La boxe e il cinema

ROCKY

Nell’immaginario comune il film Rocky (1976) è la pellicola di culto senz’altro più nota incentrata sul pugilato e il primo capitolo di una lunga saga: ha infatti avuto come sequel di altrettanta fama mondiale Rocky II, Rocky III, Rocky IV, Rocky V, Rocky Balboa e l’ultimo Creed – Nato per combattere.

Rocky Balboa è un personaggio cinematografico ideato e interpretato da Sylvester Stallone, che senza essere un vero pugile nel 2011 è entrato a far parte, tra gli altri, della International Boxing Hall of Fame e del World Boxing Hall of Fame tramite il personaggio di Rocky Balboa: è la prima volta nella storia.
Rocky Balboa a dire del regista John G. Avildsen, ha uno stile di combattimento molto simile a quello del pugile Rocky Marciano, che lo stesso Balboa prende come modello di riferimento: predilige infatti attacchi potenti al viso o al corpo e tiene la testa bassa per diminuire l’allungo dell’avversario.

Rocky Marciano, pseudonimo di Rocco Francis Marchegiano (1923–1969), è  un pugile statunitense figlio di due emigrati italiani che avevano lasciato il paese nei primi anni del secolo.
Ritenuto il migliore pugile di tutti i tempi, è stato campione del mondo dei pesi massimi dal 1952 al 1956 e fu l’unico peso massimo della storia a ritirarsi imbattuto nel 1962, difendendo il titolo sei volte.
Tarchiato, lento, tecnicamente grezzo e dotato di un allungo inferiore alla media dei massimi (170 cm, il minore in assoluto nella storia dei campioni del mondo dei pesi massimi), Marciano riusciva a compensare questi limiti con l’aggressività (talvolta al limite delle regole del ring), la resistenza fisica e, soprattutto, col suo destro terrificante, che gli valse il soprannome di “The Brockton Blockbuster” (Il Bombardiere di Brockton) e con il quale mandò al tappeto tutti i suoi avversari, tra cui i maggiori pugili all’epoca.

THE CHAMP

Il campione (The Champ) film diretto da King Vidor nel 1931, è un melodramma toccante che ebbe grande successo commerciale e di critica, vincendo nel 1932 due premi Oscar, per il miglior attore (Wallace Beery) e il miglior soggetto scritto da Frances Marion.

Franco Zeffirelli ne fece un remake dall’omonimo titolo nel 1979, con Jon Voight e Faye Dunaway come protagonisti e l’indimenticabile biondino Ricky Schroder, nella parte di T.J. Flynn. Una famiglia disgregata, in cui insolitamente è la madre ad abbandonare padre e figlio, e a diventare una donna di successo; mentre il padre, apparentemente un fallito, ex pugile dedito all’alcol, al gioco d’azzardo e al mondo delle scommesse, si è preso cura del bambino e gli ha fatto anche da mamma.  Nonostante tutto, il rapporto padre-figlio è molto profondo, ed egli è disposto a risalire sul ring e a mettere a repentaglio la propria vita pur di non perderlo e assicurargli un futuro.

Un film che fece molto discutere per le scene strazianti, specie sul finale, che avrebbero scosso anche il più duro degli animi. Forse, obiettivo di Zeffirelli era quello di dimostrare attraverso uno sport duro come quello della boxe dove si combatte fino allo stremo e dove le ferite si vedono e fanno una certa impressione, come anche il divorzio, l’abbandono, la contesa per il figlio è un gioco al massacro, le ferite possono essere molto profonde e il fatto che  non si vedano, non significa che non ci siano.

Dello stesso anno è un altro famoso film molto drammatico sul tema divorzio: Kramer contro Kramer, che non c’entra nulla con il mondo della boxe ma che allo stesso modo scosse parecchio l’opinione pubblica.

TORO SCATENATO

L’anno successivo invece fece molto scalpore Toro scatenato (Raging Bull), film del 1980 diretto da Martin Scorsese quasi interamente girato in bianco e nero, superbamente interpretato da Robert De Niro nel ruolo del pugile peso medio italo-americano Jake LaMotta, dal carattere brusco e paranoico, che, cresciuto nel Bronx, si allena tenacemente per raggiungere i vertici della boxe, per poi subire una vera caduta, accompagnata da notevoli problemi con la famiglia e gli amici. Per “entrare” nella parte, da perfezionista qual è, De Niro aumentò di peso di circa 30 kg, una metamorfosi che lasciò di stucco un po’ tutti.

