“Raccontare la storia dell’orso”
È un modo di dire, riferito a un trucco che si usa per stordire l’ascoltatore ed impossibilitarlo a pensare e a capire.
Si rifà ad alcune metafore delle fiabe dei fratelli Grimm (ne “Il sarto astuto”, il piccolo sarto inganna l’orso con cui è costretto a passare una notte) e a una particolare prova di retorica molto in auge nella Wuerstelland medievale. La leggenda racconta che all’Università di Mainz, per ottenere il titolo di magister di retorica, il candidato doveva prodursi nell’ultima e più difficile prova: convincere con argomenti sufficientemente plausibili un orso della Foresta Nera a ballare il tip-tap. Non erano molti coloro che riuscivano a diventare magister di retorica, presso l’Università di Mainz…
Si tende ad affidarsi a chi sa convincere meglio, a chi sa usare i tasti giusti, ma non è detto sia sempre in buona fede, soprattutto con la tendenza odierna a farsi beffe dei principi etici.
Il rischio di trovarsi in balia di persone senza scrupoli è molto alto in una società in cui vige la legge del più furbo. Proliferano i falsi guru, che si sono appropriati di un termine che non gli appartiene (il guru è un maestro di vita della religione induista, colui che trasmette la vera conoscenza attraverso la sua saggezza). Usano una dialettica accattivante compiono un vero e proprio lavaggio del cervello.
Ah! Personalmente conosco bene quegli occhi lucidi, deliranti di chi è convinto di avere avuto un’illuminazione! A nulla è valso il consiglio di darsi del tempo per riflettere, si sono buttati a capofitto fidandosi ciecamente di persone che non lo meritavano (truffatori), e hanno sbattuto il muso.
Persone che usano i principi della Psicologia di Vendita, una branca che ho sempre trovato eticamente discutibile perchè spesso si fonda sull’inganno. Come ingannevoli al supermercato sono le luci che accentuano il colore della carne per renderla più appetibile, i finti aromi che imitano la fragranza del pane vicino al banco della gastronomia, l’illusione che il piatto riesca come nell’immagine posta nella confezione, che però “ha il solo scopo di rappresentare il prodotto” scritto microscopicamente accanto. Poi c’è chi camuffa l’ingrediente ritenuto sgradito al pubblico con un sinonimo (i conservanti con aromi, l’ammoniaca con tioglicolati d’ammonio…), si definisce il prodotto italiano ma la materia prima o la produzione stessa è di un altro paese con regole diverse, si spaccia per biologico ciò che non lo è (vedi sofisticazioni alimentari).
A volte veramente viene da chiedersi se chi produce e chi pensa al marketing in questo modo, ci consideri proprio degli stupidi. E tutto per i soldi.
Senza contare che la concorrenza scorretta va a danno di chi invece si è comportato onestamente, sforzandosi di mantenere la qualità accontentandosi di guadagnare meno. Ma che senso ha tutto questo complicare maledettamente le cose che alimenta la sfiducia e ammala la nostra mente?
Come un inganno è la sontuosità degli uffici dove Dino Ossola (Il capitale umano) firma il contratto, un lusso che mette soggezione… la segretaria francese… l’acqua di cui scegliere la marca… ma dai…
«Sai cosa mi fanno pensare tutte queste attenzioni? Che il lusso è una forma di inganno. Guardati intorno! Non hai la stessa impressione? Non c’è niente di autentico qui dentro, tutto questo sfoggio di opulenza è solo un palcoscenico.»
dal film “Viaggio sola” di Maria Sole Tognazzi
Un palcoscenico sì, ed è una farsa quella messa in piedi dal collaboratore più giovane, sembra che tutti sappiano tutto, anche il sottaciuto… che può sempre tornare utile.
La scena con cui si dà inizio al film Il capitale umano introduce due punti dolenti.
