Vendute. Mai senza mia figlia

Un giorno in libreria ho visto esposto questo libro, mi ha colpito molto il titolo e l’ho acquistato. Mi turbava un po’ affrontare questo argomento piuttosto ostico, specie per una donna, ma poi ho voluto leggere anche il secondo libro perchè volevo conoscere e approfondire queste realtà che per un paese civilizzato sembrano così lontane…

Vendute – L’odissea di due sorelle
di Zana Muhsen
Traduttore: Francesco Forti
Genere: narrativa, autobiografico
Editore: Mondadori, 1993

«Era soltanto ieri sera. Poi è venuta la notte, quindi l’alba, qualche ora d’autobus e poi, all’aereoporto, la mia colazione mattutina: una tazza di tè con un cornetto. Papà e mamma non mi tolgono gli occhi di dosso e mi sento agitatissima.
“Mamma, se non mi trovo bene laggiù, posso tornare indietro subito?” 
“Certo Zana, puoi ripartire all’istante… Che cosa ti prende ora? Sembravi così contenta!”

Zana parte per lo Yemen, il paese di suo padre. Immagina spiagge dorate, mare, avventure esotiche. Troverà l’inferno. Un inferno senza uscita, senza scampo, un incubo lungo otto anni. Tanto durerà la prigionia di Zana, prima che il mondo “fuori” se ne accorga e venga a salvarla. Ma, nel frattempo, ha subito ogni genere di violenza, ha dovuto sposare uno sconosciuto e ha dato alla luce un bambino, diventato un ostacolo in più alla sua liberazione. E, quel che è peggio, ha visto la sorella minore, Nadia, cadere nella stessa trappola.
Oggi Zana è libera, è tornata a casa in Inghilterra. Ma ha dovuto lasciare nello Yemen il suo bambino. E anche la mite, malinconica Nadia, che ormai perso la speranza e forse la volontà di tornare.
Molte cose vi sconvolgeranno in questo libro: ma soprattutto sapere, pagina dopo pagina, che è una storia vera. Quante giovani donne ogni anno subiscono la stessa sorte di Zana e Nadia? Quante mogli sono state tenute prigioniere da mariti di nazionalità diversa dalla loro, quanti bambini strappati alle loro madri?
Molti più di quanto si sappia. E’ una tratta occulta, uno stillicidio di sparizioni che riguarda le famiglie più che i governi. Spesso, è l’amaro finale dei matrimoni misti.
Con questo libro Zana Muhsen, che aveva quindici anni quando fu rapita, ha voluto raccontare al mondo la sua storia. Per salvare sua sorella. Ma anche perchè tutto questo non accada più.

Tratto dalla sovracoperta del libro

Zara Muhsen nel 2000 scrive un altro libro Ti salverò! nel quale riferisce gli sforzi suoi e della madre per liberare Nadia, nel tentativo di far sapere al mondo la triste situazione dei bambini venduti, resi schiavi e sottoposti a continue violenze, ancora oggi, nel terzo millennio.


Nadia, sua figlia Tina e Zana nel dicembre 1987
all’epoca il cui i due giornalisti dell’«Observer» riuscirono a rintracciarle.

«Quando nel 1984 ho lasciato gli Stati Uniti insieme alla mia figlioletta di quattro anni per accompagnare mio marito a Teheran, provai una certa apprensione, nonostante non avessi ancora mai sentito parlare di donne trattenute come prigioniere da mariti di nazionalità diversa dalla loro, o di bambini strappati alle loro madri. Non sapevo neanche che in seguito al matrimonio sia io che mia figlia eravamo diventate automaticamente cittadine iraniane e che perciò non avremmo potuto lasciare l’Iran senza il permesso di mio marito.
Diciotto mesi più tardi, quando è finito il nostro incubo, era opinione comune in America che la nostra vicenda fosse un caso isolato. Ma dopo aver scritto la mia storia e in seguito ai viaggi che ho fatto per la promozione del mio libro, ho potuto rendermi conto che sia negli Stati Uniti sia in Europa si erano verificati numerosi drammi simili al mio. Però la maggior parte delle donne che avevano vissuto esperienze simili alla mia non avevano il coraggio di farne parola, perché si sentivano in colpa e pensavano che il loro caso fosse unico. Mi sono proposta quindi di lottare contro questo pregiudizio.
Oggi nel mondo occidentale vi sono numerose coppie miste e molti bambini ottengono la doppia nazionalità. Tuttavia alcuni islamici, come mio marito o il padre di Zana Muhsen, rimangono intimamente in conflitto con la cultura del loro paese di adozione. Taluni di loro non sono in grado di sopportare l’idea che i loro figli e soprattutto le loro figlie vengano educate nel cuore di una società non islamica e pertanto a loro avviso impura. Fanno quello che ritengono essere il loro dovere: rapiscono i loro figli e li trattengono come ostaggi all’interno del loro paese di origine.

A partire dal 1988, da quando cioè sono venuta a conoscenza delle vicende di Zana e di sua sorella Nadia, non ho smesso di pensare a loro: la nostra lotta per riacquistare la libertà è stata identica. Ho provato una grandissima gioia quando ho saputo che Zana era riuscita a lasciare lo Yemen e a scrivere un libro. Ho sentito un vivissimo desiderio di leggerlo senza dover attenderne la pubblicazione e sono riuscita a farmelo inviare in bozza dall’editore inglese. La sua storia mi ha sconvolta.
Il desiderio perfettamente naturale di conoscere la terra che aveva dato i natali al loro padre, ha proiettato queste due giovani al centro di una vera e propria tragedia.

