La grande bellezza – film

LA GRANDE BELLEZZA
di Paolo Sorrentino

Jep Gambardella (Toni Servillo), è un apprezzato e singolare giornalista di origini napoletane, che dopo molti anni gode ancora della notevole fama raggiunta con il suo primo e unico libro: “L’apparato umano”, scritto in gioventù.
Vive a Roma da quando aveva 26 anni e frequenta un gruppetto di amici intimi: Romano (Carlo Verdone) scrittore teatrale che aspetta di stabilire un qualche rapporto con una giovane vamp, la quale in realtà lo sta solo sfruttando ed è infantilmente invidiosa di ogni suo tentativo di realizzarsi; Lello (Carlo Buccirosso) abile commerciante all’ingrosso di giocattoli, piuttosto arrapato, marito infedele di Trumeau (Iaia Forte); Viola (Pamela Villoresi) ricca vedova smarrita e ottusa di fronte alle paranoie e al malessere del figlio; Stefania (Galatea Ranzi) scrittrice radical chic, che spara sentenze a destra e a manca, impegnata a nascondere il fallimento della propria vita; Dadina (Giovanna Vignola) caporedattrice del giornale con cui Jep collabora, una nana che dalla sua altezza sa leggere i fatti ed è consapevole di ciò di cui sono capaci le persone.
Al compimento del suo 65° compleanno per Jep arriva il momento di fare un resoconto della propria vita e di ciò che lo circonda. Il suo momento critico viene ad accentuarsi con l’annuncio della morte del suo primo amore da parte del marito, il quale gli rivela di aver scoperto dal diario personale che lei aveva sempre amato Jep, considerando il marito un buon compagno.
Per Jep è come un risveglio, i suoi pensieri diventano profondi, si pone molte domande, scruta con occhi nuovi, diventa spietatamente sincero con se stesso e con chi si nasconde dietro l’ipocrisia. Ritrova un amico di vecchia data e conosce la figlia Ramona (Sabrina Ferilli) che nonostante abbia 42 anni continua a fare lo “spogliarello raffinato”, ma infondo è più matura del padre, settantenne eroinomane. Jep sembra ritrovare con lei un legame normale. Ma deve affrontare ancora nuove prove tra cui la morte e l’abbandono di persone vicine e finisce per sentire tutto il peso dei suoi anni.

Un film che merita di essere visto più di una volta per il suo notevole spessore, un film complesso e interpretabile, così come lo è la realtà a seconda del punto di vista attraverso cui la si guarda.

La scena iniziale è ricca di simboli, dallo sparo del cannone sul colle del Gianicolo, ai rintocchi del mezzogiorno, la breve ripresa sulla statua equestre di Giuseppe Garibaldi e la scritta Roma o morte, i busti del Parco degli Eroi, tutto riconducibile al periodo storico del Risorgimento.
Il levarsi delle voci femminili con l’I lie di David Lang, la Fontana dell’Acqua Paola voluta da papa Paolo V, la panoramica su Roma, la benedizione, danno sacralità alla capitale dell’Italia unita. Un punto forte d’ispirazione e di sicurezza per le generazioni passate. Ma oramai sembra che al nostro patrimonio storico artistico siano interessati più i turisti stranieri che gli italiani.

All’improvviso si è catapultati in un’altra Roma, quella godereccia della notte: l’urlo che dà il via alla festa, l’incalzare del ritmo remixato di “Far l’amore” di Raffaella Carrà, la terrazza romana, i corpi di uomini e donne omologati si esibiscono in una rappresentazione in cui manca il senso del ridicolo, e abbonda il narcisismo e l’esibizionismo. Il sacrilego che investe Roma, capitale del decadimento anche culturale dell’Italia, tra abusi d’alcol, droga, promiscuità, corruzione di cui siamo ogni giorno testimoni e con cui giornalmente dobbiamo fare i conti, anche nel senso letterale della parola.
La celebrazione dell’amore per la propria patria e la solennità della morte che dà valore alla vita, contrapposte alla celebrazione della decadenza morale e civile, l’illusoria immortalità e una felicità temporanea e fasulla.

