Fusilli con peperoni e tonno

Ingredienti: (per 4 persone)

380 gr. fusilli
2 peperoni: uno giallo e uno rosso
100 gr. tonno sminuzzato
1 scalogno o cipolla dolce
3 cucchiai di olio di oliva
1 cucchiaio raso di concentrato di pomodoro o salsa rubra diluito in una tazza d’acqua calda
6 foglie di basilico
sale e pepe

Preparazione:

Appassite dolcemente la cipolla con l’olio.
Unite i peperoni tagliati a listarelle, rimescolate più volte.
Condite con una presa di sale e pepe, lasciate insaporire 1-2 minuti.
Bagnate quindi con il concentrato di pomodoro diluito e continuate la cottura per 25 minuti a tegame coperto, rimescolando ogni tanto.
Cuocete i fusilli.
Poco prima della fine della cottura dei peperoni aggiungete il tonno sminuzzato e il basilico.
Unite la pasta e rimescolate bene.
Buon appetito!

Questo piatto è ottimo servito anche freddo nel periodo estivo.

I PEPERONI

I peperoni con i loro vivacissimi colori
portano in tavola una nota di allegria.

Così ci introducono nel mondo di queste bacche delle numerose varietà della specie Capsicum annuum, le pagine de I tuoi menù (Idea Donna, I.G.D.A. Novara 1987) dedicate a questa solanacea, originaria dell’America Centrale che ha conosciuto una straordinaria diffusione in tutto il mondo.
La pianta, la cui altezza può raggiungere un metro e mezzo, richiede un clima piuttosto caldo: nell’Italia settentrionale può quindi essere coltivata all’aperto solo in estate; nelle regioni del Sud sono invece possibili raccolti precoci. Si va diffondendo anche la coltura forzata in serra.

Questa pianta produce i peperoni, che nei mesi estivi si trovano esposti sui banchi degli ortolani al massimo del loro splendore. Il colore, a maturazione completa, può essere verde, giallo, arancione o rosso: anche la forma e le dimensioni dipendono dalla varietà. Vi sono infatti moltissime varietà di peperoni classificabili, dal punto di vista gastronomico, in due distinte categorie: quelli dal sapore piccante e quelli dolci.
I peperoni più dolci appartengono alle varietà nostrane, sono più o meno voluminosi e di colori diversi. La loro polpa è molto soda, ma invecchiando raggrinzisce e qua e là si guasta, perciò toccando i peperoni ci si accorgerà se sono freschi.

I peperoni possono essere largamente utilizzati in cucina, si possono gustare crudi, ma se la buccia è spessa li rende talvolta indigesti, possono essere molto decorativi e si possono cucinare in mille modi: dalla classica peperonata alla succulenta caponata siciliana. È anche uno degli ingredienti della ratatouille, un piatto tradizionale provenzale.
Questo vegetale, nelle sue varietà dolci e e piccanti è divenuto uno dei cibi simbolo della cucina mediterranea, e in particolare di quella spagnola: nel linguaggio della cucina internazionale, le denominazioni ‘alla spagnola’ indicano che la ricetta include, di solito, pomodori, aglio e peperoni a pezzi o a julienne.

Prima di procedere alla cottura si lavano molto bene, poi si toglie il picciuolo, si tagliano a metà e si asportano i semi e i filamenti bianchi. A seconda della cottura si possono anche lasciare interi: in questo caso sarà necessario fare un foro nella parte alta del picciuolo, poi con un coltellino o un cucchiaino asportare tutto quanto sta all’interno.
Si possono poi servire ripieni come piatto principale, farciti con tonno, salsiccia, avanzi di carne mescolati con riso e cipolle, formaggio o noci e cucinati al forno.
Per alcune preparazioni è necessario pelare i peperoni. Per fare questo bisogna sistemarli sopra una fiamma girandoli di tanto in tanto in modo da bruciare la pellicina che li riveste; a lavoro ultimato con un coltellino si asporta tutta la pellicina bruciacchiata.
Oppure si possono cuocere nel forno a microonde per circa 5 minuti alla massima temperatura (la pellicina risulta più chiara), oppure grigliati, vanno poi messi in un sacchetto di carta tipo quello del pane e appena si raffreddano vanno posti in freezer per 10 minuti circa. La pellicina verrà via che è un piacere.
Per renderli più morbidi, una volta vuotati basta metterli in una pentola d’acqua fredda, portate a ebollizione, sgocciolate e passate sotto l’acqua corrente.
Per esaltarne il sapore invece fateli grigliare interi (prima di togliere i semi e i filamenti) in modo da conservare il succo e concentrare il sapore nella polpa. Grigliati su carbonella, prenderanno uno squisito sapore affumicato e saranno un ottimo contorno per le carni grigliate.
Si conservano ottimamente sott’aceto oppure cotti in acqua e aceto e poi messi sott’olio. Si possono anche congelare interi o tagliati a strisce, purchè siano freschi: togliete il picciuolo, i semi, i filamenti bianchi, immergeteli per tre minuti in acqua bollente (1 minuto per quelli a strisce) e poi raffreddateli rapidamente in acqua fredda, asciugateli bene e congelateli in recipienti rigidi. In questo modo si possono conservare per 6 mesi.
Si possono scongelare immergendoli in acqua bollente, oppure a temperatura ambiente per preparali in insalata, oppure cuoceteli direttamente senza farli scongelare.

