Il mondo perduto

Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930) scrittore, medico e poeta scozzese, insieme ad Edgar Allan Poe sono considerati i fondatori dei due generi letterari: il Giallo e il Fantastico.

In particolare si considera Conan Doyle come il capostipite del sottogenere noto come giallo deduttivo, reso famoso dal personaggio dell’investigatore Sherlock Holmes che compare per la prima volta nel romanzo Uno studio in rosso (1887) di Conan Doyle. Tuttavia egli spazia dal romanzo d’avventura alla fantascienza, dal soprannaturale ai temi storici.
Sherlock Holmes è il personaggio letterario protagonista del maggior numero di film, serie televisive, libri, videogiochi, librogame, anime, fumetti.

Tra i molti attori che lo hanno interpretato, il volto cinematografico di Holmes più noto è quello di Basil Rathbone che, assieme a Nigel Bruce nella parte di Watson, è stato protagonista tra il 1939 e il 1946 una serie di 14 pellicole.

In Piramide di paura, un film del 1985 diretto da Barry Levinson, Sherlock Holmes e il suo assistente John Watson sono due adolescenti, che insieme sono impegnati a risolvere un misterioso caso di omicidi. Tra i produttori esecutivi spicca il nome di Steven Spielberg.

Definibile spettacolare, è l’interpretazione di Robert Downey Jr. nel film omonimo del 2009 diretto da Guy Ritchie, con Jude Law nella parte del dottor Watson, tratta dal fumetto scritto appositamente da Lionel Wigram e ispirata ai romanzi di Doyle, che ha avuto anche un sequel nel 2011.

Il personaggio creato da Conan Doyle è stato un punto di riferimento per molti dei successivi detective delle opere di fantasia, tra i quali Hercule Poirot, Ellery Queen, Nero Wolfe. Esempi più recenti sono anche Guglielmo da Baskerville protagonista de Il nome della rosa di Umberto Eco, e Conan Edogawa protagonista del manga Detective Conan di Gosho Aoyama.

Tra i numerosi lavori nel campo dell’avventura, del fantastico, del soprannaturale e del terrore di Conan Doyle, Il mondo perduto (1912) diventa un tema ricorrente nella letteratura della tarda età vittoriana, ripreso in seguito nel cinema, benché vi siano numerosi esempi importanti nella letteratura precedente, come il Viaggio al centro della Terra (1864) di Jules Verne e i romanzi di H. Rider Haggard. A questo ultimo, scrittore britannico è legato un aneddoto: si racconta che quando usci L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson nel 1883, Haggard fece una scommessa con suo fratello sostenendo che sarebbe stato in grado di scrivere una storia molto più avvincente; fu così che nacque dopo soli sei mesi di lavoro il suo romanzo più celebre, Le miniere di re Salomone (1885) – primo di una serie che ha per protagonista il cacciatore bianco Allan Quatermain – che risulta essere il primo romanzo di avventura in lingua inglese ambientato in Africa.

IL MONDO PERDUTO

Il tema del “mondo perduto riguarda la scoperta di un luogo remoto e inesplorato rimasto “fuori dal tempo”, tagliato fuori dal resto del mondo conosciuto, conservando straordinarie caratteristiche arcaiche o del tutto anacronistiche grazie al proprio isolamento.
I “mondi perduti” sono luoghi esotici per eccellenza: città collocate nelle profonde cavità della Terra o antiche civiltà celate nella giungla, isole lontane o vallate inaccessibili che preservano un frammento di passato, dove talvolta sopravvivono dinosauri, rettili preistorici e mostri giganteschi come nel film King Kong del 1933.

Il genere – che comprende etnie, città, terre e isole perdute – ha analogie con quello dei “regni mitici“, come El Dorado (luogo leggendario con immense quantità di oro e pietre preziose, conoscenze esoteriche antichissime in cui i bisogni materiali sono appagati e gli esseri umani vivono in pace tra loro godendo della vita).

Il “mondo perduto” si distingue dal mondo immaginario in quanto il primo è ambientato in un angolo nascosto del mondo reale, mentre il secondo è del tutto sconnesso dalla storia e dalla geografia.

 

Il mondo Perduto è anche il tema del film Jurassic Park del 1993 diretto da Steven Spielberg e dei suoi due sequel, l’uscita del quarto film è prevista per il 2015. [Aggiornamento: l’uscita del quinto film Jurassic World – Il regno distrutto è prevista per il 2018 ed è stato già annunciato il sequel per il 2021].
I film si basano sugli omonimi romanzi di Michael Crichton (1942-2008) che ha voluto omaggiare Arthur Conan Doyle e i numerosi film che dalla sua opera furono ispirati. Spielberg in questi film ha dimostrato le potenzialità dell’animazione in grafica computerizzata, ancora poco sfruttate all’epoca: quasi tutti i dinosauri sono stati generati al computer con una resa davvero fantastica e incredibile, al cinema sembrava di averli lì davanti (da panico per me la scena dei bambini nella cucina!)