- Il mancato soccorso in caso di incidente: pone la vita umana in una posizione secondaria rispetto alle responsabilità, a cui per forza di cose si deve andare incontro in questi casi. Una percezione distorta, amplificata a tal punto da generare il panico, sentendosi impotenti di fronte a qualcosa che non si è potuto controllare e da cui non si può più tornare indietro, fare rewind.
Si tende a non mettere più in conto la fatalità, il destino che ci mette lo zampino e ci carichiamo addosso tutto il peso della colpa che diventa insopportabile. Ma non tutto è sotto il nostro controllo, è indispensabile educare alla giusta misura del senso di responsabilità, un dovere civico ma soprattutto umano. - L’idea che la bicicletta non sia un veicolo a tutti gli effetti, un punto dolente che riguarda la mentalità italiana, manca un educazione di base e si creano così situazioni di grande pericolo.
Ricordo ancora quando con poche ma decise parole l’istruttore dell’autoscuola dove feci la patente mi disse: quando s’incontra un ciclista sulla strada o gli si sta dietro o lo si supera, MAI stargli accanto. Ciò induce ad avere prudenza. D’altro canto mi è capitato di vedere ciclisti non fermarsi all’alt intimato dal vigile al passaggio pedonale (come molti con l’automobile) a confermare che manca un’educazione di base che deve cominciare fin da piccoli, incentivando i progetti di educazione stradale, che già dalla scuola primaria, in molte realtà scolastiche italiane sono stati inclusi nel POF (Piano dell’Offerta Formativa).
Piuttosto che punire, tassare o fiscalizzare, è sempre meglio educare. Per molti la bicicletta rappresenta l’unico mezzo a disposizione, soprattutto dove mancano i mezzi pubblici, per altri è una scelta personale di un mezzo più “scomodo” ma meno costoso e inquinante dell’automobile.
Leda
Per approfondire:
CARMELO BENE
Carmelo Bene (1937-2002) è stato un attore, drammaturgo, regista, scrittore e poeta italiano che si avvicinò al cinema come un pittore nauseato (è una sua definizione) e manipolò fino in fondo il mezzo cinematografico per fare del film un’opera pittorica. Attraverso l’uso di fondi di bottiglia, specchi e lenti l’immagine veniva deformata. La sua opera è strettamente individuale, difficilmente separabile dalla sua vita pubblica, tanto che ha sempre sostenuto che l’artista non deve comporre opere d’arte, deve esserlo. Di qui la sua tendenza a ridurre tulle le parti del lavoro a se stesso.
Si definiva un attore che non mette in scena la rappresentazione di un’azione, ma l’azione stessa. Un attore che vive sulla scena come nella vita reale.
Questa “parodia della vita interiore” in Nostra Signora dei Turchi, è condotta attraverso un continuo sdoppiarsi che provoca profonde ferite nell’Io, tutto il rituale può essere considerato come autodistruzione dell’Io. Il corpo viene rappresentato per la maggior parte del tempo avvolto da bende, che coprono ferite non rimarginabili. Le identità si confondono, il turco viene ucciso con il passaporto in mano, che certifica sia la sua identità, che quella del suo uccisore, il gangster, che poi infatti lo raccoglie e se lo mette in tasca come se avesse riconquistato la propria identità.
Lo sdoppiarsi di Carmelo Bene in una moltitudine di personaggi non è semplicemente un vezzo da istrione. Infatti invece di parlare di personaggi bisognerebbe parlare di una proliferazione di identità, di una frammentazione dell’Io in tanti e virtuali possibili. Qui entra in gioco il carattere autobiografico di questa “parodia della vita interiore”.
Carmelo Bene ha sempre dichiarato il suo non esserci, il suo essere altrove.
Per Carmelo Bene l’inizio e la fine non hanno alcuna importanza. Ciò che conta sta nel mezzo, considerato come apice ed eccesso. L’inizio e la fine circoscrivono un tempo storico, determinato. La velocità, il movimento, il divenire stanno nel mezzo. Le rivoluzioni si pongono sempre in un punto preciso tra il passato e l’avvenire.
