Diario del viaggio in Grecia – Le Isole Cicladi (Parte terza)

Lasciata Atene riprendiamo il viaggio e ci dirigiamo verso sud, lungo la costa. Degli amici ci hanno raccomandato di non perdere uno dei più bei punti panoramici della Grecia con una vista mozzafiato sul tramonto ateniese: Capo Sounion.

Abbiamo deciso di fermarci un paio di giorni al “Camping Bacchus” per riprenderci dall’intenso soggiorno ateniese. È un camping molto accogliente e strutturato e fa parte di una grande catena, ma è tutto un altro mondo dal Peloponneso che rimpiangiamo un po’… qui è impensabile dormire sotto le stelle! Ma ci sono pro e contro, abbiamo una piazzola tutta nostra e cosa importante: finalmente possiamo fare una doccia calda!

Capo Sounion

Su questo promontorio roccioso nel 444 a.C. Pericle, uomo politico protagonista dell’età d’oro di Atene, fece costruire un imponente tempio in stile dorico dedicato al dio del mare Poseidone. I marinai uscendo dal golfo sulle loro navi volgendo il capo al tempio, invocavano il dio affinchè desse loro protezione nell’affrontare le insidie del mare.
Del tempio oggi rimangono solo 18 delle 42 colonne originarie. Nelle vicinanze ci sono anche i resti di un secondo tempio dedicato ad Atena, di cui però si sono conservate solo le fondamenta.

Si dice che salendo al crepuscolo sul promontorio per contemplare lo spettacolo del sole che tramonta, si senta ancora oggi la voce di Ulisse portata dal vento.

Al camping facciamo amicizia con un gruppo di ragazze e ragazzi italiani. Mentre consultiamo gli orari dei pullman per andare al Tempio si offrono di darci un passaggio con la loro auto, visto che anche loro vanno a vedere il tramonto sul mare. Fantastico!


Percorrendo il bel litorale sulla punta meridionale dell’Attica, si arriva al magnifico tempio che si erge imponente sul promontorio di Capo Sounion. L’incantevole scenario naturale è esaltato dalle rovine del tempio del dio, a cui si affidano i naviganti aggirando il Capo. Il tempio s’innalza maestoso ad oltre sessanta metri sopra le onde increspate del mar Egeo.
Il “Capo Colonne”, così fu chiamato dai veneziani, è celebrato in molti romanzi famosi e da scrittori come Byron e Lamartine.
In questo promontorio nelle serate limpide e serene si possono ammirare tramonti indimenticabili. Moltissime sono le gite organizzate per assistere, al calar del sole, a questi romantici spettacoli della natura.

LA LEGGENDA

Si narra che Egeo, il re di Atene,
quando vide apparire all’orizzonte
la nave del figlio Teseo

con innalzata una vela nera,
credendolo morto nella
lotta contro il Minotauro,

affranto si gettò dalla scogliera,
dando così il proprio nome
all’omonimo mare.

IL FILO DI ARIANNA


Museo archeologico nazionale di Napoli

Il mito racconta che Teseo si recò nell’isola di Creta per sconfiggere il Minotauro, una creatura metà uomo e metà toro che il re Minosse, figlio di Zeus e di Europa, aveva rinchiuso nel labirinto di Cnosso. Teseo intendeva liberare i sette fanciulli e le sette fanciulle ateniesi mandati in sacrificio all’essere mostruoso, dopo che Minosse aveva sconfitto Atene per vendicare la morte del figlio Androgeo.

Il labirinto era stato costruito da Dedalo in modo tale che una volta entrati era facile perdersi e difficile ritrovare la via di uscita. Arianna, la giovane figlia del re Minosse, decise di aiutare Teseo dandogli una matassa di filo per segnare la via e quindi poter uscire dal labirinto.

È questo il mito de “Il filo di Arianna” che fu cantato da molti poeti in età ellenistica. Ai giorni nostri “trovare il filo di Arianna” è un modo di dire che significa trovare un sistema geniale, uno stratagemma per uscire da una situazione complicata. Un po’ come “Perdere il bandolo della matassa” cioè perdere il filo, il senso delle cose o “Trovare il bandolo della matassa” venirne a capo, trovare la via.

Una volta sconfitto il Minotauro, Arianna fuggì con Teseo sulla nave diretta ad Atene, ma una volta giunti sull’isola di Nasso fu abbandonata a se stessa, ancora immersa nel sonno.
Giunto nei pressi di Capo Sounion, Teseo dimenticò la promessa fatta al padre di issare una vela bianca se tutto fosse andato bene, così Egeo credendolo morto si gettò dal dirupo.

Arianna risvegliatasi si disperò per essere stata abbandonata, a portarle conforto fu un girovago Dioniso che le offrì in dono una corona nuziale d’oro.
È la corona splendente che gli antichi greci riconoscevano in una piccola costellazione del cielo settentrionale: la Corona Boreale.