Jake LaMotta, all’anagrafe Giacobbe La Motta, detto Toro del Bronx e Toro scatenato, nato a New York nel 1921, è un ex pugile statunitense, campione mondiale dei pesi medi. Di origine italiana è stato un personaggio assai controverso, sia fuori che dentro il ring.
Temutissimo per la carica distruttiva con cui incalzava l’avversario e per le doti di incassatore, era un pugile aggressore-in fighter, stile di cui è un’icona insieme a pugili come Rocky Marciano.

Vinse il titolo mondiale nel 1949 a Detroit contro il campione in carica Marcel Cerdan (1916-1949), reputato il miglior pugile nella storia del pugilato francese, famoso anche per la sua relazione con la cantante Edith Piaf, il quale non potè disputare un secondo incontro per la rivincita con LaMotta, perchè nel frattempo l’aereo della Air France su cui viaggiava precipitò sulle Azzorre, non lasciando alcun superstite tra i 48 passeggeri.

LaMotta difese il titolo battendo in un incontro durissimo Tiberio Mitri (1926-2001), un pugile italiano conosciuto come la “Tigre di Trieste” che fu anche un attore cinematografico; ritiratosi dal mondo del pugilato  nel 1957 con 88 vittorie nette su 101 incontri, dieci anni dopo dichiarerà:
«Tutto era passato in un soffio. I combattimenti con Jack “il toro” e Humez il minatore. I miei liquidatori… Molti avevano trovato scuse per le mie sconfitte incolpando persone a me vicine, ma io no. Mai. Bisogna essere onesti con se stessi. Me stesso. Non ce l’avevo fatta a superare ostacoli più grossi. Il mio record parlava chiaro. »

LaMotta fu il primo a battere Sugar Ray Robinson, ma poi finì per essere battuto dal pugile di colore ben 5 volte su 6.  L’attesissimo sesto e ultimo incontro tra i due, si tenne il 14 febbraio 1951 con in palio il titolo mondiale e passò alla storia del pugilato come “il massacro di San Valentino” (il riferimento è alla Strage di San Valentino compiuta a Chicago il 14 febbraio 1929 dagli uomini di Al Capone, che sterminarono la banda dell’irlandese Bugs Moran, con cui si contendevano il controllo della città e del mercato degli alcolici). Robinson vinse per K.O. tecnico al tredicesimo round, quando l’incontro fu interrotto con l’avversario, sfinito, abbandonato sulle corde. Questo e altri match tra Robinson e LaMotta vennero rappresentati nel film Toro scatenato di Martin Scorsese.

Nel 1960 LaMotta scioccò il mondo dello sport svelando quanto la mafia controllava il mondo della boxe: chiamato a testimoniare a proposito dell’influenza della malavita, ammise di aver perduto il suo incontro contro Billy Fox nel 1947 su pressioni della mafia (incontro che lo ossessionò per tutta la vita); ciò gli consentì di essere nominato sfidante ufficiale di Cerdan per il titolo mondiale. Incontri sospetti riguardarono in seguito un altro campione del mondo, Sonny Liston.

Sonny Liston (1930 circa-1970), nato in una piantagione di cotone dell’Arkansas, è uno dei 25 figli di un mezzadro. Tredicesimo figliolo nato in seconde nozze, trattato come uno schiavo subì crudeli frustate e pare restò analfabeta essendo stato fin da bambino precocemente impiegato nella raccolta del cotone.
Entrato in un brutto giro dopo una serie di furti e rapine, finì in carcere dove viene iniziato ai primi rudimenti della boxe. Straordinariamente dotato dal punto di vista strutturale entrò nella squadra dilettantistica della città ottenendo nel 1952, grazie a una campagna di stampa di alcuni giornali locali, la scarcerazione sulla parola.

Seguì una carriera dilettantistica breve e ricca di successi, passando presto al professionismo si caratterizzerà per il suo stile di combattimento: semplice ma molto efficace. Dotato di una struttura massiccia Liston non è velocissimo ma ha un buon gioco di gambe, i suoi pugni hanno una forza formidabile. Egli usava annientare psicologicamente l’avversario attraverso il suo truce cipiglio e alcuni rituali precedenti il match.

Gli anni di Liston campione sono gli anni cinquanta e la boxe è uno sport dominato dal gioco esasperato delle scommesse, popolato da losche figure e controllato dalla mafia, che pare non solo avesse il controllo sul boxeur, ma lo avesse anche reclutato tra i suoi “esattori”.
Tali circostanze finirono per appannare l’immagine sportiva di Liston, relegandolo al ruolo riduttivo di “pugile della mafia”, che ne determinò anche il tragico destino e una morte non del tutto chiara.