Fantastica qui l’entrata in scena di Jep Gambardella, fagocitato da questa pigra vita mondana in cui il tempo sembra sospeso, sapientemente mette la maschera del sornione e si lascia vivere… a testa in giù. Ma qualcosa è cambiato, comincia a far luce sulle cose semplici e genuine, il contatto con la natura, il mare blu, la domestica “farabutta” che si occupa di lui… tutto lo porta a riflettere e a rivedere la sua vita.

La più consistente scoperta che ho fatto
pochi giorni dopo aver compiuto 65 anni
è che non posso più perdere tempo
a fare cose che non mi va più di fare.

Rifiuta di adeguarsi a ciò che gli sta intorno. Intervistandola, smonta con ironia l’artista che si definisce concettuale, che parla di sè in terza persona, che non ha bisogno di spiegare, l’intellettualoide che si para dietro a frasi fatte e al vittimismo.
Reagisce all’ipocrisia di una Stefania ottusa, ahimè come molti in questo tempo, che accusa i giovani di arrivismo e di ingratitudine, giudica con disprezzo per nascondere la propria fragilità e scaricare sugli altri il fallimento della propria vita.
Conosce Orietta (Isabella Ferrari) donna ricca di Milano, un po’ snob che considera i romani insopportabili, che a tutte le ore del giorno si fa le foto con l’autoscatto… per ‘conoscersi’ meglio… e per pubblicarle su facebook, che sa recitare i versi del libro di Jep ma non ha la poesia dentro.

A luce intermittente
l’amore si è seduto nell’angolo
schivo e distratto esso è stato,
per questa ragione
non abbiamo più tollerato la vita.

Ci sono un sacco di personaggi in questo film, ognuno con una specifica connotazione che rappresenta le molteplici sfaccettature della nostra realtà.
La donna invisibile “protetta” dal burqa seduta come una statua accanto al marito che sta mangiando, stride paurosamente con le spogliarelliste cui, assurdo, le donne stesse sono spettatrici alimentando una cultura di merceficazione del loro stesso corpo. Due estremismi che negano entrambi la dignità alla donna.
Lo sfruttamento del talento e l’abuso psicologico sulla bambina costretta a proiettare la propria rabbia per creare arte… ma l’arte è frutto della passione, non si può generare su ordinazione. Non c’è più rispetto per l’infanzia.
Il figlio di Viola che arrossisce quando vede la madre, che non è pazzo, ha solo dei problemi… Proteggiamo in modo eccessivo i nostri figli per un senso di colpa nel sentirci genitori inadeguati, li rendiamo egoisticamente deboli, incapaci di elaborare strategie per affrontare la vita con coraggio.
Le principesse, un’altro tipo di decadenza del passato d’Italia, quella dei nobili cui almeno è rimasta la dignità da prendere in affitto.
Il cardinale Bellucci (Roberto Herlitzka) che sfugge alle domande di Jep rifugiandosi nella mondanità e abdicando al proprio ruolo di guida spirituale.
Un bel circo insomma, con tanto di guru che dispensa l’immortalità a suon di centoni, di lanciatore di coltelli, e la magia della giraffa.
Tutto è una finzione dove i sentimenti sono rappresentati, ma non vissuti in prima persona.

L’incontro con il marito di Elisa De Santis, il primo amore di Jep, apre un varco nella consapevolezza di sè e dell’errore nel non aver lottato, ma di essersi seduto all’angolo per tutti quegli anni a scorgere la vita passare, rimanendo passivamente agganciato a quel ricordo. Anche il destino di Elisa poteva essere diverso…
Tutto sommato Jep nonostante la sua pigrizia è una persona positiva, sdrammatizza, usa l’ironia per non prendersi troppo sul serio, ha un certo fascino e trasmette sicurezza, e soprattutto sa essere un buon amico. Con Romano allaccia un’amicizia più stretta e lo incita ad esprimere se stesso nel suo progetto teatrale, confidandogli a sua volta l’intenzione di riprendere a scrivere.