I peperoni sono una verdura utile all’organismo per il loro contenuto in vitamina C e, consumati con moderazione, favoriscono la digestione perchè stimolano le ghiandole dello stomaco, quelle salivari e pancreatiche a secernere i loro succhi digestivi.

RISOTTO AI PEPERONI VERDI E OLIVE NERE

Ingredienti: (per 4 persone)

350 gr. di riso
2 peperoni verdi
1 cucchiaio di olive nere tritate
1 scalogno
2 cucchiai di olio di oliva
1 litro di brodo vegetale
1 bicchiere di vino bianco secco
2 cucchiai di panna
3 cucchiai di Parmigiano Reggiano o Grana Padano grattugiati
1 pizzico di maggiorana
sale e pepe

Preparazione: 

Tritate finemente lo scalogno e soffriggetelo leggermente con l’olio.
Unite i peperoni tagliati à la Julienne (a strisce sottilissime) e cuocete per 15 minuti a calore moderato.
Salate e pepate.

Aggiungete il riso, rimescolatelo e lasciatelo insaporire, bagnatelo quindi con il vino che lascerete evaporare.
Durante la cottura del riso aggiungete poco alla volta il brodo caldo e rimescolate portando a quasi completa cottura (una ventina di minuti).
Aggiungete quindi la panna, le olive nere tritate e la maggiorana. Rimescolate.
Spegnete il fuoco, spolverizzate con il formaggio grattugiato e rimescolate.
Mettete il coperchio e lasciate riposare per 2 minuti e servite.
Sentirete che profumino!

LA MAGGIORANA

La maggiorana, nome scientifico Origanum majorana L., 1753) è una pianta perenne della famiglia delle Lamiaceae.
È un importante spezia nella tradizione culinaria italiana e greca. Le foglie sono la parte commestibile della pianta. Si distingue dall’Origanum vulgare per l’odore ed il gusto più delicato.

La prima descrizione certa di questa pianta officinale (con il nome di Majorana) ci arriva dal XIII secolo per mano di Albertus Magnus, vescovo cattolico, scrittore e filosofo tedesco appartenente all’ordine domenicano. Ma forse era conosciuta già ai tempi di Plinio il Vecchio, scrittore, ammiraglio e naturalista romano, che descrive un vegetale sconosciuto con il nome di amaracus. Riferimenti a questa pianta si trovano ovunque dall’Europa (Francia, Germania e Spagna) alla Tunisia e fino all’India.

La maggiorana viene usata per profumare carni insaccate e naturalmente nell’erboristeria e nella cucina. Il suo Olio essenziale viene usato nella produzione dei saponi.
Secondo la medicina popolare questa pianta ha proprietà medicamentose.

Il peperone crusco

Il peperone crusco è un prodotto tipico della cucina lucana. È un peperone dal sapore dolce, non molto grande e dalla forma allungata, che si caratterizza per la sua polpa sottile e il basso contenuto d’acqua, qualità che lo rendono particolarmente adatto all’essiccazione.

In Basilicata, nota anche come Lucania denominazione ufficiale che la regione ebbe dal 1932 al 1947, il peperone crusco è coltivato nella zona del Pollino, in particolar modo nel comune di Senise (Potenza).
Raccolti dopo la prima decade di agosto, i peperoni cruschi vengono trattati in modo naturale lasciandoli qualche giorno ad asciugare su teli di stoffa o su reti, in locali areati e in penombra per poi venire infilati con lo spago e raccolti in collane dette “serte”, e lasciati essiccare al sole.
Ciò fa sì che l’ortaggio diventi “crusco”, cioè croccante, caratteristica inconfondibile che diventa ancor più marcata dopo averlo passato nell’olio. Viene gustato come spuntino o accompagna altre pietanze, viene usato come ingrediente in alcune ricette oppure macinato entra nell’impasto di formaggi e salumi.

