Parole, suoni, emozioni

La mia è un’evoluzione musicale senza limiti e senza fine.


Feeling Groovy – Paul Simon and Art Garfunkel (1966)

Brano tratto dal terzo album del duo statunitense Simon and Garfunkel.
Entrambi di origine ebraica, Paul Simon e Arthur Garfunkel da bambini vivevano a pochi isolati l’uno dall’altro a Forest Hills, una zona residenziale nella periferia di New York, frequentando la stessa scuola elementare.

La loro prima esibizione in pubblico si può far risalire appunto a quell’epoca, quando in una recita scolastica interpretarono rispettivamente il ruolo del Bianconiglio e dello Stregatto in Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll. Arrivati alla Forest Hills High School di New York, i due compagni di scuola iniziarono a suonare insieme come “Tom and Jerry” (come il celebre cartone animato), con gli pseudonimi Jerry Landis (Simon) e Tom Graph (Garfunkel).
Il duo si divise, si ricompose e tornò a dividersi e pur non essendosi mai ufficialmente ricostituiti come duo, Simon e Garfunkel si sono talvolta esibiti in concerto assieme riscuotendo sempre un grande successo.

Verso i 10-11 anni ebbi modo di conoscere queste magiche sonorità che entrarono a far parte della mia vita e del mio immaginario.
Immaginario perchè a quel tempo alla TV non trasmettevano video musicali come ora, le musiche d’oltreoceano erano praticamente sconosciute per la maggior parte della gente. “Sound of silence” e “Mrs Robinson” mi accompagnarono dalla pubertà fino all’età adulta. Ancora adesso amo ascoltarle quando ho bisogno di ritrovarmi.

A quell’età ho voluto cercare da me la musica attraverso una radiolina portatile che mettevo in alto, sul mobiletto con lo specchio in bagno, alzavo tutta l’antenna e la spostavo lentamente finché prendeva la frequenza… sembrava prendere più lì che in altri posti. Scoprii così per caso “Supersonic”, una trasmissione radiofonica che mi ha aperto le porte alla musica straniera. Ogni sera dopocena mi chiudevo in bagno ad ascoltare, unico luogo dove potevo stare tranquilla per un po’ di tempo.

Supersonic – Dischi a Mach-2

Supersonic – Dischi a Mach-2 era una trasmissione che andava in onda tutte le sere dalle 20:10 sul secondo canale di Radio RAI dal 1971 al 1977; il titolo alludeva alla velocità del suono (Mach-1) e agli aerei supersonici (e alla velocità dello stile di conduzione).
Pensato come programma riempitivo per il periodo estivo, ebbe un tale successo così inaspettato, da convincere la RAI a confermarlo diventando uno degli appuntamenti musicali di riferimento degli anni Settanta.
Il programma aveva un ritmo serrato, ripreso dalla formula di successo già adottata da Radio Montecarlo, e diventò familiare anche al pubblico giovane italiano, proponendo ogni sera 31 brani musicali. Le scelte ad ampio respiro, includevano anche brani underground, sia di produzione straniera che italiana, coprendo anche il versante più commerciale.
Già dal 1972 il programma evolvette verso una struttura più articolata, con un palinsesto settimanale che prevedeva una serata speciale il martedì, nella quale venivano organizzati concerti dal vivo con la presenza gli esponenti di punta della musica italiana dell’epoca.
Responsabile e principale conduttore della trasmissione fu Tullio Grazzini, ma negli anni ai microfoni si alternarono altri DJ, diventati poi molto noti.

Supersonic è stato un vero e proprio programma prototipo per la radiofonia italiana nel nascente periodo delle radio libere. Per la grande preparazione musicale e gli interventi spiritosi e dissacranti, si riuscì a coinvolgere un pubblico molto vasto. La grande affermazione delle radio libere dal 1976 in poi segnò la fase finale della trasmissione, che chiuse appunto nel 1977 più per contrasti interni alla RAI che per problemi di audience e di competizione, ancora lontani per il potente ente radiotelevisivo italiano dell’epoca.

 

La prima canzone con cui intercettai la frequenza fu “Father and son” di Cat Stevens, seguita da “Sad Lisa”. Aspettavo sempre con ansia di poterle riascoltare. Ancora oggi quando un brano mi piace particolarmente amo riascoltarlo più volte di seguito, riesce a darmi sempre le stesse emozioni.