Tu pensi che certe acrobazie intellettualistiche ti diano dignità? Ti sembra che gli altri siano migliori di te? Ma non è così. Prova a scrivere qualcosa di veramente tuo, sentimento, dolore…

Singolare la mostra delle fotografie, che un padre ha avuto la costanza di fare giorno per giorno al figlio, ognuna con un’espressione diversa che segna la sua crescita e dà nella sua interezza, consistenza all’arco di tempo che è passato, che è stato vissuto. Guardando ai figli si percepisce il tempo che passa dalla loro crescita, lo si quantifica dai loro cambiamenti; per paradosso però avendoli davanti agli occhi tutti i giorni questa consapevolezza spesso ci sfugge ed è chi li vede saltuariamente che ci svela la realtà, ci apre gli occhi.

Non manca “Un uomo laborioso, uno che mentre lei trascorre il tempo a far l’artista e a divertirsi con gli amici fa andare avanti il paese. Io faccio andare avanti questo paese, ma molti ancora non l’hanno capito!Giulio Moneta, uno dei dieci latitanti più ricercati del mondo, un vicino di casa anonimo, di cui nessuno se ne accorge.
Certo che sì, la mafia ha sistemato proprio bene l’Italia, sta smantellando le nostre fondamenta culturali ed economiche attraverso i politici corrotti che la rappresentano, rendendo impossibile la vita delle piccole imprese che si suicidano ogni giorno e fa fuggire all’estero quelle grandi, quelle che per anni hanno spremuto le risorse del popolo e tenuto sotto ricatto la nazione stessa. Così la mancanza di lavoro e bloccando la ricerca, fa fuggire pure la gioventù da sempre fonte che genera il cambiamento, decretando una morte lenta del paese Italia.
Una mafia che si nutre dei nostri vizi: gioco d’azzardo, droga, alcol, pornografia, prostituzione. Un tempo si diceva che i vizi indeboliscono l’anima. E ci rende distratti, aggiungo io, alla percezione reale della corruzione e della strumentalizzazione di chi gestisce la politica, nel rendere un popolo ammaestrabile e passivo attraverso una scarsa cultura dell’informazione e dei media, facendolo sentire inadeguato ad esprimere un’opinione.. ci pensano i falsi esperti che bla bla bla… parlano senza dire niente.

La grande bellezza è la nostra Italia con tutto ciò che è accessibile e non accessibile al pubblico, un meraviglioso patrimonio storico-artistico di encomiabile valore, ricco di magia come l’effetto ottico delle colonne del film… fantastico! Un patrimonio che fa gola e va salvaguardato consegnando le chiavi a custodi affidabili che sappiano conservare la nostra storia e sappiano renderla fruibile a tutti, favorendone la conoscenza anche attraverso il cinema, come in questo film, a renderci di nuovo sensibili ai racconti dei ciceroni. Fa tenerezza la principessa che ascolta con nostalgia il suo passato…

Infine Jep si rende conto che il tempo scorre, che sta morendo tutto quello che gli sta intorno, anche le persone più giovani di lui, e altre se ne vanno, gli rimangono solo i ricordi.
L’incontro con “La Santa”, suor Maria, gli indica un percorso, gli rivela che è attraverso il sacrificio che si trae energia, dall’impegno e dalla passione verso qualcuno o qualcosa, dall’espiazione delle proprie colpe per avere la grazia di una dignità umana. Gli insegnerà l’importanza delle proprie radici e della conoscenza. Sarà proprio questo, insieme alla consapevolezza di essere sempre rimasto indissolubilmente legato alla purezza del primo amore, a illuminare la sua strada e a indicargli il modo per ridare significato alla sua vita.

Un  film importante, meticoloso, ogni particolare ha un suo significato, un film che [in]segna il momento storico che stiamo vivendo, che permette di capirlo e stimola alla riscoperta di un’identità italiana più matura e protagonista.