Un decennio fa Sonny Liston venne rivalutato dalla critica sportiva, soggetto di alcuni film, gli sono stati dedicati numerosi libri e brani musicali.
Sonny Liston è uno dei personaggi che appaiono sulla copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, l’ottavo album della discografia ufficiale dei Beatles pubblicato nel 1967. La copertina è un collage in cui i Beatles metterono insieme i loro personaggi simbolo, ed è considerata uno dei prodotti più popolari mai creati dalla pop art.

Sugar Ray Robinson, all’anagrafe Walker Smith Jr (1921-1989) è considerato uno dei più grandi pugili di tutti i tempi, noto per il suo stile di vita ostentato fuori dal ring, si ritiene sia l’iniziatore dell’entourage sportivo, ossia quell’insieme di persone che formano il seguito di un personaggio pubblico.

Nel 1946 Sugar rifiutò di collaborare con la mafia e gli venne negata la possibilità di combattere per il titolo della divisione. L’anno successivo un duro colpo segnò la sua carriera: con un potente gancio sinistro mise a tappeto il ventiduenne Jimmy Doyle, parve un normale KO ma Doyle privo di sensi non riprese più conoscenza e morì tragicamente poche ore dopo a causa dei danni riportati. Fu poi oggetto di alcune accuse penali da cui fu assolto, ma venuto a conoscenza del desiderio che il giovane aveva di comprare un’abitazione per la propria madre, Robinson donò a quest’ultima le borse dei suoi quattro match successivi per realizzare il sogno del figlio deceduto.

Dopo aver sconfitto LaMotta, nel 1951 Robinson si imbarcò per un tour europeo, durante il quale viaggiava con la sua Cadillac  rosa con al seguito 13 persone.

A Londra perse il titolo mondiale dei medi in un sensazionale incontro con Randy Turpin soprannominato “The Leamington Licker” (1928-1966) un pugile inglese estremamente dotato. Questo fu il momento clou della sua carriera pugilistica, tre mesi dopo Robinson si riprese il titolo. Turpin ebbe una vita tormentata e a soli 38 anni fu trovato morto suicida nella sua stanza.

Poi Sugar sconfisse l’ex campione del mondo Rocky Graziano, pseudonimo di Thomas Rocco Barbella (1919-1990) un pugile statunitense di origini italiane soprannominato The Rock.
Dopo un’adolescenza turbolenta passata nei riformatori e nei penitenziari, avvicinandosi alla boxe Rocky Graziano riesce a canalizzare la propria rabbia. Dotato di un pugno destro particolarmente potente, si distinse in numerosi incontri nella  boxe professionistica, ma nel 1948 gli venne revocata la licenza di pugile per la mancata denuncia di un tentativo di estorsione (doveva perdere un incontro) a cui ovviò fingendosi infortunato.

LASSÙ QUALCUNO MI AMA

Il fatto dell’estorsione è raccontato nel film del 1956 Lassù qualcuno mi ama  diretto da Robert Wise, che si ispira alla biografia di Rocky Graziano. Inizialmente doveva essere James Dean nel ruolo del protagonista, ma dopo l’incidente mortale fu affidato a Paul Newman.

BOMBER

Al pugile italo-americano è stato reso omaggio nel film Bomber  del 1982 diretto da Michele Lupo, dove il nome del protagonista è Bud Graziano, interpretato da Bud Spencer, nome d’arte di Carlo Pedersoli, recentemente scomparso, inseparabile compagno di Terence Hill, i due di “…altrimenti ci arrabbiamo!”.  In Bomber invece è affiancato da Jerry Calà.

Tra i rivali storici di Sugar Ray Robinson, al quale inflisse anche una sconfitta, fu Carmen Basilio, il cui nome all’anagrafe era Carmine Basilio (1927-2012) un pugile statunitense di origine italiana soprannominato “The Upstate Onion Farmer”.
Dotato di una mascella resistente e di uno stile di combattimento che applicava pressione ad ogni suo avversario, i suoi punti di forza erano proprio l’alta resistenza e le sue combinazioni, con le quali attaccava i suoi rivali soprattutto negli incontri più duraturi.

Robinson detiene diversi primati nel mondo della boxe, tra cui quello di essere stato il primo pugile a conquistare per ben 5 volte il titolo mondiale della sua categoria, record che raggiunse sconfiggendo Carmen Basilio nel 1958, riprendendosi il titolo che lo stesso Basilio gli aveva strappato sei mesi prima.

Ritiratosi dal ring una prima volta nel 1952 per dedicarsi all’attività di showman, ritornò alla grande dopo oltre due anni, congedandosi definitivamente nel 1965 come uno dei picchiatori più temibili di sempre con i suoi 108 KO in 200 incontri.

