Videogiochi, etica e cultura

Nei primi anni 80 scoprii di avere una nuova passione, quella per i videogiochi. Fu con Pac-Man che giocai la prima volta quando al bar-ritrovo che frequentavo, accanto al juke-box e al flipper apparvero per la prima volta i videogiochi arcade. Mi divertivo moltissimo ed ero anche bravina 😊 peccato che per giocarci si doveva fare la fila!

Pac-Man lo ritrovai molti anni dopo in un vecchio computer dismesso da una ditta, di quelli con il terminale senza interfaccia grafica e visto che non costava nulla e non c’erano file da fare, ne feci una bella scorpacciata.

Tra il 2002 e il 2003 in famiglia si decise di acquistare un nuovo personal computer fisso, più evoluto, motivati un po’ dall’introduzione nella scuola dell’alfabetizzazione informatica e un po’ dal potenziale rappresentato da una simile tecnologia. Per condividere questo interesse con i miei figli acquistai con la rivista “Panorama” una serie di CD-rom della Disney Interactive molto stimolanti.

  • Re Leone II e Timon & Pumbaa con giochi d’intrattenimento molto spassosi, finalizzati a stimolare varie abilità;
  • Disney Magico Artista, una scrivania su cui dipingere, colorare, decorare, realizzare dei disegni dando spazio alla fantasia;
  • La carica dei 101 – Studio Grafico Disney, per realizzare progetti grafici (calendari, biglietti d’invito, etichette, segnaposto, ecc);
  • Paperino Operazione “Papero”?!, Toy Story 2 e A Bug’s Life – Megaminimondo con livelli di gioco sempre più numerosi e di difficoltà sempre maggiore in ambientazioni davvero fantastiche.

In particolare con A Bug’s Life – Megaminimondo giocai moltissimo con mio figlio in età scolare perchè ogni livello richiedeva un’abilità diversa che andava individuata. Così mentre a volte si doveva agire d’intuito, in altri livelli abbisognava del ragionamento, altri ancora richiedevano solo coraggio e per prove ed errori si arrivava alla soluzione, altri ancora richiedevano l’osservazione metodica per cogliere dei particolari che passavano inosservati. Insomma un gioco molto elaborato sia per un ragazzo sia per un adulto, che ha richiesto diverso tempo e un’unione delle forze e delle caratteristiche di ognuno. Si è arrivati alla conclusione del gioco avendo imparato diversi modi di approcciarsi a un problema da risolvere, acquisendo molta soddisfazione dai risultati che si conseguivano.

Con “Donna moderna” invece acquistai altri due CD-rom della Lucas Learning: Star Wars – Prime scoperte con giochi prescolastici (4-6 anni) e Star Wars – La forza della matematica con giochi di abilità e logica (6-9 anni).

In edicola trovai interessante anche la serie di “Imparo giocando” edita da De Agostini perchè mentre la maggior parte dei CD-rom era pensata per bambini che sapevano leggere e scrivere o con la presenza di un adulto, questa serie invece rendeva il bambino autonomo perchè per le istruzioni si usava un linguaggio non verbale. Si iniziava con i primi numeri dai 3 anni e proseguiva gradualmente richiedendo sempre maggiori abilità fino ai 7 anni.

E ancora dello stesso editore Interactive English Junior (6-11 anni) introduceva a un livello base della lingua inglese.

Poi arrivò la Play Station con altri giochi: la serie del bellissimo Spyro the Dragon, Harry Potter e altri ancora, ma qui io mi fermai perchè tra scuola, famiglia e lavoro mi mancava proprio il tempo per coltivare questa passione.

Sono sempre stata attenta all’educazione dei miei figli, fin dai primi mesi di vita hanno avuto modo di sperimentare con giochi finalizzati a sviluppare gli aspetti cognitivi ed emotivi adeguatamente all’età. Ma mi sono persa qualcosa… non ho capito quando, come e perchè è avvenuto il passaggio da questi videogiochi qualitativamente validi, alla loro richiesta di poter giocare con roba come  Grand Theft Auto San Andreas (GTA). Ne parlai con loro perchè non avendo ancora l’accesso a internet mi chiedevo come ne fossero venuti a conoscenza. Così seppi che avevano sperimentato il gioco in casa di amici e presumo che, essendo la vendita vietata ai minori di 18 anni, chi li avesse acquistati fossero i genitori.

È lampante che il controllo genitoriale ha un limite, che si riduce ulteriormente con l’avvento di internet accessibile anche al cellulare. E su internet una vera e propria censura credo sia praticamente impossibile e controproducente, il proibizionismo, si sa, incentiva alla curiosità, per cui è alla radice che bisogna andare, in chi produce questi videogiochi.

Ho voluto capire questo genere, per cui mi sono seduta accanto a mio figlio e, mano a mano, mi sono fatta spiegare la dinamica di gioco. É di una violenza inaudita, ha toni cupi, freddi, con sprezzo del valore della vita, la donna e il sesso sono merce, si rompe, si sfascia, si usa, si getta non c’è nulla che stimoli alla creatività o alla costruzione di un qualcosa. Ne ho discusso con loro e consumata l’iniziale curiosità, il gioco è stato abbandonato ben presto e classificato tra i peggiori in commercio.

La mia opinione è che se un ragazzo è cresciuto sviluppando una capacità critica e  un equilibrio emotivo, per quanto violenti siano questi giochi non attecchiscono caratterialmente e ben presto finiscono per stufare. Il problema nasce quando non c’è alla base un codice di valori interiorizzato e si è predisposti a confondere realtà e finzione, allora questa tipologia di giochi diventa ossessione e un vero culto.

Penso che già ciò che facciamo, vediamo, sentiamo ripetutamente nella nostra vita spesso diventa routine, e tendiamo a non dare più attenzione e spessore a ciò che ci accade, i nostri movimenti diventano automatici, le cose si fanno senza pensare, complice la fretta. Così chi si fossilizza su questo genere di gioco giunge a considerare normale routine tutta la violenza che lo caratterizza e alla domanda: «Ma che ci provi a prendere sotto con l’auto quello?» la risposta. «Così!…è divertente!…» …che senso ha?

Mi vengono in mente quei genitori statunitensi che mettono in mano piccoli fucili ai bambini e poi succede la disgrazia. Ma dico… se tu autorizzi tuo figlio a giocare con un simile attrezzo è logico che devi considerare le conseguenze. Ma a monte, chi costruisce questi giochi che tipo di scala etica si pone? Il guadagno a tutti i costi o la finalità di un determinato gioco? E ancora, lo Stato che vigila e tutela il cittadino dove sta? Chi ci guadagna e cosa da tutto questo?

Recentemente ho visto un gioco in cui si combattevano inglesi e nazisti. A andiamo bene!… A me sembra quasi un tentare di indottrinare le nuove generazioni, e unito al fatto che esistono persone che si permettono di mettere in dubbio lo sterminio nazista di cui esistono innumerevoli documenti e testimonianze dirette e indirette, il dubbio appare più che motivato.

La strada più giusta da percorrere credo debba andare verso una coscienza civile eticamente forte nei valori, che unisca le forze e agisca in ogni contesto per le responsabilità che gli competono: chi produce, chi distribuisce e chi ne è fruitore.

Leda

 

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