Nostra Signora dei Turchi non segue un comune schema narrativo. Non possiede una trama attraverso cui si racconta qualcosa. Tutto il film sembra una concatenazione di scene indipendenti tra loro, un amalgama senza principio di causalità, senza che si possa rintracciare un percorso temporale ben determinato.
Fu un film girato tutto d’un fiato, con una frenesia creativa incredibile. Pochissime persone sul set (Carmelo Bene era autore, attore, regista, scenografo e costumista); si immersero completamente nel lavoro quasi senza mangiare e dormire. Ecco come il direttore della fotografia Mario Masini descrive quei giorni: “Abbiamo condotto il film […] vivendolo giorno per giorno fisicamente in modo esasperato, perché non dormivamo mai, lavoravamo dal mattino alla sera e dalla sera al mattino per girare le albe, i tramonti, il Sole splendente, i notturni. Poi magari dopo tre o quattro giorni e notti del tutto insonni, crollavamo a dormire per quarantott’ore”.
Tutto questo non ha mai avuto un «senso» professionale, è stato improntato solo a una grande passione. (Mario Masini)
di Matteo Porretta
Estratto da: Analisi del film “Nostra Signora dei Turchi” di Carmelo Bene.
«La gente come noi non si coniuga, si declina»
Carmelo Bene
PAPA GREGORIO XIV
Papa Gregorio XIV (1535 – 1591) nato Niccolò Sfondrati a Somma Lombardo (Varese), feudo della sua famiglia che possedeva un castello ancora oggi presente, studiò legge a Perugia e Padova e si laureò a Pavia; quindi decise di intraprendere la vita ecclesiastica.
Fu nominato da Filippo II membro del Senato milanese, ove fece conoscenza dell’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Borromeo, la cui figura morale ebbe grande influenza su di lui.
A soli venticinque anni, Niccolò Sfondrati fu nominato vescovo di Cremona e prese parte al Concilio di Trento, dove fu tenace assertore circa l’obbligo dei vescovi di risiedere nella propria diocesi.
Era un uomo più spirituale che pragmatico, di salute cagionevole fin dalla giovane età, si comportò sempre con grande umiltà e durante la sua permanenza presso la curia romana come cardinale, divenne molto amico di Filippo Neri e sostenne la sua idea di oratorio.
Il 5 dicembre 1590 fu nominato Papa, e in omaggio alla memoria di Gregorio XIII che lo creò cardinale, assunse il nome di Gregorio XIV. Durante il suo pontificato dovette lottare contro i flagelli della peste e della carestia, ostacolò la castrazione che veniva praticata per ottenere voci bianche (poichè una bolla pontificia vietava l’inserimento delle donne nei cori, ai fanciulli di circa otto – dieci anni venivano asportati i testicoli per impedire la muta vocale). Cercò di lottare contro il banditismo che imperversava intorno Roma e decretò il divieto di qualsiasi pubblica scommessa che avesse per oggetto l’esito di un’elezione pontificia, la durata di un pontificato o la creazione di cardinali.
Gli fu infine consigliato di non proibire la Bibbia in volgare, ma di farla correggere, così un gruppo di studiosi eliminarono i numerosi errori della traduzione biblica precedente.
SAN CARLO BORROMEO
San Carlo Borromeo è considerato tra i massimi riformatori della chiesa cattolica nel XVI secolo assieme a santo Ignazio di Loyola e a san Filippo Neri; nonché anima e guida della Controriforma cattolica il cui obiettivo era portare un rinnovamento spirituale, teologico, liturgico e di riorganizzazione affinchè la Chiesa riformasse le proprie istituzioni a seguito del Concilio di Trento.