MILLION DOLLAR BABY

Uno sguardo appena accennato al mondo della boxe femminile lo dà il film del 2004 diretto e interpretato da Clint Eastwood, che ne è anche il produttore. Tratto da uno dei sei racconti della raccolta Rope Burns: Storie dall’angolo di F.X. Toole,  che in seguito al successo del film è stata ripubblicata con il titolo Million Dollar Baby, vede come protagonisti accanto a Clint Eastwood, che dirige il film con occhio tecnico e un amore per i particolari da vero appassionato, Hilary Swank e Morgan Freeman.

Il film racconta, in modo crudo e realistico, le speranze e le disillusioni di due ex pugili in là con gli anni, che si trovano a fare i conti con una boxe dove predomina l’affare, come nel caso di Big Willie l’allievo migliore della palestra che decide di proseguire in altro modo la sua strada. La boxe come passione, riscatto, fatta di sacrificio, fatica e determinazione, il tutto moltiplicato per due nel caso di Maggie, che sembra ridare loro la speranza di ritrovare quel mondo.
Alla violenza e alla scorrettezza che rendono difficile anche per chi ha dei principi forti, resistere giocando secondo le regole, si va sommando anche un destino crudele che non premia chi ne ha il merito.
L’atto estremo assume ordunque un senso di umanità come atto di pietà.

CINDERELLA MAN

Cinderella Man – Una ragione per lottare è un film del 2005 diretto da Ron Howard che si ispira alla vita di James J. Braddock, ex campione dei pesi massimi statunitense.

James J. Braddock (1905-1974) proveniva da una famiglia di origini irlandesi, cattolica, assai povera. Da pugile amatoriale a 21 anni entrò nel professionismo ed ebbe un buon inizio a cui fece seguito un periodo negativo durante il quale perse molti incontri, trovandosi costretto ad abbandonare il ring e lavorare al porto per sostenere la sua famiglia durante la grande depressione del 1929.
La sua carriera ormai sembrava rovinata, invece fu in grado di riemergere segnando alcune importanti vittorie che lo portarono alla sfida con l’allora campione del mondo dei pesi massimi, Max Baer nel 1935. Ciò gli valse il soprannome di Cinderella Man (l’uomo Cenerentola) attribuitogli da Damon Runyon, scrittore e giornalista statunitense famoso per le sue avvincenti  cronache.

Max Baer (1909-1959) è stato un pugile e attore statunitense, campione mondiale dei pesi massimi. Divenne pugile professionista nel 1929, scalando rapidamente le posizioni del ranking (classifica).
Ma nel 1930 una tragedia mise a rischio la sua carriera, mettendo a KO con soli due colpi Frankie Campbell, nato Francesco Camilli (fratello del giocatore dei Brooklyn Dodgers, Dolph Camilli). Il pugile italo-americano dopo esser rimasto per oltre un’ora al tappeto, fu trasportato in ambulanza al più vicino ospedale dove morì per una grave emorragia cerebrale. L’autopsia rivelò che il cervello di Campbell era stato gravemente danneggiato dal trauma subito.
Baer fu accusato di omicidio colposo, poi assolto da tutte le accuse, subì comunque una squalifica per un anno da parte della Commissione per il pugilato dello Stato della California.

Max Baer divenne campione del mondo nel 1934, quando sconfisse il campione in carica Primo Carnera. Mantenne il titolo fino all’anno successivo quando subì la sconfitta nell’incontro con James J. Braddock, nonostante quest’ultimo non fosse dato come favorito dagli allibratori.

Nella sua carriera di attore, Max Baer è apparso in una ventina di film, debuttando con L’idolo delle donne.

L’IDOLO DELLE DONNE

L’idolo delle donne (The Prizefighter and the Lady) è un film del 1933 diretto da W.S. Van Dyke.
Nel film, Baer è un barista che diviene un pugile, ma anche un presuntuoso donnaiolo. Tra gli altri interpreti vi è Walter Huston e Myrna Loy, Primo Carnera nel ruolo di se stesso, e Jack Dempsey (1895-1983), soprannominato a causa del suo spirito estremamente combattivo il massacratore, il mangiatore di uomini e Il tigre, anch’egli nel ruolo di se stesso, che interpreta un arbitro.

Il film nel 1934 fu ufficialmente bandito dalla Germania nazista su ordine di Joseph Goebbels, all’epoca ministro della propaganda e del divertimento pubblico, nonostante recensioni favorevoli dei giornali locali e anche di pubblicazioni filo-naziste.