Costellazioni del Boote e della Corona Boreale (invertite) illustrate da Johann Hevelius

La Corona Boreale è una delle 48 costellazioni descritte da Tolomeo, si caratterizza per le sette stelle disposte a semicerchio la cui forma ricorda appunto quella di una corona.

Tipica del cielo di primavera ed estate, la Corona Boreale diventa visibile da fine febbraio ad ottobre. La stella principale della costellazione, la più luminosa è Gemma, detta anche Alphecca (α Coronae Borealis).

Quando raggiungiamo il promontorio troviamo un considerevole numero di persone. Attendiamo tutti insieme che il sole pian piano scenda all’orizzonte e intanto si fa amicizia, si respira un clima famigliare e sereno: siamo lì, insieme, ad attendere qualcosa che ci accomuna. Il sole con lento incedere accende il limpido cielo di un arancio che pian piano si dissolve lasciando spazio alla sera.
È uno spettacolo che ti lascia senza parole.

È l’imbrunire e lentamente ritorniamo sui nostri passi, ripercorriamo il vialetto e arriviamo al parcheggio. 

I ragazzi a questo punto cominciano a fare i ganzi con noi due, è chiaro che vogliono far ingelosire le ragazze, ma poichè siamo per il quieto vivere senza indugi ce ne torniamo in pullman.

Due giorni dopo dal porto di Rafina (Stavros) ci imbarchiamo e iniziamo il giro delle Isole Cicladi. È nostra intenzione, visto che ormai sono gli ultimi giorni, di goderci il sole e il mare greco che è di un blu indescrivibile…
Ma cominciamo già a subodorare qualche complicazione…

Tanto per cominciare ci avvertono che nei prossimi giorni il mare sarà instabile, per cui potrà accadere che i traghetti che sono di piccole dimensioni, non possano salpare dai porti. Allora rivediamo il programma di viaggio e cerchiamo di concentrarci sulle isole più significative.

Da qui in poi è tutta un’avventura

Le Isole Cicladi

È un arcipelago che si trova nel Mar Egeo ed è formato da 220 isole di cui una ventina sono importanti, mentre la maggior parte di quelle minori sono disabitate. Il nome significa “isole raggruppate in cerchio” e deriva dalla disposizione dell’arcipelago intorno all’isola di Delos, luogo sacro fra i più importanti dell’antica Grecia e noto sito archeologico che dal 1990 è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

La prima tappa è deciso sarà: Andros

Arrivate dopo cena troviamo posto al “Camping Andros”. Altro che conduzione famigliare… qui regna la totale anarchia! Ahahha… il camping è autogestito da giovani ragazzi come noi. Si vive alla giornata, ci dicono, e infatti non troviamo nulla da mangiare! Le provviste arriveranno l’indomani, ci informa un ragazzo greco di origini italiane che si offre di prepararci al salto due omelette (sono rimaste solo le uova) e quattro pomodori in insalata. Affamate come siamo va bene tutto, meglio di niente! Poi resta a chiacchierare un po’ con noi.

L’indomani partiamo per Mykonos che è l’isola più conosciuta, anche per l’aspetto un tantino underground del “Camping Paradise Beach” che si trova nella parte opposta dell’isola.

Mentre aspettiamo il pullman che porta al camping, approfittiamo per visitare il paese fatto di casette e vicoli bianchi con i mulini a vento. È decisamente carino, tentiamo qualche approccio con le vecchine sedute fuori dall’uscio che ci sorridono cordiali, ed entriamo nei negozietti tipici a prendere qualche souvenir… delle piccole miniature delle case dell’isola.

Arrivato il pullman prendiamo posto e percorrendo una strada polverosa ben presto arriviamo al “Camping Paradise Beach”. Il primo impatto è buono, è tutto tranquillo, c’e qualche gruppetto di giovani che chiacchierano, chi strimpella la chitarra, chi va e torna dalla spiaggia.
Il camping dà l’impressione di essere enorme: una vasta distesa d’erba intercalata da qualche albero suddivisa in settori, ognuna con molte piazzole ben delimitate e in ordine. Ogni tot settori ci sono i servizi con le docce… naturalmente gelate 🙂
Montiamo velocemente la tenda e poi andiamo a fare un giro al mare. In spiaggia c’è un mondo variegato: nudisti e non, gay, chi fuma marijuana, chi smaltisce i fumi dell’alcol, chi canta in gruppo, chi prende semplicemente il sole…

La sera mentre ci prepariamo si alza il vento, si sente come un continuo ululato, andiamo al punto ristoro a mangiare, è uno spettacolo. Una miriade di persone che vengono da ogni parte del mondo sono lì sotto una tettoia: suonano musica rock e il servizio è self service. C’è chi mangia, chi beve, chi canta, le tavolate sono tutte occupate, ma come arriviamo con il vassoio qualcuno si sposta e ci fa posto sulla panca.
Qui conosci tutti e nessuno, sta a te socializzare e la cosa risulta dannatamente facile data l’atmosfera. Verso il tardi comincia a girare parecchio alcol, “erba” e non solo, e il tono della serata degenera, per cui siccome abbiamo visto troppi amici ed ex compagni di scuola morire e finire sottoterra a causa della droga, ce ne torniamo alla tenda.