Father and son – Cat Stevens (1970)

Cat Stevens, cantautore britannico, figlio di padre greco-cipriota (Stavros Georgiou) e madre svedese (Ingrid Wickman), abitò a Shaftesbury Avenue, nel quartiere di Soho a Londra, sopra il ristorante di proprietà del padre dove veniva spesso suonata musica popolare greca, dalla quale verrà influenzato. Per un breve periodo della sua infanzia si spostò con la madre a Gävle in Svezia, dove imparò i primi rudimenti della pittura dallo zio Hugo. Ciò influenzerà la carriera artistica del futuro Cat Stevens, spesso autore delle copertine dei propri album.

All’inizio della sua carriera Steven Demetre Georgiou, il suo vero nome, adottò lo pseudonimo dopo che un’amica gli fece notare che i suoi sembravano gli occhi di un gatto. Lo stile musicale è inconfondibile: chitarre acustiche in primo piano, sonorità delicate, richiami alla tradizione greca, testi a metà strada tra la canzone d’amore e il misticismo, il tutto condito dalla sua calda voce.
Cat Stevens si accosterà all’Islam nel 1976, quando suo fratello di ritorno da un viaggio a Gerusalemme gli regalò una copia del Corano, che segnerà per sempre la sua vita. L’anno seguente dopo aver rischiato di morire annegato a Malibù, Steven si convertì all’Islam adottando il nome Yusuf Islam. Tra le altre canzoni incise ancora “Isitzo” e “Back to Earth”, dopodiché si ritirò completamente dalle scene e diventò un membro eminente della comunità musulmana di Londra.

Mano a mano ampliai i miei gusti musicali, durante l’adolescenza mi  accompagnarono brani dei Pink Floyd,  dei Genesis, dei Led Zeppelin, Black Sabbath, Deep Purple…  per Alan Parson sviluppai una vera e propria dipendenza.


Woman from Tokio – Deep Purple (1973)

Prima traccia del settimo album della band britannica Deep Purple, gruppo musicale Hard Rock inglese, formatosi a Hertford nel 1968. Insieme a gruppi come Led Zeppelin e Black Sabbath, sono considerati fra i principali pionieri del genere Heavy Metal.

Band tra le più influenti del panorama musicale degli anni Settanta ha un substrato musicale molto vario, che spazia dal Blues al Rock and roll, dal Funky al Jazz e al Folk, dalla musica orientale alla musica classica, fino all’R&B, a cui unirono un certo virtuosismo tecnico. Il suono della band comprende anche elementi di Rock progressivo, genere in auge nel periodo.
Fu proprio l’avvento sulla scena musicale dei Led Zeppelin a illuminare i Deep Purple e a spingerli in quella direzione. A caratterizzare il sound tipico dei Deep Purple fu un’intuizione geniale di Jon Lord, musicista di formazione classica, diplomato al conservatorio: collegò il suo organo Hammond a un amplificatore per chitarra elettrica Marshall 1959 SLP. Il suono risultò un’alternativa a quello che avrebbe potuto fornire una chitarra elettrica. I componenti del gruppo variarono nel corso del tempo, alcuni a causa dell’abuso di alcol e droga generarono conflitti interni così profondi da portare il gruppo a sciogliersi, ma dopo alcuni anni la band torna a riunirsi ed è tuttora attiva e continua ad avere un considerevole seguito.

Non ho mai disdegnato i gruppi musicali italiani che certamente non hanno proprio nulla da invidiare ai gruppi stranieri (nel nostro paese c’è sempre stata quella tendenza un po’ snob di sminuire il talento italiano): Le Orme, la Premiata Forneria Marconi (PFM), il Banco del Mutuo Soccorso (BMS)… ascoltavo spesso Gioco di bimba delle Orme, allora non avevo compreso il significato delle parole, ma mi piaceva molto la melodia. Impressioni di settembre della PFM e Ron con Il gigante e la bambina sono brani indimenticabili.


Si dice che i delfini parlino – Banco del Mutuo Soccorso (1976)

Un brano di struggente bellezza tratto dal quinto album del Banco, che da sempre si seppe distinguere «per la  grande poesia, per l’alternanza di umori, di sfumature, di momenti di pieno strumentale a cui fanno seguito frasi appena sussurrate», frase che si legge sul sito ufficiale che rende bene l’idea della raffinata creatività dei testi scritti da Di Giacomo che volteggiano, s’appoggiano, si accompagnano, alle note suggestive delle musiche dei fratelli Nocenzi.

Il Banco fu fondato a Roma nel 1969 ed è tuttora in attività. Insieme alla Premiata Forneria Marconi, gli Area e Le Orme, è l’esempio più rappresentativo e noto, anche all’estero, di Rock progressivo italiano.
Tutto ebbe inizio nel 1968 quando Vittorio Nocenzi, già affermato tastierista ottenne un’audizione presso la RCA che ebbe esito positivo. Il gruppo negli anni Settanta usava riunirsi nella loro personale sala prove, la mitica “Stalla”, a Marino, una cittadina dei Castelli Romani.
La formazione iniziale si evolvette nel tempo acquisendo nuovi componenti, così come il genere che passò dalle canzoni del primo periodo, fortemente influenzate dal beat, a composizioni lunghe e complesse.