Un cast superbo, come Toni Servillo che già nel film Viva la libertà ho potuto consistentemente apprezzare, ricco di camei come quello di Antonello Venditti che rappresenta se stesso, come Fanny Ardant, breve nostalgico desiderio di ritrovare lo stile femminile ricco di fascino. Originale e complemento importante al film anche la grandiosa colonna sonora. Un film che merita di rimanere nella storia del cinema italiano.

La grande bellezza
di Paolo Sorrentino
Italia, Francia, 2013
Genere: commedia, drammatico
Cast: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli,
Roberto Herlitzka, Isabella Ferrari, Giorgio Pasotti,
Vernon Dobtcheff, Serena Grandi, Luca Marinelli,
Giulia Di Quilio, Massimo Popolizio, Giorgia Ferrero,
Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso,
Ivan Franek, Stefano Fregni
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino
Fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Musiche: Lele Marchitelli
Produzione: Indigo film, Medusa film, Babe film, Pathé
Distribuzione: Medusa distribuzione Italia

Quando sono arrivato a Roma a 26 anni sono precipitato abbastanza presto, quasi senza rendermene conto, in quello che si potrebbe definire il vortice della mondanità.

Ma io non volevo essere semplicemente un mondano… volevo diventare il re dei mondani, e ci sono riuscito. Io non volevo solo partecipare alle feste, volevo avere il potere di farle fallire.

Tutte queste vanterie, tutta questa ostentazione seriosa di io, io, io, questi giudizi sprezzanti tagliati con l’accetta nascondono una tua fragilità, un tuo disagio, e soprattutto una certa serie di menzogne. Noi ti vogliamo bene, riconosciamo.., certo conosciamo anche le nostre menzogne ma proprio per questo a differenza tua finiamo per parlare di vacuità, di sciocchezzuole, di pettegolezzi proprio perchè non abbiamo nessuna intenzione di misurarci con le nostre meschinità.

Ero destinato alla sensibilità.
Ero destinato a diventare uno scrittore.
Ero destinato a diventare Jep Gambardella.

Alla mia età una bella donna non è abbastanza

«Non ti sei divertito, so che non sono molto brava.»
«Ma perchè dici così? È così triste essere bravi,
si rischia di diventare… abili»

«Artu’ fa sparire pure a me»
«Ma Jep, secondo te, se si potesse
davvero far scomparire qualcuno

io starei ancora qui alla mia età
a far ‘ste baracconate?

È solo un trucco
è solo un trucco
è solo un trucco»

 

Approfondimenti


Il Gianicolo

Il 28 maggio 1849 la Repubblica Romana stanziò 10.000 Lire per la creazione di busti marmorei da esporre nei giardini del Pincio. Alla fine della guerra di busti ne erano stati fatti cinquantadue ma a causa del potere temporale del Papa questi rimasero nei magazzini del Campidoglio.
Nel giugno del 1851 Papa Pio IX ordinò di disporre i cinquantadue busti nei giardini del Pincio, escludendo alcuni non graditi perché atei. Nel 1860 gli scultori Achille Stocchi e Tito Sarrocchi sono incaricati di modellare i busti non graditi, e di crearne di nuovi. Arriveranno così a 228.
Un primo posizionamento delle statue avvenne tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento: il Monumento equestre dedicato a Giuseppe Garibaldi al Gianicolo risale al 1896.
Negli anni venti, durante il regime fascista, fu costruito il monumento ai caduti per la causa romana, nel quale sono ancora oggi conservati i resti di questi patrioti.
Dopo la caduta del regime fascista, si fece un primo restauro delle statue solo negli anni Sessanta e successivamente nei lavori per il Giubileo del 2000, durante i quali fu scoperta una villa romana e furono restaurate e ricollocate nuove statue, in particolare quella dedicata ad Anita Garibaldi e ai figli dello stesso Garibaldi che seguirono le sue orme.

