Una serata estiva

Qualche giorno fa non sono resistita, era una serata di quelle tipicamente estive che ti vien voglia di respirarle perchè temi siano irripetibili. Per cui dopo una cena frugale e una sistemata veloce alla cucina esco da sola, con la musica nelle orecchie e con un passo cadenzato mi lascio prendere dai miei pensieri e macino chilometri su chilometri e neanche me ne accorgo, la stanchezza non si fa sentire.

Mi hanno sempre un po’ presa in giro per la mia camminata “da montanara”, eppure prima di trasferirmi qui in pianura son sempre vissuta in collina. Mi ha insegnato mia madre a tenere il passo regolare, per riuscire ad affrontare l’ispida salita che percorrevo ogni giorno a piedi per andare a scuola. A volte quando proprio non ce la facevo più, mi giravo e risalivo in retromarcia, mi pareva di sentire meno il peso dei libri tenuti insieme dall’elastico.
Saper tenere il passo è importante, ti permette di andare lontano e di tenere duro, il ritmo del cuore rimane costante così come il respiro, l’aria non ti viene mai a mancare.

Mi piace la pianura. Il sole tramonta più tardi, certe sere si vede la palla infuocata scendere sui campi di frumento macchiati del rosso dei papaveri ed è uno spettacolo che andrebbe immortalato. Ogni volta me lo dico, ma poi penso che ce ne saranno altri da vedere.
Ormai è l’imbrunire, mi mantengo in prossimità delle case; a differenza di quando venni qui venticinque anni fa, ora tutta la zona intorno alla via principale è ben illuminata e ciò mi rassicura e per quelli che lamentano lo spreco di energia, pazienza, a me va bene così, la sicurezza non ha prezzo! Ci sono tanti altri inutili sprechi che sembrano passare inosservati agli stessi, è sempre una questione di priorità personali, ma la sicurezza riguarda tutti.
Giro sempre con il telefonino, un po’ perchè contiene la mia playlist e un po’ perchè, me l’ha insegnato mio fratello che gira spesso in bicicletta e vede le ragazze che fingono di telefonare quando incontrano qualche sconosciuto, quasi un deterrente per i malintenzionati.

Qui una volta ci venivano i mafiosi in soggiorno obbligato, il Comune ci guadagnava qualcosa ma non ho mai capito in cosa si traducesse questo investimento visto che il paese è sempre rimasto fermo e con il boom economico degli anni 70 in molti si sono arricchiti, ma il paese no, non c’è stata una visione di comunità, un arricchimento culturale condiviso. Il concetto di individualismo qui non è mai stato superato e ancora oggi non si riesce a mettere insieme le forze per affrontare questa crisi e il paese sta morendo giorno dopo giorno.

Passando accanto ai muri delle case più vecchie con le imposte sbarrate, che sono state abbandonate e mostrano i primi segni di crollo, si sente l’odore tipico di stantìo, di muffa, esaltato per contrasto dall’odore dell’asfalto surriscaldato tipico dell’estate, quando il sole batte forte per tutto il giorno.

Passando davanti al parco-giochi si sente lo schiamazzo dei bambini che finita la scuola, possono attardarsi e godersi un po’ la frescura e i profumi dei tigli e del gelsomino che si arrampica sulla rete che fa da recinzione.
Una volta in prossimità delle elezioni, così di punto in bianco scrissi una lettera al sindaco lamentando la mancanza di un parco-giochi che fungesse da punto di ritrovo per i bambini del paese, magari l’avrebbe incluso nel programma, dà un certo lustro far vedere che si pensa ai bambini. Funzionò anche se la sua realizzazione si fece  attendere  qualche anno. Ora ci vanno anche le donne extracomunitarie con i loro figli. Nei primi tempi quando arrivarono in paese rimanevano segregate in casa e, tranne qualche eccezione, le si vedeva di rado chiuse nelle lunghe tonache con il velo a coprire bene parte del viso, ad accompagnare i figli molto piccoli a scuola. Non parlavano proprio l’italiano nei primi tempi, per cui ci capivamo a gesti e a sguardi, certamente l’aver partecipato ai corsi di lingua italiana organizzati dalla biblioteca comunale le ha aiutate a integrarsi.

Guardando ai figli degli extracomunitari vedo molte analogie con il modo in cui eravamo trattati noi da piccoli: sempre in gruppo, a scuola si andava senza genitori, a piedi, con il materiale essenziale, vestiti normalmente senza marchi o mode… “però hanno il telefonino!” dicono in molti, gli italiani.
Eh! Emulare lo status del modello di giovane d’oggi propagandato dai media è proprio una faccenda irresistibile che colpisce anche loro, anche se in contraddizione con le proprie origini.
Sono arrivata. Buona vita.

Leda

 

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