Negli ultimi decenni dell’Ottocento, sul finire dell’epoca vittoriana, era molto frequente un comportamento ribelle nelle famiglie vittoriane.
In particolare, la diffusione della teoria evoluzionista di Charles Darwin e della sociologia di Herbert Spencer indusse molti giovani ad assumere atteggiamenti di ribellione nei confronti della religione, del codice morale repressivo imposto dalla società, e dei disagi affrontati da una folla di diseredati per garantirsi la pura sopravvivenza.

La teoria evoluzionista

Herbert Spencer(1820-1903) è stato un filosofo britannico, liberale, uno dei più importanti sostenitori dell’evoluzionismo, corrente filosofica a cui aderì già nel 1851. Sin dai suoi primi saggi emerse con chiarezza l’impostazione fondamentale del suo pensiero, che intende l’evoluzione e il progresso come la legge universale della vita e del cosmo.

Nato in una famiglia della piccola borghesia, Spencer crebbe senza convinzioni dogmatiche definite, ricevendo dal padre un forte sentimento di opposizione a tutte le forme di autoritarismo. L’atteggiamento antidogmatico e antiaccademico sarà una costante della sua vita.
Spencer con l’intenzione di elaborare una teoria evoluzionista che potesse valere sia per il mondo naturale che per il mondo sociale, si propose già dal 1860 l’idea di un Sistema di filosofia generale, che sviluppò nei “Primi principi” (First Principles, 1862), la sua opera fondamentale, e nelle opere successive applicandola alle più vaste e diverse discipline del sapere.

Origine e mutazioni dei viventi

Sin dai tempi antichi l’origine e le mutazioni dei viventi sono stati oggetto di dibattiti, come ad esempio nell’Antica Grecia. L’interesse di Aristotele,  uno dei padri del pensiero filosofico occidentale, per i cambiamenti che avvenivano in natura lo portarono a formulare un certo ordine, secondo il principio che gli oggetti in natura sono divisi in due gruppi principali.

Da una parte abbiamo le cose inanimate (pietre, gocce d’acqua, zolle di terra…) che non hanno in sè alcuna possibilità di trasformazione: secondo Aristotele, esse possono mutare soltanto per mezzo di un’azione esterna.
Dall’altra abbiamo tutte le cose vive, o animate, che hanno invece in sè la possibilità di trasformarsi, e che Aristotele scinde in due sottogruppi principali: i vegetali (le piante) e gli esseri viventi. Questi ultimi vanno poi ulteriormente divisi in due sottogruppi: gli animali e gli uomini.
[..] Quando Aristotele suddivide i fenomeni naturali in gruppi diversi, egli parte dalle loro caratteristiche o qualità o, più precisamente, da ciò che possono fare e da ciò che fanno.
Tutte le cose animate (piante, animali, esseri umani) hanno la capacità di nutrirsi, di crescere e di riprodursi. Tutti gli esseri viventi (animali ed esseri umani) hanno la capacità di percepire il mondo circostante e di muoversi nella natura. Tutti gli esseri umani hanno inoltre la capacità di pensare, cioè di ordinare le impressioni derivate dai sensi, in gruppi e classi.
Quindi si può dire che, in natura, non esistono limiti rigidamente definiti. Al contrario, si nota un passaggio graduale dai vegetali più semplici alle piante più complesse, dagli animali più semplici a quelli più complessi. In cima a questa «scala a pioli» troviamo l’uomo che, secondo Aristotele, vive l’intera vita della natura. Gli esseri umani crescono e si nutrono come le piante, hanno la capacità di sentire e di muoversi come gli animali, ma hanno una qualità che è loro prerogativa assoluta: la capacità di pensare razionalmente.

Tratto da “La scala a pioli della natura“ – Il mondo di Sofia di Jostein Gaarder

Ma alla fine del Settecento la teoria predominante si fondava su un dogma, quello della fissità dello scienziato Linneo, che definiva le varie specie come entità create una volta per tutte e incapaci di modificarsi o capaci entro ben determinati limiti. Tali affermazioni si ispiravano al concetto gerarchico della scala naturae medievale, che letteralmente significa «scala dell’essere», un modello classico dell’ordine del mondo.
Entità dunque fisse e definite, le cui eventuali estinzioni erano considerate possibili sulla base di cataclismi, come il diluvio universale raccontato nella Bibbia.