A San Carlo Borromeo è dedicato il Sancarlone, una statua gigantesca posta ad Arona, luogo della sua nascita. È uno straordinario monumento visibile dal lago Maggiore, la statua è alta 23 metri ed è in lamina di rame fissata con rivetti, su un’anima in muratura (al cui interno è possibile accedere). Un monumento unico nel suo genere che ha ispirato la tecnica di costruzione della Statua della Libertà.
Vittorio Cottafavi – Centro di documentazione di Correggio
È un ricco e prezioso centro che raccoglie il materiale donato da Vittorio Cottafavi e, successivamente, dal figlio Francesco, contiene migliaia di “pezzi” fra scritti autografi, articoli, recensioni, libri, suoi film e lavori televisivi – in pellicola, vhs o DVD – locandine originali e fotografie.
Vittorio Cottafavi (1914-1998), diplomatosi al Centro sperimentale di cinematografia, Cottafavi compie il suo tirocinio come sceneggiatore e aiuto regista al fianco di Goffredo Alessandrini e Aldo Vergano. L’esordio alla regia avviene nel 1943 con I nostri sogni tratto da una commedia di Ugo Betti.
Nel 1949 viene ferocemente attaccato per aver portato sullo schermo la vita del carabiniere Salvo D’Acquisto fucilato dai nazisti dopo aver salvato la vita a degli ostaggi innocenti.
La critica del tempo non apprezzò che nel film dal titolo La fiamma che non si spegne, si rappresentasse un carabiniere come un eroe della resistenza.
Negli anni 50, Cottafavi, pur muovendosi tra gli schemi di generi ben consolidati, riesce a imporre il suo stile con film originali e ben realizzati.
Giancarlo Livraghi
Giancarlo Livraghi (1927–2014) è stato un pubblicitario, bibliografo e scrittore italiano, laureato in filosofia all’Università degli Studi di Milano.
Il suo mestiere è scrivere – ma ha dimostrato anche di saper produrre notevoli risultati (in Italia come su scala internazionale) nella gestione e nella comunicazione d’impresa.
All’inizio della sua carriera entrò come copywriter in pubblicità, divenne quello che oggi si chiama “direttore creativo”; poi ebbe più ampie responsabilità. Ha sempre seguito con attenzione gli aspetti culturali della comunicazione umana, oltre a occuparsene in concreto nel suo lavoro.
Nel 1966 gli fu affidata la gestione della McCann-Erickson italiana, che cinque anni più tardi divenne la più grande agenzia di pubblicità in Italia. Dal 1971 presidente del comitato new business europeo e responsabile dell’area Europa sud. Nel 1975 fu trasferito a New York come executive vice-president della McCann-Erickson International.
Ritornò in Italia nel 1980 come socio di maggioranza della Livraghi, Ogilvy & Mather, allora una piccola agenzia che negli anni successivi aumentò di trenta volte il suo giro d’affari.
Lasciò il mondo delle agenzie nel 1993 – quando aveva già cominciato a dedicare impegno e attenzione agli aspetti umani e culturali della comunicazione in rete. Nel 1994 è stato un fondatore, e il primo presidente, di ALCEI, l’associazione per la libertà della comunicazione elettronica interattiva.
Ha lavorato, con notevoli e concreti risultati, al servizio di molte imprese grandi e piccole, italiane e internazionali.
Ha al suo attivo centinaia di pubblicazioni (tra articoli, studi e saggi) sulla comunicazione, sul marketing, sulla cultura dell’internet e sulle attività d’impresa online.
Biografia ironica
pubblicata nel 2004
La svanzica era una moneta in argento da venti kreutzer, diffusa nell’Impero austriaco, ed in Italia dopo la creazione del Regno Lombardo-Veneto e durante il regno di Ferdinando I. Termine ancora usato in tono scherzoso.
“Abbiamo alzato la posta, ci siamo giocati tutto,
anche il futuro dei nostri figli.
E adesso finalmente ci godiamo quello che ci spetta”
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