Zana e Nadia, due ragazze inglesi nate e cresciute a Birmingham, perfettamente integrate nel loro ambiente, con una vita identica a quella delle loro coetanee, sono state vendute dal loro padre, sposate contro la loro volontà e trattenute a forza nello Yemen.

Per sopravvivere sono state costrette a integrarsi in una società arretrata e a diventare una sorta di schiave all’interno della nuova cultura loro imposta.
Impossibilitate a comunicare con la famiglia di origine, incapaci di entrare in rapporto col nuovo ambiente, dal momento che non conoscevano una parola di arabo, sono state costrette a vivere in villaggi diversi. E oltremodo difficile resistere alla solitudine, anche per gli spiriti più coraggiosi, e non farsi prendere dallo scoramento quando si è totalmente privi di aiuto… tuttavia Zana non ha mai rinunciato a lottare.
Quando ero prigioniera in Iran, mi sono stupita io stessa di quanta forza e determinazione fossi capace di dimostrare, ma io ero una donna adulta. Zana era ancora quasi una bambina, come ha fatto a trovare tanto coraggio?
Zana e Nadia sono rimaste prigioniere nello Yemen per ben sette anni prima che la loro vicenda fosse resa pubblica da noi.

Quando i mass media sono riusciti a informare la gente del mondo occidentale, il governo yemenita è stato costretto a intervenire per salvare la faccia.

Zana ha così potuto approfittare di quest’occasione per fuggire, ma è stata obbligata ad abbandonare il suo figlioletto di due anni; quindi le è stato possibile rientrare in Inghilterra dove ha proseguito la lotta per salvare sua sorella.

Col fatto stesso di avere raccontato la sua storia, Zana è diventata testimone di una realtà che è ancora totalmente sottovalutata. Perciò ha parlato anche a nome di tutte le donne del terzo mondo che non hanno mai avuto la possibilità di denunciare le loro sofferenze, perché totalmente represse e asservite. Ogni volta che si leva una voce contro l’oppressione, si accorda con quelle che l’hanno preceduta e apre la strada a quelle che seguiranno.

dalla Prefazione del libro
a cura di Betty Mahmoody
autrice di “Mai senza mia figlia”.

Mai senza mia figlia
di Betty Mahmoody, William Hoffer
Traduttore: Elena Malossini
Genere: narrativa, autobiografico
Editore: Sperling & Kupfer, 1991

 

Michigan, 1984. Betty, madre americana, viene condotta in Iran dal marito Sayed insieme alla loro figlioletta con l’intenzione di incontrare i suoceri. La donna si trova immediatamente coinvolta all’interno di una cultura sconosciuta per lei difficilmente comprensibile e, quando giunge il momento di ripartire per gli Stati Uniti, apprende dalla voce del consorte una notizia sconcertante: Sayed ha progettato di restare in Iran con lei e la figlia, impedendo il loro ritorno…

Betty Mahmoody nel 1992 pubblica un secondo libro Per amore di un figlio in cui riprende la narrazione del suo primo libro delle sue vicende, descrivendo la sua difficoltà al riadattarsi in America, l’incubo di una vendetta dell’ex-coniuge, la paura di un rapimento della piccola… Ma non solo, con grande sensibilità denuncia altri casi analoghi al suo, ponendosi generosamente al servizio dei tanti, troppi, bambini ‘rubati’.
Oggi viaggia in tutto il mondo, per far conoscere la sua esperienza e promuovere l’associazione ‘One World: For Children’ da lei fondata e che si occupa del problema dei rapimenti di minori da parte di genitori di nazionalità diversa.

Dal libro Mai senza mia figlia! (Not Without My Daughter) è stato tratto un film per la regia di Brian Gilbert (USA, 1991) con Sally Field, Alfred Molina, Sheila Rosenthal.
Il film racconta la vita di Betty Mahmoody e mette in scena la lotta di una donna risoluta a combattere per la propria libertà e per quella dei suoi cari.
Un film di forte impatto drammaturgico. Nel 2002 il documentario finlandese Without My Daughter, realizzato da Kari Tervo e Alexis Kouros racconta la stessa vicenda, vista però dal punto di vista del marito.

Commento:  letto entrambi i libri e visto il film, è davvero scioccante e pare incredibile che possano accadere cose del genere. Credo che nessun tipo di religione possa permettere che un essere umano venga trattato come merce e subisca tali violenze.
Ho conosciuto personalmente persone di religione islamica molto credenti, ma che prendono dichiaratamente le distanze da questi comportamenti fondamentalisti.

fondamentalisti di ogni religione, di ogni cultura, sono superbamente convinti di avere l’assoluta verità, di avere il potere di estirpare il male… quello degli altri. S’illudono di essere i soli ad esserne immuni, quando invece ne sono i promotori, seminando diffidenza e odio verso chi è diverso da loro. Pare che nemmeno se ne rendano conto.
Illudersi di possedere l’unica verità inevitabilmente porta a scontrarsi con altre verità, perchè ognuno fa riferimento all’ambiente in cui è cresciuto e si è formato. Se invece con un po’ di buon senso ci si sforzasse di mettere insieme queste verità e si cercasse un punto di unione, in un equilibrio tra il bene e il male nel rispetto della libertà di ognuno, si scoprirebbe che la verità sta nel mezzo.

«La mia libertà finisce dove comincia la vostra»
Martin Luther King

Solo così si può raggiungere la pace, il quieto vivere.

Leda

 

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