel 2002 nasceva negli Stati Uniti l’associazione IABE (International Association of Butterfly Exhibitions) che in seguito includendo anche i “Suppliers” (i fornitori di farfalle) diventerà IABES con l’obiettivo di promuovere la cooperazione tra le Case delle Farfalle e migliorare la gestione degli allevamenti.
Enzo Moretto, in qualità di coordinatore della commissione etica, ha elaborato semplici linee guide etiche che rappresentano un punto di riferimento per tutte le Case delle Farfalle che oggi, più che in passato, devono confrontarsi con codici di autoregolamentazione per garantire le priorità educative e di conservazione, il divieto di trattare specie potenzialmente adattabili in ambienti diversi da quelli di origine, prevenire lo sfruttamento di lavoro minorile, mai porre a rischio la sopravvivenza delle farfalle in natura e garantire l’animal welfare.

Oggi moltissime Case delle Farfalle sono in rete tra loro, e gli incontri e le varie attività a livello nazionale ed internazionale stanno producendo percorsi educativi e di ricerca anche comuni. Uno di questi riguarda lo studio dei parassiti delle specie allevate.
Altri progetti mirano alla conservazione. Il più importante è “Save Papilio (Pterorus) homerus” della Giamaica, la campagna IABES a favore di una delle più grandi e belle farfalle del pianeta in grave pericolo di estinzione.

Con Amici della Terra Italia Onlus, un’Associazione ambientalista riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente, attiva in Italia dal 1978 e presente in tutto il territorio nazionale, anche sostenuta da UIZA (Unione Italiana Zoo e Acquari), è stato realizzato il progetto “Salviamo la farfalla Aurora dell’Etna”, l’Anthocaris damone.
Da più di due decenni Enzo Moretto in collaborazione con Amici della Terra Italia ONLUS, attua e coordina, ove possibile, una campagna europea per la conservazione delle farfalle e del loro ambiente naturale.

 

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