Nini Rosso, i canti, la colonia e il mare. Caorle

È la canzone che arrivava alla fine del giorno quella de “Il silenzio” di Nini Rosso, l’aspettavo sempre. Arrivava dopo la favola, una ogni sera, quelle classiche. Non mi ricordavo, ma usavano proprio quei dischi in vinile a 78 giri, si capiva dal fruscio… delle Fiabe Sonore della Fabbri editori. Può essere questo il motivo per cui ora mi piace tanto ascoltare gli audiolibri.

E Nini Rosso con la sua melodia ci accompagnava nel mondo dei sogni.
Ero in colonia, fine anni Sessanta, al mare a Caorle. Vi trascorrevo 21 giorni all’anno, non ero mai sola perchè mia madre si assicurava sempre che ci fosse o uno dei miei fratelli, o una delle mie cugine, qualcuno che conoscevo insomma. Gli altri tre anni li trascorsi in montagna nella bellissima Asiago. Era la Pellizzari, la ditta metalmeccanica dove lavorava mio padre che ogni estate organizzava questi soggiorni per i figli degli operai. In quegli anni i grandi imprenditori si occupavano molto del benessere delle famiglie.

Il mare è da sempre il mio elemento e ho molti ricordi di quel tempo. Intanto al mattino un bel risveglio energico con “Al chiaror del mattin” che ci buttava letteralmente giù dal letto ma sempre in allegria, ci si aggiungeva pure al coro… 😆

In colonia si condivideva tutto, eravamo divisi in squadre per età, femmine con femmine, maschi con maschi, ma in alcune occasioni stavamo tutti insieme. Dopo esserci lavate e pettinate si scendeva a far colazione con latte e cioccolato… ne sento ancora l’odore e il sapore 🙂 …o tè al limone, e pane fresco e marmellata. Tutta la vita in colonia avveniva in grandi spazi per cui si evitava di far troppo chiasso. Lì nel refettorio per chiedere qualcosa si comunicava con i segni, si allungava il braccio e:

pollice alzato = ancora acqua
indice e medio = ancora pane
mano aperta = il bis

Le inservienti correvano tra i lunghi tavoli indaffaratissime. Il cibo era buono e ci insegnavano a non sprecarlo, le porzioni erano giuste semmai si chiedeva il bis… con la mano aperta.
Il gelato si mangiava solo la Domenica, a volte era un cremino a volte il fiordilatte.
L’unica cosa che non mi hanno mai convinto a mangiare era l’insalata… un giorno avevo visto le alghe sulla riva del mare e l’associazione fu immediata! Ero piccolina ma tenace e nessuno riuscì a farmi comprendere che quelle sul piatto non erano alghe! 😋

Poi si andava in spiaggia, c’erano delle specie di vele rettangolari piantate in vari punti, una per ogni squadra dove si poteva trovare un po’ d’ombra, ma nessuno la cercava tranne chi stava male o, tapino, aveva la gola infiammata. Sulla sabbia costruivamo castelli, c’era anche una gara verso la fine del soggiorno con tanto di premiazione a chi aveva l’idea più originale.

Mi ricordo che una volta vinse un gruppo che creò un motoscafo molto realistico e bellissimo!  Un giorno mio fratello costruì un gran bel castello con tanto di merli, fossato e ponte levatoio. Io collaborai alle finiture con le conchiglie che avevo raccolto sulla riva, a quel tempo se ne trovavano molte: ventagli, cornetti vari, cape dal colore vivace, e dove l’acqua arrivava al di sopra del ginocchio non era insolito incontrare qualche cavalluccio marino (Hippocampus), che ha sempre avuto un certo fascino per noi bambini. Quando ne trovavamo uno si faceva capannello intorno per osservarlo e ci dispiaceva lasciarlo quando con il fischietto le signorine ci avvertivano di uscire dall’acqua, e arrivavano i rimproveri…

HIPPOCAMPUS

Presso i popoli antichi l’Hippocampus era ritenuto un animale divino, non a caso nella mitologia greca la creazione del cavallo viene associata a Poseidone, dio del mare e dei terremoti e maremoti (Nettuno nella mitologia romana), che viene spesso raffigurato con un carro trainato da ippocampi. Il cavalluccio marino nell’arte è quindi rappresentato sia come appare nella realtà ma soprattutto come animale mitologico, commistione tra creatura terrestre e marina.