Il Banco del Mutuo Soccorso era destinato a diventare una pietra miliare nella nascente scena italiana del rock. La band sperimentava, apriva a nuovi orizzonti, ti portava a viaggiare in epoche passate “Da qui messère si domina la valle, ciò che si vede, è…” sapientemente toccava corde arcaiche, i segreti dell’universo e ti proiettava in un futuro incerto.
«Gli anni Settanta si caratterizzano per la voglia di cambiare gli schemi e le regole, di arricchire l’intrattenimento con l’espressione di valori, di creare insospettabili agganci tra le varie arti. Tutto è nato dalla musica, arte storicamente considerata minore, ma con quell’unica caratteristica di immediatezza nella fruizione che la rende tanto speciale.
Erano gli anni in cui si ricercavano nuovi suoni mescolando musica classica e musica pop, in cui si approfondivano e rendevano poetici e sognanti, favolistici, metaforici i testi, in cui si usava il tratto, pittorico, fumettistico … per “visualizzare” le note, per sommare idee alle idee, gli stimoli agli stimoli … in un coinvolgente mix di graphic art, musica, pittura, poesia… Seppur in ritardo rispetto al resto d’Europa il movimento progressive arrivò anche in Italia».
Ormai è passato più di un anno dalla scomparsa di Francesco Di Giacomo, voce inconfondibile che rimarrà sempre con noi.

Aaah… e il periodo dei cantautori italiani… mitico! Con le mie amiche d’infanzia ci prendavamo a braccetto e per la strada cantavamo a squarciagola “Rimmel” di  Francesco De Gregori, conoscevamo a memoria tutte le canzoni dell’Lp, e poi “Sara” di Antonello Venditti, mannaggia ci prendevano per matte! (Ha) E poi ancora Lucio Dalla, e Lucio Battisti che nonostante non sia più tra noi continua a stupirmi…  “Il Pescatore” di Fabrizio De Andrè la cantavamo tutti insieme all’ACR (Azione Cattolica dei Ragazzi), mi ricordo che la Domenica pomeriggio ci riunivamo in una sala dove durante la settimana si teneva un corso di sartoria, e mentre cantavamo ci infilavamo sullo strato superficiale della pelle del palmo della mano gli spilli trovati sparsi in giro. E ci divertivamo pure, quante scemenze si faceva da bambini…


Compagno di scuola  – Antonello Venditti (1975)

È una canzone imperniata sui ricordi del liceo, che rispecchia una certa rabbia giovanile verso una società slegata dai veri ideali, in cui la verità è spesso opportunità, camuffata, monopolizzata e ordinata in rapporto a un preciso sistema.

Le otto e mezza tutti in piedi
il presidente, la croce e il professore
che ti legge sempre la stessa storia
sullo stesso libro, nello stesso modo,
con le stesse parole da quarant’anni di onesta professione.
Ma le domande non hanno mai avuto
una risposta chiara…”

Antonello Venditti si avvicinò alla musica sin da giovanissimo, prese lezioni di pianoforte e iniziò a scrivere le sue canzoni, la prima fu “Sora Rosa” e poi l’indimenticabile “Roma capoccia” che dedicò alla sua città natale. Alla fine degli anni Sessanta si presentò al Folkstudio, celebre ritrovo romano, fucina dell’allora nascente circuito Folk impegnato giovanile, dove si fece apprezzare per la sua voce e lo stile molto particolari.
Nel 1971 debuttava come autore e quindi come cantautore, le sue canzoni parlavano di amore e di temi sociali. Passò quindi alla casa discografica RCA, allora un porto d’approdo per tutti i cantautori più innovativi della scena musicale italiana. Diventò lui stesso produttore e fondò una sua etichetta.

Venditti spaziava da canzoni in dialetto romanesco a ballate acustiche a canzoni ironiche, era sensibile a tematiche importanti come “Canzone per Seveso”, cittadina brianzola che subì un disastro ambientale per una fuga di gas altamente tossico, la diossina, causato dall’ICMESA, le cui conseguenze resero tangibile il reale rischio e la portata del danno ambientale.
Organizzò e registrò dei live al Circo Massimo per festeggiare la sua squadra giallorossa. Fu premiato in più occasioni per la particolarità e la ricercatezza dei suoi testi e delle sue musiche, e per aver promosso l’immagine dell’Italia e della musica italiana nel mondo.
L’artista non ha requiem e si dedicherà a scrivere anche un libro “L’importante è che tu sia infelice”, pubblicato nel 2009. Il titolo è una frase che lo stesso Venditti si sentiva spesso dire dalla madre con la quale, come a volte capita, ebbe un rapporto difficile se non proprio conflittuale.