Per tutta la notte e il giorno dopo persiste questo vento che urla nelle orecchie, pure in spiaggia non dà un attimo di tregua. Siamo un po’ combattute, ma alla fine decidiamo di andarcene anticipatamente dopo pranzo.
E rieccoci con gli imprevisti causa mare… quando arriviamo al porto di Mikonos ci sono un sacco di giovani in attesa, per terra lungo un muretto c’è una fila interminabile di zaini. Ci guardiamo intorno perplesse e capiamo che c’è qualche problema. In quel momento passa un ragazzo greco che sentendoci parlare in italiano (veneto per la precisione ahah) ci saluta e ci informa che i traghetti sono bloccati per il mare grosso, che arriveranno appena riescono a salpare.
È un gran bel ragazzo, ha i lineamenti molto marcati tipici dei greci, con un  sorriso che conquista. Rimane un po’ lì con noi a parlare e la cosa non ci dispiace! Certo che, o siamo fortunate e i greci che parlano italiano li becchiamo tutti noi, oppure sono in tanti a conoscere la nostra lingua. Finalmente arrivano i traghetti, ci avviciniamo… siamo davvero in tanti!

La prossima tappa è Ios.

L’isola è famosa per le sue bellissime spiagge di sabbia dorata finissima. Pernottiamo al “Camping Naxos” dove conosciamo altri ragazzi italiani che ci aiutano a sistemarci con la tenda, tra di noi c’è un certo cameratismo fuori dall’Italia!
Poi andiamo a farci una bella doccia. Ridacchiano mentre ci accompagnano allo spiazzo dove stanno i servizi, e le docce non sono altro che degli sgabuzzini senza tetto, a cielo aperto. Si mettono lì con nonchalance appoggiati a un muretto a parlare.
Noi due entriamo nella rispettiva doccia e sotto al getto glaciale ci scappa il classico urlo… al che scoppia una fragorosa risata! Sono rimasti lì proprio per farsi una grassa risata alla faccia nostra 🙂 ma l’acqua è davvero gelida e oltretutto spira un venticello che entra dall’alto e accentua di più l’effetto! Quando usciamo se la ridono ancora e ci informano che da un loro attento studio siamo solo noi italiani a urlare sotto la doccia… tedeschi, inglesi, svedesi, ecc. si fanno la doccia come se nulla fosse.

Trascorriamo una bella serata e ce ne andiamo a nanna. Il giorno dopo lasciamo la bella compagnia per rimetterci in viaggio, con un colpo di fortuna saliamo sul traghetto per raggiungere l’isola di Santorini.

Il mare è molto mosso, barcollando entriamo nella sala riparata da una tettoia e prendiamo posto su una panchina. Ci guardiamo intorno ed è un ‘deghejo’!
C’è gente che soffre il mal di mare, chi colto da conati si dirige svelto verso i bidoni di latta sparsi qua e là, altri tra cui anche un cane, si sporgono dal parapetto a vomitare in mare.
Io in genere non soffro di chinetosi, ma porto sempre con me nel marsupio un pacchetto di biscotti secchi o di crackers. Li comincio a mangiare subito, mentre guardo preoccupata la mia amica. Ha preso pure la pastiglietta per tempo, ma sembra non farle alcun effetto, poi l’odore non aiuta proprio. Appare molto pallida e stralunata, mi guarda, strabuzza gli occhi e mi chiede: «Ma come fai a mangiare??» e via!.. come Speedy Gonzales fila dritta al primo bidone libero. È strano ma vero, ma per me mangiare roba secca è il miglior modo per tenere a bada la nausea. Ricordo che da bambini  prima di salire sul pullman che ci portava in colonia, mia madre per ogni evenienza ci dava del panbiscotto, un mezzo limone da succhiare e un bel sacchetto di carta resistente 😀
Per fortuna il viaggio dura poco, Santorini è vicina.

L’isola vulcanica di Santorini (Thera in greco antico), il cui nome le fu dato dai Veneziani in onore di Santa Irene (Sant’Erini) di Tessalonica, comprende un piccolo gruppo di isole: Therasia, Paleà Kameni, Nea Kameni e Aspronisi.
Si sono tutte staccate dal corpo originario di forma quasi completamente rotonda, per effetto di una serie di eruzioni vulcaniche quasi sempre accompagnate da potenti terremoti che portarono l’isola ad assumere la sagoma lunare che vediamo oggi.
Si ritiene che uno tsunami colpì Santorini e produsse effetti catastrofici su tutto il Mediterraneo orientale fino alle coste della Palestina.