Al peperone crusco di Senise è stato riconosciuto lo status protetto di IGP (Indicazione Geografica Protetta), che ne certifica il profondo legame con il territorio e ne tutela la tipicità.
I Peperoni di Senise IGP sono un bene prezioso per la tradizione agroalimentare della Basilicata, tanto da definirlo l’“oro rosso lucano”. La loro produzione che segue un preciso disciplinare, è ritenuta a rischio contaminazione a causa della presenza di altri ecotipi di maggior resa e di più semplice coltivazione.

Parco  Nazionale del Pollino

Situato tra Basilicata e Calabria, il Pollino è il più grande parco nazionale e la più grande area protetta italiana, istituita nel 1988 che si estende tra le province di Cosenza, Potenza e Matera.

Il parco prende il nome dal massiccio del Pollino (2.248 m) che si trova al suo interno, e comprende diverse cime che superano i 2.000 m sul livello del mare (s.l.m.).
Queste vette, tra le più alte del sud d’Italia, sulle quali corre la linea di confine tra la regione lucana e quella calabrese, rimangono coperte di neve per alcuni mesi dell’anno. Sul Monte Pollino (2.225 m) in particolare, è facile scorgere il nevaio anche a fine agosto, nei cui pressi il 9 ottobre 2010 è stato installato un sofisticato rilevatore di temperatura per un monitoraggio diretto del microclima.

Le rocce del massiccio sono di natura calcarea e calcareo dolomitica perciò sono soggette a erosione e a fenomeni legati al carsismo che ne modellano continuamente l’aspetto. Il territorio è disseminato di grotte come quella del Romito che presenta graffiti risalenti al Paleolitico, di canyon spettacolari scavati dalle acque impetuose dovute al disgelo dopo l’ultima glaciazione.
Il massiccio montuoso che fa parte dell’Appennino meridionale regala un punto panoramico meraviglioso, da cui si possono osservare le coste tirreniche da una parte e il litorale ionico dall’altra.
È un sito importante per la vegetazione – numerose sono le piante officinali che qui trovano l’ambiente ideale, e le specie arboree soprattutto faggi, querce, abeti bianchi, e il raro pino loricato, pianta secolare antica e simbolo del parco stesso che riesce a vivere dove altre specie non potrebbero – e per la fauna che comprende volpi, lepri, lontre, falchi e animali in via di estinzione come il lupo appenninico, il capriolo e l’aquila reale.

Altro punto panoramico del Pollino con una eccezionale vista sulla costa e sulle montagne interne s’incontra sulla cima rocciosa del monte San Biagio dove sorge il Cristo Redentore. È un’imponente statua alta 21,13 metri realizzata nell’antica Maratea (Castello) tra il 1963 e il 1965 dallo scultore fiorentino Bruno Innocenti. Fu commissionata dal conte Stefano Rivetti di Val Cervo, erede di una storica industria laniera biellese che potendo usufruire dei notevoli incentivi dati dalla Cassa per il Mezzogiorno riuscì a imporsi nella zona più nel settore turistico che in quello tessile.
L’opera che espressivamente pare invocare l’aiuto del Padre, è la seconda come dimensioni solo al Cristo Redentore che abbraccia la città brasiliana di Rio de Janeiro ed è una delle Sette meraviglie del mondo moderno.
La statua è uno dei simboli più conosciuti di Maratea (Potenza) ed è situata proprio di fronte al Santuario di San Biagio, vescovo armeno martire e patrono di Maratea le cui reliquie vengono conservate nella Basilica pontificia dal 732 d.C. .

CRISTO REDENTORE

In Italia sono presenti numerose statue del Cristo Redentore. Particolare significato hanno quelle erette sulle vette dei monti italiani in occasione del Giubileo del 1900: si tratta di venti monumenti (sculture, cappelle e croci) edificati a partire dalla fine del XIX secolo su proposta di papa Leone XIII come simbolo della Consacrazione di tutti gli uomini (non solo i credenti) al Cristo, redentore del genere umano. Consacrazione stabilita da Leone XIII con la Lettera Enciclica Annum Sacrum del 1899.

Quello del Pollino è uno dei parchi più recenti e protegge ambienti molto delicati. Nel 2015 è entrato a far parte della Rete dei Geoparchi Mondiale. L’intero territorio del Pollino Global Geopark che racchiude 69 geositi (beni naturali non rinnovabili), è riconosciuto Patrimonio dell’UNESCO.

Sono presenti infatti grotte preistoriche, e profondi inghiottitoi che sono spaccature del suolo tipiche dei terreni carsici dove l’acqua di superficie penetra e sprofonda.