L’Hippocampus è un genere di pesci della famiglia Syngnathidae che comprende oltre 50 specie d’acqua salata conosciuti comunemente come cavallucci marini o ippocampi, per via della testa che ricorda quella di un piccolo cavallo.

I cavallucci marini si trovano in tutte le acque del mondo tranne quelle glaciali, prevalentemente in prossimità delle coste dove trovano rifugio, e sostegni dove potersi ancorare durante i movimenti con la lunga coda prensile.
La riproduzione per l’Hippocampus è un evento piuttosto insolito in natura, poichè la gravidanza è maschile. La femmina infatti depone le uova in una speciale sacca incubatrice nel ventre del maschio, situata vicino all’apertura anale. Alla schiusa, il maschio espelle gli avannotti con delle contrazioni addominali simili al parto femminile.

Tutte le specie del genere Hippocampus sono state inserite nella Appendice II della Convention on International Trade of Endangered Species (CITES). Nonostante molti divieti internazionali, in alcuni paesi è pescato per essere poi venduto essiccato come oggetto decorativo o curativo.

 

In quell’occasione in cui costruimmo il castello, mio fratello inavvertitamente appoggiò alla base di una finestra la medaglia vinta la sera prima al torneo di calcio. Il castello venne distrutto da qualcuno e per quanto cercammo tra la sabbia non la ritrovammo più.
Ci divertivamo molto anche nel fare una pista ben battuta con tanto di ponti e cunicoli su cui si facevano schizzare le palline di plastica con dentro le foto dei protagonisti del ciclismo: Gimondi, Merckx, Adorni…

Oppure mi sedevo a gambe unite distese sulla sabbia, divaricandole spianavo la superficie e poi a gambe incrociate con le mie amiche si giocava a ossi con 5 noccioli di pesca essiccati. Ancora adesso quando ne mangio una e vedo che il nocciolo è della misura giusta mi viene alla mente quando me lo mettevo svelta in tasca per giocarci la volta successiva. Ho scoperto tramite internet che è un gioco  antichissimo, pare si giocasse fin dall’Asia Antica con gli astragali (ossa del tarso di animali).

Oppure in due ci si metteva di fronte e si giocava “Topolino topoletto” battendo le mani le une contro le altre, facendo una successione di movimenti che oltre a stimolare la memoria stimolava anche molto il tempismo, visto che la sequenza diventava sempre più veloce.
Quanto si rideva! 😂

 

CAORLE

Caorle si trova sul litorale del Mar Adriatico a nord est della Laguna veneta, tra le foci dei fiumi Livenza e Lemene e tra le due località turistiche di Eraclea e di Bibione.

Le sue origini risalgono ad almeno 1500 anni prima di Cristo, lo testimonia la scoperta di un villaggio protostorico risalente all’età del bronzo nella campagna limitrofa, così come del periodo romano è il clamoroso rinvenimento archeologico di una nave romana del I sec d.C. ritrovata al largo del mare di Caorle, completamente intatta col suo prezioso carico di anfore.
Con la caduta dell’Impero Romano le orde barbariche spinsero le genti della terraferma a trovare riparo nelle zone costiere e nelle remote isole della laguna, rendendole così più popolose.
Attorno al VI secolo Caorle divenne sede vescovile, la costruzione dell’odierna cattedrale, tuttavia, risale all’XI secolo, su una preesistente basilica paleocristiana, i cui resti sono conservati tuttora all’interno del duomo, nel museo annesso e nei giardini della canonica.

Caorle divenne un importante porto per la sua posizione alla foce del Lemene, fiume che i marinai delle navi risalivano fino alle città romane di Julia Concordia e Opitergium, entrando in stretti rapporti commerciali e sociali con Venezia. Nei secoli successivi infatti la città crebbe e fornì navi e marinai alla flotta della Repubblica Serenissima, di cui rimane traccia nell’atmosfera nei campielli e nelle calli del centro storico.

Sono secoli di eventi importanti, momenti di impulsi economici molto sostenuti si alternano a vicende drammatiche che si susseguono nel tempo, come la guerra tra Genova e Venezia combattuta tra il 1378 ed il 1381 che mise a ferro e fuoco anche Caorle. Il suo declino coincise con la caduta della Repubblica Serenissima nel 1797 sotto il dominio di Napoleone prima e degli Asburgo poi.