È all’inizio del XIX secolo che iniziarono a sorgere, negli studiosi di Scienze Naturali i primi dubbi concreti. Le loro posizioni si trovarono quindi divise tra due grandi correnti di pensiero che vedevano, riguardo ai viventi, da un lato una natura dinamica ed in continuo cambiamento, dall’altro una natura sostanzialmente immutabile.
Un’idea ancora generica dell’evoluzione, a cui Darwin si accingeva a dare la sua più precisa formulazione pubblicando nel 1859 L’origine delle specie.

Il filosofo Herbert Spencer si soffermò su tre concetti base:
– il primo, l’indistruttibilità della materia
– il secondo, la continuità del movimento
– il terzo, la persistenza della forza.

Nel cercare di dare un senso ed una risposta alle domande della realtà scientifica, egli giunse a comprendere i limiti della conoscenza umana. Sebbene la scienza sia in grado di spiegare il come e il perché si verifica un determinato evento, non potrà mai capire l’essenza profonda: il perché, chi, quando e come ha originato tutto ciò, ovvero la materia, il movimento e la forza. Ciò significa che la scienza non può giungere a una conoscenza assoluta. La realtà assoluta, pur fondata su leggi scientifiche, è “inconoscibile”.

La sua ammissione di un “inconoscibile”, non accessibile alla conoscenza, limitata agli eventi spazio-temporali, tendeva, pur sulla base di un fondamentale agnosticismo, a una possibile riconciliazione tra religione e scienza. Spencer disse:

 «In tutti i misteri che ci circondano, non c’è nulla di più certo che il fatto che una energia eternamente presente ci circonda costantemente, una energia da cui scaturisce ogni cosa».
da Energie dal cosmo di Joseph Murphy, 1993

Aristotele credeva che i movimenti delle stelle e dei pianeti guidassero quelli sulla Terra. Ma deve esserci qualcosa che fa sì che anche i corpi celesti si muovano. Aristotele lo chiamò il «primo motore» o «Dio». Il «primo motore» è immobile, ma è la «causa prima» dei movimenti dei corpi celesti e di conseguenza di tutti i movimenti in natura. 

Tratto da “La scala a pioli della natura“ – Il mondo di Sofia di Jostein Gaarder

Se la teoria dell’evoluzione di Darwin si delinea sul cambiamento delle specie biologiche, quella di Spencer descrive le dinamiche storiche del cambiamento sociale, che va a costituire la base scientifica del suo pensiero politico, liberale e anticonservatore.
Secondo Spencer la società primitiva non era caratterizzata da quella coesione necessaria per tenerla insieme (intesa in senso figurato come unità, fusione organica tra gli elementi), per cui occorreva transitasse in un sistema sociale in cui il potere era strutturato in modo prettamente gerarchico, in cui la cooperazione risultava forzata come avviene in un’organizzazione sociale militare. Il passaggio a una moderna società industriale incentivava, invece, una cooperazione tra gli individui che consolidava la coesione, dandole maggiore stabilità.
Ma perchè ciò accadesse occorreva che la società industriale fosse evoluta e si basasse su principi liberali, come il diritto di libera associazione per ogni categoria sociale, la libera espressione delle capacità individuali e la politica come strumento atto alla realizzazione della volontà dei cittadini.

Egli è contrario a ogni interferenza dello Stato sullo sviluppo ‘naturale’ della società (assistenzialismo, risoluzione conflitti sociali), lo Stato con le sue leggi non deve regolare in alcun modo la società ma deve al massimo interessarsi alle funzioni di ordine pubblico.
Anche per quanto riguarda l’educazione, Spencer ritiene sia anch’essa frutto dell’evoluzione, quindi naturale, un processo di realizzazione individuale che va oltre le necessità dello Stato. È il suo, un’amore per la libertà sconfinante nell’anarchia, nel senso più alto del termine.

Per certe sue convinzioni Herbert Spencer sarà da esempio per il Movimento libertario spontaneista, nonché attento conoscitore del pensatore anglosassone William Godwin, padre di Mary Shelley.

 

DIFFERENZE TRA LIBERISMO E LIBERALISMO

Liberismo – La dottrina della libertà di mercato.
Il liberismo è un sistema economico imperniato sulla libertà di mercato, nel quale lo Stato si limita a garantire tale libertà con norme giuridiche.
Secondo la dottrina economica elaborata a partire dal 18° secolo che sta a fondamento del liberismo, una mano invisibile (una sorta di Divina Provvidenza) guida, in una società libera, le azioni compiute dai singoli cittadini nel loro esclusivo interesse, volgendole a vantaggio di tutta la comunità. Un eventuale intervento dello Stato, mirato a dirigere e a condizionare il mercato, sarebbe dannoso, perché spezzerebbe questo equilibrio naturale e limiterebbe la libera iniziativa dei cittadini.