Verso i 13-14 anni ho cominciato ad apprezzare anche la musica disco, in particolare il Funky mi ha sempre preso molto.
Poi ho iniziato ad acquistare la mia prima rivista musicale di cui non ricordo il nome, usciva mi pare ogni 15 giorni, e meno male perchè la paghetta ancora non esisteva!
Negli anni 80 ho scoperto Pat Metheny, gli Alabama e mi sono appassionata un po’ anche al Country. Il mio non è semplice ascolto, molti sono i brani che qui non ho citato che sono entrati a far parte della mia vita, è come se una colonna sonora fosse rimasta a colorare particolari momenti.


Roll on – Alabama (1984)

Gruppo musicale statunitense di musica country formatosi nel 1969, quando i cugini Owen, Gentry e Cook decisero di suonare insieme e vinsero un premio scolastico sotto il nome Young Country. Il gruppo nacque però ufficialmente nel 1972 quando i componenti lasciarono i rispettivi lavori per dedicarsi alla musica, suonando in vari club e locali, e cinque anni dopo decisero di chiamarsi Alabama. Gli inizi non furono facili, ma con gli anni Ottanta arrivò il successo, numerosi premi e riconoscimenti. Nonostante ciò la loro popolarità cominciò a scendere negli anni Novanta, nel 2003 la band si sciolse, anche se negli anni successivi uscirono diversi altri lavori e risulta tuttora in attività. Nel 2010 si riunì per festeggiare i quaranta anni dalla formazione.

Anche la Musica Classica mi è sempre piaciuta, in particolare Čajkovskij, Vivaldi, Ravel ma non ho mai approfondito molto il genere.
Tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta mi sono un po’ persa musicalmente. Con Internet ho ritrovato e ampliato la mia cultura musicale trovando chi mi ha fatto apprezzare anche il Metal, il Rap e altri generi.


Slow dancing in a burning room – John Mayer (2006)

John Mayer, chitarrista, cantante e cantautore statunitense iniziò a suonare la chitarra all’età di tredici anni, poco dopo un suo vicino di casa gli regalò una musicassetta di Stevie Ray Vaughan, che fece nascere in lui la passione per il blues. Pochi anni dopo fondava un complesso chiamato Villanova Junction (dal brano di Jimi Hendrix), assieme ad alcuni amici.

Nel 1999 uscì per un’etichetta discografica indipendente il suo primo EP da solista, che si rivelò un successo di critica, ma non fu accompagnato da una promozione tale da permettere di ottenere dei risultati commerciali. Il giovane Mayer cominciava tuttavia a suonare come turnista per qualche gruppo famoso, tra cui i Maroon 5 e i Counting Crows.
Il successo arrivò nel 2001 e si riconfermò nel 2003 con numerosi riconoscimenti sulle sue capacità di scrittore e compositore. Nel 2005 venne pubblicato il live “Try!”, primo album del John Mayer Trio, con Steve Jordan alla batteria e Pino Palladino al basso. Il suo stile si arricchiva di nuove sfumature che dal rock andavano al blues rock e al soul, e compaiono brani di denuncia sociale o politica in cui esprimeva il suo disappunto verso la situazione politica e umanitaria di questi tempi.

A causa di un problema di salute dovuto a un granuloma vicino alle corde vocali, John Mayer annunciò nel suo blog che sarebbe rimasto lontano dal palco per un tempo indefinito, ma continuò a pubblicare e nel 2014 si riunì il Trio, registrando qualche pezzo per un LP di prossima pubblicazione assieme a delle leggende del Jazz.

Tempo fa attraverso Twitter mi iscrissi in un social di musica, blip.fm: funzionava come i tweet, postavi il link di un brano musicale e lo condividevi, diventavi così una specie di dj. Gli altri potevano seguirti, segnalare il loro gradimento con una stellina e replicare con un retweet. Si potevano scegliere i generi e le persone da seguire.
Inizialmente mi iscrissi per curiosità, poi ci presi gusto e devo dire che mi divertii un sacco ad ascoltare e scambiare brani, riscoprire quelli che avevo scordato, proporne altri meno conosciuti, trovare persone con i miei stessi gusti musicali o al contrario con generi a me completamente nuovi… devo ammettere che il mio panorama musicale si è enormemente ampliato.

Leda

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