Baer è stato anche un disc jockey per una emittente radiofonica di Sacramento (California), e per un po’ di tempo è stato un wrestler professionista e poi arbitro di incontri di pugilato e wrestling.

Il tragico incidente valse a Baer la reputazione di killer del ring, fama che venne confermata da ciò che accadde successivamente a Ernie Schaaf, un pugile statunitense che dopo essere stato battuto in un duro incontro con Baer, sei mesi dopo (1933) salì sul ring per incontrare un altro tra i più forti pugili del tempo: Primo Carnera. Per i potenti colpi subiti, Schaaf entrò in coma e morì pochi giorni dopo la fine dell’incontro. Della tragica fine del pugile vi fu chi accusò Carnera, il quale per un forte senso di colpa fu colpito da una forma di depressione, e chi invece attribuì la colpa a Baer e ai danni subiti da Schaaf in quell’incontro.

Mancava, piuttosto, e manca tuttora, la consapevolezza dell’importanza di una protezione per un apparato così sofisticato e delicato qual è il cervello.

La versione del personaggio di Max Baer in Cinderella Man, interpretato da Craig Bierko, è stata fortemente criticata dagli storici della boxe e da Roger Ebert, uno dei più influenti critici cinematografici d’America, vincitore del Premio Pulitzer nel 1975. Il suo comportamento sul ring risulta fin troppo brutale rispetto alla realtà e, oltre alla morte di Frankie Campbell, viene citata anche quella di Ernie Schaaf, e il fatto che Baer ne fosse stato causa indiretta.
La figura negativa che ne esce, comunque, non è stata certamente gradita dalla famiglia di Baer, in primo luogo dal figlio Max Baer Jr nel vedere profanata la memoria di suo padre (una mancanza di rispetto verso i morti considerata sacrilega, scellerata).

Va comunque detto che la stampa del tempo dipingeva in ugual modo Max Baer, un’immagine spesso utilizzata dai promotori degli incontri per suscitare interesse.
Max Baer stesso in veste di attore recitò una parte di pugile ancor più negativa nel film Il colosso d’argilla.

IL COLOSSO D’ARGILLA

Il colosso d’argilla (The Harder They Fall), è un film del 1956 liberamente ispirato alla figura di Primo Carnera, diretto da Mark Robson e girato in bianco e nero, con la partecipazione di Humphrey Bogart, Rod Steiger e Harold J. Stone.

Tratto dal romanzo omonimo di Budd Schulberg, dal quale differisce nel finale, offre un quadro realistico e non-retorico dell’ambiente pugilistico in cui Eddie Willis, ex cronista sportivo si fa coinvolgere – salvo poi pentirsene – in un’impresa disonesta progettata da un organizzatore che intende lanciare un pugile gigantesco ma di scarse qualità agonistiche (appunto, il colosso d’argilla) servendosi di una serie di incontri per i quali sono state previste delle combine.

È l’ultimo film di Humphrey Bogart. Mentre girava questo film, Bogart accusò i primi sintomi del male che lo avrebbe ucciso nel gennaio 1957, pochi mesi dopo l’uscita del film nelle sale. Il ruolo da lui interpretato, quello di Eddie Willis, era ricavato sulla figura realmente esistita di un giornalista e promotore di eventi sportivi, Harold Conrad.

CARNERA – THE WALKING MOUNTAIN

Max Baer, pur apparendo come un pugile arrogante e provocatore, è invece decisamente meno violento nel film del 2008 Carnera – The Walking Mountain di Renzo Martinelli, interpretato da Antonio Cupo. Il film ripercorre la vita del pugile italiano Primo Carnera, nella parte è Andrea Iaia, in cui compare anche Nino Benvenuti nel ruolo dell’allenatore.

Primo Carnera, soprannominato la montagna che cammina, il cui successo e la conquista del titolo mondiale lo trasformarono in un idolo, divenne simbolo di riscatto per tutti gli italiani emigrati negli Stati Uniti.

Leda

Nel pugilato ci avevano sempre detto di non chiudere mai gli occhi. Quando si attaccava e soprattutto quando ci si difendeva.
Non bisognava mai perdere il controllo della situazione. Vedere quello che faceva l’avversario, percepire con gli occhi il suo movimento appena cominciava, ed essere pronti a reagire; parare, o schivare e contrattaccare.
Mi ero sempre trovato a mio agio con questa idea. Occhi aperti, sempre. Associavo gli occhi chiusi alla paura, e gli occhi aperti, banalmente, al coraggio.
Guardare diritto in faccia il problema o l’avversario o quello che sia. Una delle mie poche certezze.

da Ad occhi chiusi, di Gianrico Carofiglio

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