Dopo aver subito il lungo dominio asburgico nell’Ottocento, le due Guerre mondiali, e la minaccia subita sotto l’occupazione tedesca di vedersi allagare per motivi strategici tutto il litorale per una profondità di 10 chilometri (ma non attuata), seguirono anni molto difficili.
Tra gli anni 60 e 70 del Novecento ricomincia un’altra rinascita legata all’economia turistica, che in pochi decenni ha portato benessere e sviluppo. Caorle tuttavia ha mantenuto intatta la caratteristica di borgo di pescatori profondamente legato al mare e alle sue antiche tradizioni che per anni hanno costituito l’unica risorsa per l’isola. Tra le valli e le barene infatti si trovano i “casoni”, tipiche costruzioni usate in passato dai pescatori durante il periodo della pesca.

 

Mi ricordo dei casoni e un paesaggio giallo paglierino che metteva allegria e tanta curiosità perchè non si sapeva cosa fossero e a cosa servissero.
Quando si andava in passeggiata verso il paese, lungo la strada si cantava… Oh! Quanto si cantava…! Un classico era  “La ballata di Lazy Boy poi gettonatissima era “Se sei felice” che andava mimata… lascio all’immaginazione di ognuno questa lunga fila di ragazzine camminare a due per due, a far gesti lungo la strada! 🙂 Mi piaceva un sacco “John Brown”  cantata a più voci… emozionante… e poi… “La macchina del capo”! Ho trovato questa versione divertente rivisitata da Francesco Salvi in cui dei ragazzi compiono gli stessi gesti; era divertente anche riportare le parole al posto dei rumori, occorreva concentrazione e memoria.

Un giorno durante una passeggiata venne giù un acquazzone improvviso, eravamo lontani dalla colonia. Ai primi goccioloni la fila per due si ruppe, divenne una gran corsa disordinata con l’odore dell’asfalto lucido e nero, le ciabatte sotto l’ascella, i grossi nuvoloni neri e il sole che ci sbirciava da dietro. Tutti bagnati ridevamo come matti, maschi e femmine mischiati tra grida e richiami. Arrivammo alla colonia fradici e ci avvolsero con enormi e accoglienti asciugamani di spugna bianchi.

Dopo pranzo c’era ‘il riposo del guerriero’, lo chiamavamo così, era obbligatorio ma scalpitavamo sotto le lenzuola ruvide, impazienti di ritornare a giocare.
Quell’anno che ci andai con una mia cugina un po’ mattacchiona ne combinammo di tutti i colori! Ancora adesso quando ci incontriamo ci spanciamo dalle risate… Con noi c’erano due ragazze del nostro paese due-tre anni più grandi di noi, invitate dai nostri genitori a tenerci d’occhio (era previsto che in qualche squadra ci fosse qualcuno più grande) …e presero talmente sul serio il loro compito che divennero ben presto due tiranne! Decisero persino di spostarci di letto e interporsi tra me e mia cugina (pessima idea!) Beh! devo dire che tra il silenzio che regnava, disturbavamo parecchio tra risolini smorzati, rumori, battute improvvise, risate, stropiccii della carta delle LORO caramelle che mangiavamo a tradimento…
Arrivò che un giorno durante uno di questi riposi pomeridiani complottammo per farle finire in castigo. La signorina che seguiva la nostra squadra usciva dal dormitorio per rientrare a intervalli regolari per controllare che tutto fosse calmo. Così poco prima del suo arrivo mia cugina ed io facemmo una piccola sceneggiata e come sentimmo la maniglia della porta girare svelte ci infilammo sotto le lenzuola; quelle due invece furono beccate in piedi mentre stavano per sgridare noi, così in castigo ci finirono loro 🙂 …fuori in corridoio… a fare le flessioni in piedi! 😏 Le ho incontrate un giorno da adulte… beh… se ne ricordano ancora!!