Gli 84 busti degli eroi del Risorgimento sono tornati a guardare il loro parco nel cuore del Gianicolo, quello degli eroi appunto, perfettamente restaurato e inaugurato in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia (2011). Quando è arrivato il presidente della Repubblica, le statue di Anita e Giuseppe Garibaldi, i busti e le quattro stele celebrative dei garibaldini e dei difensori della Repubblica romana del 1849 sono stati ‘liberati’ dai ragazzi delle scuole del quartiere. Due per ogni ogni busto, tutti con la coccarda tricolore, mentre intorno le bandiere italiane coloravano il gianicolo e il rinnovato parco degli eroi.

Patrioti italiani e stranieri che durante il Risorgimento
hanno combattuto con le armi o con la parola per l’unificazione dell’Italia.

Per chi vuole approfondire: Passeggiata del Gianicolo

La Fontana dell’acqua Paola

Nota anche come il “Fontanone del Gianicolo”, la Fontana dell’Acqua Paola fu voluta da papa Paolo V Borghese (1605-1621), successivamente al ripristino dell’Acquedotto Traiano, da lui stesso promosso nel 1608. Realizzata tra il 1610 e il 1614 come mostra terminale dell’Acquedotto Traiano-Paolo, la costruzione della fontana fu affidata a Giovanni Fontana (1540-1614), coadiuvato da Flaminio Ponzio (1560-1613).

Per approfondire: Mostra dell’Acqua Paola al Gianicolo

La Scala Santa

Secondo la tradizione nell’edificio posto sull’angolo di Piazza San Giovanni, che Sisto V fece demolire fra il 1585 ed il 1590, è ospitata la scala del palazzo del console Pilato a Gerusalemme. La Scala Santa, così chiamata in quanto Gesù ne avrebbe salito i gradini per giungere al cospetto dell’autorità romana, viene percorsa dai fedeli in preghiera in ginocchio per l’espiazione di colpe o l’invocazione di grazie.
Al piano superiore il Sancta Sanctorum («cose sante tra le sante» luogo a cui pochi hanno accesso), chiuso al pubblico, raccoglie numerose reliquie provenienti dalla Terra Santa ed affidate alla custodia dei Padri Passionisti.

Il brano I Lie cantato dal Torino Vocalensemble sulla musica di David Lang, è un testo in lingua yiddish (letteralmente: “giudeo/giudaico”) o giudeo-tedesco, è una lingua germanica del ramo germanico occidentale, parlata dagli ebrei originari dell’Europa orientale. È parlata da numerose comunità in tutto il mondo ed è scritta con i caratteri dell’alfabeto ebraico.

David Lang, assieme a Michael Gordon e Julia Wolfe, è una delle tre menti a capo di Bang On a Can, compagine newyorkese dedita alla salvaguardia e allo sviluppo del linguaggio musicale contemporaneo. Benché tutti e tre i compositori siano in qualche modo riconducibili alla corrente post-minimale, Lang si differenzia per una ricerca sonora più delicata, dai toni luminosi ma anche intimisti, e in generale piuttosto accessibili anche per il pubblico “non colto”. Non stupisce, dunque, che il progetto del ciclo liederistico “Death Speaks” nasca con l’idea di riportare alcuni musicisti della nuova scena indie nell’habitat che li ha ispirati in prima istanza, ossia quello classico/cameristico.

Per approfondire interessante l’articolo di ondarock

Jep nomina Polina (così si chiama anche la nuova compagna dell’ex marito di Elisa De Santis) de “Il giocatore” di Dostoevskij con cui trova delle affinità.
«….Un giorno incontra Mr. Astley che gli spiega le ragioni di Polina: egli infatti rivela a Ivànovic che Polina in realtà era sempre stata innamorata di lui. Dopo questa confessione, in segno della vecchia amicizia, Mr. Astley lascia ad Aleksey del denaro, facendo scegliere a lui se usarlo per raggiungere Polina in Svizzera o se usarlo alla roulette. Egli decide di proseguire per la sua strada, rimandando al futuro la sua definitiva redenzione.»

La mostra fotografica citata nel film molto probabilmente si ispira alla storia di Ian McLeo.

Leda

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