Le vicissitudini di Santorini hanno stimolato, parecchi secoli dopo, la fantasia dei classici come  Platone che ricerca tra i fondali della caldera la leggendaria Atlantide, civiltà distrutta in tempi che sfiorano la dimensione del mito. La caldera è la parte di Thera separata e rissucchiata dall’acqua, schiacciata a 400 m di profondità dalla superficie del mare.

Santorini è un’isola arida e impervia con un terreno fortemente irregolare dove i collegamenti sono stentatissimi. Una volta giunti al porto infatti l’approccio con l’isola appare fin da subito problematico per l’incredibile ripidità della roccia che regge i centri abitati sopra il porto. Basta uno sguardo ai pullman e camion pieni zeppi di gente e forniture, salire lungo questi diruppi mozzafiato per farsi un’idea di quel che è Santorini. Vi è tuttavia un’armonia meravigliosa tra il paesaggio urbano e la roccia lavica.

Quando arriviamo il porto è pieno di gente, ci informano che è un vero terno al lotto prendere i traghetti per tornare al Pireo, il porto vicino ad Atene. Non si sa quando arrivano e dato che non sono molto grandi si riempiono subito, e si rischia di rimanere a terra.
Siamo un po’ indecise… dobbiamo raggiungere in tempo il Pireo, il porto naturale di Atene fin dall’antica Grecia, per poi andare a Patrasso e poter prendere il traghetto per l’Italia. Certo non possiamo tornare a piedi! Così decidiamo che Santorini resterà sulla carta… peccato! 🙁 Ma risalire la costa rocciosa e ritornare al porto richiede troppo tempo per cui decidiamo a malincuore di rinunciare.

Ci consoliamo passando il resto della giornata in spiaggia e qui facciamo amicizia con alcuni toscani e un romagnolo che avendo visitato Santorini ci confermano che abbiamo preso una saggia decisione. L’acqua è cristallina e la spiaggia è davvero particolare, essendo un’isola vulcanica è fatta di minuscoli granellini neri, a infilarci la mano si ha una bella sensazione di caldo e freddo…

A notte fonda arrivano i traghetti, ci salutiamo con i ragazzi perchè loro fanno il percorso inverso.

Abbiamo davanti undici ore di viaggio e comincia pure a piovere a dirotto, nella sala interna non ci sono posti a sedere e abbiamo sonno. Troviamo riparo fuori su una panchina sotto a un telo giallo cerato, dove almeno ci possiamo stendere, e in men che non si dica cadiamo in un sonno profondo dal quale ci risveglia la sirena: siamo al Pireo!

Avendo anticipato il ritorno in terraferma decidiamo di sostare a Varkiza, vicino ad Atene, e da lì procedere per Patrasso. Al “Camping Varkiza Beach” conosciamo due ragazzi francesi, se la tirano un po’… ma sono simpatici. La sera ceniamo con loro in un …locale per turisti… dove fuori c’è un tipo determinato a tutti i costi a farci entrare! Secondo il nostro standard mangiamo decisamente male, ma almeno ci siamo fatte quattro risate.
Il giorno dopo ci salutiamo scambiandoci gli indirizzi: loro sono interessati a visitare Venezia e noi Parigi, quindi ci accordiamo per scambiarci l’ospitalità. Poi partiamo per Patrasso per far ritorno a casa, stanche ma appagate..

Si conclude qui il diario di viaggio che sono riuscita a ricostruire un po’ con gli appunti che prendevo durante gli spostamenti in pullman, un po’ con le diapositive e le foto scattate, e i ricordi che riemergevano mano a mano.
È stata una vacanza meravigliosa, ci ha arricchito molto sia dal punto di vista culturale perchè vedere con i propri occhi i luoghi della Storia anzichè in un libro, e sentirne l’odore è davvero tutta un’altra cosa; sia dal punto di vista personale nell’affrontare una nuova esperienza che ci ha portato a conoscere e ad adeguarci a luoghi e persone di altre culture.
A volte mi chiedo come ho trovato il coraggio di intraprendere questo viaggio, ma credo che l’entusiasmo e quel grado di incoscienza che si ha a vent’anni sono ingredienti fondamentali per metterti in gioco e farti crescere.
Poi a pensarci bene avevo già fatto il battesimo del fuoco, quando a 19 anni con altre due amiche in Fiat 600 abbiamo percorso la riviera ligure-francese fino a Saint Tropez…
Che avventura! ma quella è un’altra storia… 😀

Leda

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