Enciclopedia dei ragazzi Treccani

Questo sistema sostiene e promuove la libera iniziativa, il libero scambio e il libero mercato come unica forza motrice del sistema economico, che non appare come un sistema isolato (ad es. nazione chiusa in un’economia protezionistica o autarchica), ma come un sistema aperto. Il mercato stesso tende ad evolvere spontaneamente verso una struttura più efficiente e stabile possibile, attraverso la cosiddetta mano invisibile, in modo da massimizzare la soddisfazione di produttori e consumatori. L’intervento dello Stato è al più limitato alla realizzazione di infrastrutture di base (ponti, strade, ferrovie, autostrade, gallerie, edifici pubblici etc.) a sostegno della società e del mercato stesso.
È considerato da molti come l’applicazione, in ambito economico, delle idee politiche liberali, sulla base dell’assunto di base che “democrazia vuol dire anche libertà economica” coniato da Friedrich von Hayek.

Liberalismo – La dottrina politica incentrata sulla libertà individuale.
Nato nell’Inghilterra del 17° secolo, il liberalismo moderno è la teoria politica che più di ogni altra ha contribuito all’affermazione dei diritti individuali di libertà e alla limitazione del potere dello Stato. Avendo accompagnato lo sviluppo della civiltà occidentale dal Seicento a oggi e in contesti nazionali molto diversi tra loro, il liberalismo ha assunto varie fisionomie, senza però abbandonare mai la sua vocazione antiautoritaria.

Enciclopedia dei ragazzi Treccani

Questo movimento di pensiero e di azione politica, elaborato inizialmente dai filosofi illuministi, riconosce all’individuo un valore autonomo e tende a limitare l’azione statale in base a una costante distinzione di pubblico e di privato. È un’ideologia politica che sostiene l’esistenza di diritti naturali, fondamentali e inviolabili facenti capo all’individuo e l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (eguaglianza formale).

IL MOVIMENTO LIBERALE

Liberale, è ciò che s’ispira ai principi etici del liberalismo basati sul rispetto e sulla difesa della libertà individuale e della libera iniziativa economica.

Le radici della filosofia liberale sono molto più antiche, anche se il termine liberalismo verrà utilizzato solo a partire dal 1900 e la sua evoluzione assumerà fisionomie differenti a seconda dei contesti dei vari paesi (come l’Inghilterra, gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, l’Italia) e dei problemi che ha dovuto fronteggiare.

In territorio europeo il Movimento liberale sei-settecentesco visse una nuova fase  storica dopo la Rivoluzione francese e la conseguente Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, con il prepotente affermarsi del principio democratico.

Ma nei primi del Novecento le idee liberali  entrarono in crisi, risultando inadeguate a una società dominata dalle grandi industrie e dalle grandi masse operaie e piccolo-borghesi, che con l’introduzione del suffragio universale entrarono nella vita politica reclamando un’emancipazione economica, sociale e culturale, a cui sembrava rispondessero meglio le nuove ideologie del nazionalismo e del socialismo, entrambe stataliste e capaci di organizzarsi in partiti di massa.
Con l’affermarsi dei regimi totalitari tra gli anni Venti e Trenta, e specie nel secondo dopoguerra dopo la sconfitta del nazismo e del fascismo, l’intera tradizione liberale e democratica viene messa a dura prova.
Le politiche del  Welfare State (lo Stato del benessere), infatti, espandono sempre più il ruolo dello Stato nella vita economica e sociale.

Tra gli  economisti italiani a difendere l’indissolubilità di liberalismo e mercato sarà Luigi Einaudi (secondo Presidente della Repubblica italiana dal 1948) che nel 1943, con il filosofo e storico Benedetto Croce ricostituirà il Partito Liberale Italiano (PLI), che era stato messo fuori legge nel 1925 durante il fascismo.
Il PLI fondato a Bologna nel 1922 sull’impostazione liberale, liberista e laica dello Stato, rappresentava idealmente la tradizione moderata del Risorgimento, erede dell’Unione Liberale o anche Partito liberale costituzionale che aveva avuto in Camillo Benso di Cavour il massimo rappresentante.

Sul finire degli anni Settanta il quadro muta radicalmente e il pensiero liberale conosce un’inaspettata rinascita.
Tra i pensatori che avevano continuato a coltivare la tradizione del liberalismo classico, spicca la figura dell’economista austriaco Friedrich von Hayek il quale aveva sempre sostenuto che il massiccio intervento dello Stato nella vita economica e sociale non solo ne deprime la vitalità – inducendo nei cittadini una mentalità assistenzialistica, che mina l’impegno e la responsabilità individuali – ma costituisce anche una minaccia per la libertà in se stessa.

Essere liberi significa, infatti, poter perseguire fini diversi; ma questi ultimi per essere realizzati, necessitano sempre di mezzi economici. Se c’è un unico soggetto che controlla i mezzi (o la maggior parte dei mezzi), questo finirà inevitabilmente per controllare anche i fini.

 

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