Un paesaggio sotterraneo fuori campo.
L’anima del Pollino, uno spazio immaginario

così lo definisce Michelangelo Frammartino regista del film Il buco del 2021 girato interamente all’interno del parco.

Il film è tratto da una storia vera che racconta di un gruppo di speleologi piemontesi che nel 1961 (gli anni del boom economico, sono gli anni dell’altezza…) scendono giù nel buio, nell’abisso inesplorato del Bifurto, un inghiottitoio profondo 683 metri.

Nel Parco del Pollino non mancano inoltre musei importanti dal punto di vista storico, archeologico e culturale; sul versante lucano il parco è arricchito da alcune installazioni artistiche, ed è un vero paradiso per chi ama le passeggiate, il trekking e l’escursionismo in generale.
Oltre a ruderi di conventi, castelli, torri e fortificazioni, sul territorio s’incontrano suggestivi Santuari e Chiese rupestri che meritano di essere visitate.
In territorio calabro si trova il Santuario della Madonna delle Armi nei pressi di Cerchiara (Cosenza), un complesso monastico di origine medievale da sempre meta di pellegrinaggi che offre una bella vista sulla pianura di Sibari e sul golfo di Taranto;
il Santuario della Madonna della grotta a Praia a Mare (Cosenza), è situato all’interno di tre cavità rocciose che si affacciano sul Golfo di Policastro, un’insenatura del mar Tirreno. Fu utilizzato dai monaci Basiliani, così detti perchè si ispirano alla regola di San Basilio, Padre e Dottore della Chiesa, divenendo luogo di culto e di pellegrinaggio;
la Chiesa di Santa Maria di Mércuri realizzata su un preesistente tempio pagano, ha al suo interno tracce di affreschi e una rappresentazione della Madonna con Bambino in trono, realizzata in terracotta. Una chiesa rupestre che si trova nell’Orsomarso, territorio di folti boschi e corsi d’acqua a cui tra il IX e il XI secolo d.C. giunsero molti monaci provenienti dal Mediterraneo, ed è rimasta come unica testimonianza dello scomparso abitato di Mercurion di origine altomedievale, e dei cenobi (luoghi di preghiera e di lavoro comune) e degli eremi (luoghi solitari a stretto contatto con la natura) che lo circondavano, e in cui fiorì per molti secoli il monachesimo basiliano.

In territorio lucano si trova il Santuario della Madonna del Pollino (Potenza), luogo sobrio e mistico che accoglie il viandante e il turista e da cui si può godere di un ampio e suggestivo panorama, specie raggiungendo la vicina statua bronzea della Madonna del Pollino che a braccia tese innalza e sostiene Gesù bambino mentre abbraccia la valle, opera della scultrice olandese Daphnè Du Barry.

Nel territorio sono presenti inoltre percorsi per Mountain Bike, Bici Gravel, cicloturismo, si possono praticare discipline come l’alpinismo e la speleologia, e sport acquatici grazie ai numerosi corsi d’acqua che attraversano il Parco, come il torrentismo e il rafting, e sport invernali come lo sci di fondo.
Diversi rifugi montani sono dislocati in tutta la zona, il più antico è dedicato ad Alcide De Gasperi e si trova a Piano Ruggio, grande altopiano a quota 1535. Il rifugio venne inaugurato nel 1958 in seguito all’applicazione di quella che fu chiamata “Legge sulla Montagna” pensata e realizzata da Amintore Fanfani che comprendeva una vasta serie d’interventi e finanziamenti pubblici che dal 1952 avrebbero permesso di rilanciare le aree agricole e montane italiane.

A seconda della zona il peperone crusco assume diversi nomi dialettali, ed è piuttosto diffuso anche nella cucina calabrese centro-settentrionale.

Prodotto tipico della cucina tradizionale abruzzese è invece il peperone dolce di Altino, È una varietà antica e Presidio di Slow Food, che oltre a valorizzare il prodotto promuove tra i coltivatori una gestione accorta della semente e un metodo di coltivazione sostenibile.