Il primo anno invece in colonia c’ero andata con mio fratello maggiore di due anni, eravamo come due gemelli, sempre insieme, sempre solidali l’uno con l’altro, ci capivamo al volo. Il problema era quando si rimaneva a giocare in cortile nei giorni di tempo incerto e non si andava in spiaggia dove si era tutti insieme. Non riuscivo a stargli lontana. Ci dividevano: i maschi nella parte davanti la colonia, noi femmine nel retro e nel mezzo un manipolo di ragazzi facevano da sentinelle per impedire ogni sorta di promiscuità. Così io, puntualmente, ciabattine sotto l’ascella, complice una loro breve distrazione, sfrecciavo saettando rapida verso la mia destinazione: trovare mio fratello. Lo trovavo sempre insieme a un suo amico che proveniva anche lui dalla nostra città e che scherzava sempre con me; per tenermi buona mi invitava sempre a cercargli un quadrifoglio-portafortuna tra l’erba.

Un giorno loro due stavano chini a cercarne uno, quando io finii la mia folle corsa saltando a cavalcioni sulla schiena di questo ragazzo che inavvertitamente cadde a faccia in giù e si fece male. Mamma mia quanto si arrabbiò, mi voleva menare! Finii per nascondermi dietro mio fratello che per difendermi si prese un pugno in faccia. Ci rimasi male, nonostante le mie innumerevoli scuse rimasero nemici per un bel po’, riuscii a far pace regalandogli ben tre quadrifogli.

La Domenica era un giorno speciale, arrivavano i genitori in visita, ma non per noi. I miei genitori non si potevano permettere tanta strada, così rimanevamo insieme ad altri bambini soli e cercavamo di non pensarci. Il terzo anno c’era anche mio fratello più piccolo di due anni, era molto più fragile di noi e sentiva molto la mancanza della mamma anche se cercava di non darlo a vedere.
Ma una Domenica fu più forte di lui, riconobbe la mamma in una signora che un po’ le assomigliava e nonostante io continuassi a strattonarlo via dicendogli che non era lei, lui le si sedette accanto sul muretto della spiaggia e le prese la mano. La signora rendendosi conto dell’equivoco non ebbe cuore di lasciarlo e ci propose di trascorrere il giorno insieme. Si spacciò per un’amica di famiglia e ottenne il permesso dalle nostre rispettive signorine impietosite dai lacrimoni di mio fratello, e trascorremmo una magnifica giornata pranzando al sacco con loro.
La domenica sera puntuale c’era il film che veniva proiettato nel salone dove la mattina si assisteva alla Messa e nei giorni di pioggia si giocava. Seduti gli uni accanto agli altri sulle panchine, a luci spente tra risolini e bisbiglii attendavamo impazienti l’inizio del film…

Il momento più suggestivo ed emozionante di tutto il soggiorno era l’ultima sera. Ci sedavamo tutti, ma proprio tutti (un due-trecento bambini) in cerchio per terra a gambe incrociate nel campo sportivo, illuminato al centro da un grande falò. Ogni squadra preparava per tempo, con molto impegno e dedizione un breve spettacolo di fantasia da recitare o cantare quella sera. Mi ricordo la scenetta della nostra squadra quando cantammo Alikam Salam, che vergognaaa… eravamo tutte in pigiama con un turbante in testa, fatto con un asciugamano bianco arrotolato e mentre si cantava mimavamo un ballo orientale. Però ridevamo pure come matte 🙂
La scenetta più divertente fu quella di una squadra di ragazzi che mimò “Sotto il bambù”, tutti vestiti da pirati… da capottarsi dal ridere! 😆

 


Sotto il bambù – Stormy six (1972)

 

Dulcis in fundo, tutti insieme si cantava il Canto dell’addio e tutti insieme ci commuovevamo ed era dura trattenere le lacrime…

Ma poi c’era la gioia di tornare a casa e avviandoci alle camere dove la valigia era già quasi pronta, già s’intonava la filastrocca di rito. Me l’ha fatta ricordare qualcuno in un blog su internet, me l’ero proprio scordata! 🙂

Leda

Do re mi fa sol la si do ¨*•.¸¸♥♫♪♪♫•

Do-do-do domani vado a casa
re-re-re respiro l’aria pura
mi-mi-mi mi sento più sicura
fa-fa-fa farò quel che mi pare,
sol-sol-sol soltanto mi dispiace
la-la-la lasciar la signorina
si-si-si, sì, sì la lascerò

do-do-do domani me ne andrò! ¨*•.¸¸♥♫♪♪♫•

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