Il peperone dolce di Altino

Altino è un piccolo paese della provincia di Chieti (Abruzzo) dove si coltivano questi peperoni dal taglio piccolo, a corno, di colore rosso intenso, chiamati nel dialetto locale “a cocce capammonte” (a testa all’insù), proprio perché il vegetale si sviluppa rivolto verso l’alto. Una volta maturi vengono raccolti e infilati con del filo in una lunga collana chiamata “crollo”, e lasciati essiccare all’aria.
Vengono poi tostati in forno o passati velocemente in olio bollente, e consumati interi o sbriciolati sui piatti tipici, come ad esempio la pizz’ e fuje, una pizza non lievitata di granoturco che accompagna verdure in foglia, pietanza tipica della cucina contadina abruzzese.
Oppure secondo la tradizione, i peperoni secchi e tostati dal caratteristico sapore dolce vengono polverizzati in antichi mortai chiamati “piloni”, per andare a condire la pasta o aggiunti nella preparazione del pane e della pasta fatta in casa. Entrano anche nella preparazione degli insaccati, come la Ventricina del Vastese, altro Presidio di Slow Food.
È un salume di carne di maiale molto diffuso nella zona di Vasto (Chieti), così prezioso che nelle famiglie un tempo lo si tagliava solo nei momenti importanti della vita rurale, quali la mietitura e la vendemmia. In passato si usava la carne di maiali neri, una razza presente in Abruzzo fin dai secoli antichi ma ormai rara, essendo stata rimpiazzata dai suini bianchi che crescono più rapidamente e si nutrono in maniera più economica.
Altro tipico insaccato abruzzese è l’annoia (localmente nuje o annuje) più simile a una salsiccia. Particolarmente nota è l’Annoia di Ortona (Chieti) che nasce dalla tradizione e dal sapere contadino nell’utilizzare tutte le parti del maiale. Si ottiene infatti dalla trippa (stomaco) e dalla parte finale del budello aromatizzati con bucce di arancia, con l’aggiunta di semi di finocchio e di peperoncino piccante.

Peperone di Carmagnola

Questo frutto della terra fa parte da sempre della tradizione gastronomica piemontese. A Carmagnola (Torino) si producono quattro diverse tipologie di peperone: il “quadrato” (con quattro punte dal sapore dolcissimo), “il corno di bue” (dalla forma allungata ottimo per la conservazione), “la trottola” (a forma di cuore molto adatto per la cottura in forno) e “il tumaticot” (più tondeggiante e schiacciato ai poli risulta perfetto per conservazioni sott’aceto).

Il peperone Corno di Bue di Carmagnola in particolare è un Presidio Solw Food, dai colori splendidi (giallo intenso o rosso vivace) e dalla forma conica molto allungata simile allo spagnolìn primordiale, il peperone oblungo giunto dalle Americhe si coltiva su terreni pianeggianti, limosi e sabbiosi.  Ha un sapore dolce, la polpa è spessa, consistente e carnosa che migliora con la conservazione sott’aceto, sott’olio o in agrodolce. È ottimo anche crudo condito d’olio extra vergine d’oliva o con la bagna cauda, oppure arrostito in forno o scottato alla fiamma come contorno di arrosti e bolliti.

Peperone di Capriglio

È un peperone dalle origini antiche, selezionato e coltivato da oltre due secoli, e tramandato di generazione in generazione dagli agricoltori di Capriglio, un paesino del Monferrato (Piemonte).  Pertanto è una pianta molto rustica, vigorosa e non molto alta, i frutti sono medio piccoli, con tre sole costole dalla forma leggermente triangolare o cuoriforme, di colore giallo o rosso. Dal sapore delicatamente dolce è un peperone consistente e carnoso, particolarmente adatto alla conservazione, che secondo la tradizionale avviene sotto vinacce derivate dalla torchiatura del vino freisa locale, un vitigno a bacca nera autoctono del Piemonte dalla storia molto antica, e ciò li rende famosi e ricercati.

Papaccella napoletana

È un peperone piccolo, un po’ schiacciato, molto carnoso e saporitissimo, tipico della regione Campania. Dai colori decisi che variano dal verde intenso al giallo sole, o dal verde al rosso vinato, anche la papaccella è un Presidio Slow Food, e si caratterizza per la dolcezza della polpa e dal profumo particolarmente intenso. Ideale per le conserve tradizionali sottaceto oppure sottolio, può essere consumata fresca, cotta al forno, saltata in padella, oppure ripiena farcita con tonno o alici salate, olive, mollica di pane, uvetta, pinoli e capperi.
Preparate con sapienza artigianale e conservate sotto aceto di vino rosso, un tempo ricavato solitamente dal cosiddetto vino piccirillo, aspro e poco alcolico, le papaccelle napoletane sono uno degli ingredienti che non possono mancare nell’insalata di rinforzo, tipico piatto partenopeo a base di cavolfiore che viene servito tradizionalmente durante il cenone della Vigilia di Natale.

Spesso confusi, i peperoni e i peperoncini appartengono alla stessa famiglia. Tuttavia, il gusto dolciastro e speziato degli uni e il sapore piccante degli altri sono la dimostrazione che bisogna saperli distinguere.

I PEPERONCINI

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