L’ANELLO
Ho tolto l’anello stamane.
Quello che mi teneva legata
a un finto sentimento
spento, malato
di possessione,
di stupida competizione.
Non lo rimetterò.
Scuse non ne voglio inventare
nè per me, nè per gli altri
e a ben pensare
non so perchè mai
non l’ho fatto prima.
Per me ogni cosa ha importanza
se ha un senso, una consonanza.
È divenuto tutto così inutile e vuoto…
da riciclare,
ancor meglio,
da rottamare.
Così diffusa è l’idea
di aver tutto facilmente
che appar scontato,
archiviato
un così gratuito sentimento
nel suo banale compimento.
©zzileda
Com’è, che una coppia che ha convissuto per tanti anni e decide di sposarsi, poco dopo, accade che si separa? Qual è il senso?
Eppure un tempo si smaniava per poter vivere un “rapporto in libertà”, che potesse funzionare davvero.
Eppure… le cose cambiano comunque.
Ma cos’è un “rapporto libero”?
Liberi ognuno di far quel che si vuole
senza responsabilità alcuna?
O liberi di costruire qualcosa insieme,
senza costrizione alcuna,
scegliersi come coppia di fatto?
Io credo che il problema stia NEL CONTRATTO.
Non tanto nel contratto in sé,
ma nel COME viene percepito,
per la coppia
COSA PUÒ rappresentare.
Quel contratto dà sicurezza.
Viene a mancare quell’incertezza
quel mantener viva l’attenzione
quella precarietà necessaria
a far sì che sia sempre un nuovo giorno.
Con quel gesto – la firma,
si acquisisce una realtà,
quella specie di tranquillità
in cui tutto andrà come deve andare,
in fin dei conti perché deve cambiare?
È un primo passo falso
quello di pensarlo un contratto
anziché una promessa,
un dono,
un atto di fede.
Altro passo falso è credere
che tutto sia dovuto
automaticamente
l’appartenere… anziché appartenersi.
Un diritto, univoco.
Non è un vestito già confezionato
ma stoffa da tagliare, preparare e cucire.
Non è un appartamento chiavi in mano
ma una casa da concepire…
da L’amore non è già fatto, si fa di Michel Quoist
L’uomo in genere fa fatica a pensare alla donna come soggetto attivo nella coppia, diverso ma uguale, sullo stesso piano, è più propenso ad aspettarsi sempre qualcosa di dovuto, di essere compreso e accudito.
Se per la donna è un “trasferirsi” cominciare una nuova vita insieme, per l’uomo è un “traslocare” continuare quello che faceva prima, cambiando solo casa.
Il vero Amore
non è schiavo della legge del dare/avere,
bensì una gioia pura che ti riempie il cuore
e ti fa amare l’altro
semplicemente perché esiste,
anziché amarlo nella misura in cui
risponde o meno alle tue aspettative.
L’Amore vero è un riconoscersi fra anime,
ed è l’unico che può definirsi Eterno.
Anna Biason
Io sono qui
come te
con questa paura di amare
per due minuti, due ore
o un’eternità
duellanti nel mare di questa città
dove tutti han bisogno d’amore
proprio come noi due
Due – Raf (1993)
INCOMPRENSIONI E CONFLITTI
Sono passati i tempi in cui l’uomo lavorava fuori sostenendo economicamente la famiglia e la donna si occupava prevalentemente della casa e dei figli, perlomeno nella società occidentale.
La controcultura degli anni ’60 e ’70 ha posto le basi per una messa in discussione radicale della vecchia cultura patriarcale che per secoli aveva dominato la società.
Oggi le donne sono libere di studiare, lavorare, divorziare, viaggiare e a nessuno verrebbe in mente di considerarle solo nel ruolo di madre e moglie. Ma in realtà si sentono veramente libere?
Anche tra gli uomini, quanti di loro sono liberi di piangere, commuoversi o tirare fuori la propria sensibilità senza essere giudicati?
Nel giro di qualche anno i mutamenti esterni si sono manifestati con l’introduzione di leggi egualitarie; ma il cambiamento interno è stato altrettanto veloce?
Devono passare intere generazioni prima che venga assimilato il cambiamento e si allontanino modelli e archetipi di ruoli maschili e femminili imposti dalla società. Le donne e gli uomini di oggi sono cresciute accanto a genitori e nonni appartenenti alla “vecchia” cultura e in misura più o meno maggiore ne sono stati influenzati.
Come ben sappiamo la diversità di uomini e donne è in parte biologica e in parte socio-culturale.
C’è una mancanza di consapevolezza piuttosto diffusa rispetto ai condizionamenti con cui si ha a che fare ogni giorno. Viviamo dentro modelli predefiniti senza riflettere se sono giusti o meno, senza chiederci se quel modello che abbiamo accettato è veramente ciò che vogliamo e desideriamo. Tale consapevolezza si può raggiungere frequentando seminari, corsi o leggendo libri.
Estratto dall’articolo di Daniela Guerrieri (relazioniinarmonia.it)
NUOVI PROBLEMI, NUOVE OPPORTUNITÀ
Negli ultimi tre o quattro decenni abbiamo assistito ad una serie di profonde trasformazioni nei rapporti di coppia. Il modello tradizionale incentrato sul matrimonio è sempre più entrato in crisi, sia per l’emergere di una nuova libertà sessuale, sia per la crescente intolleranza degli individui verso i vincoli, gli obblighi, le formalità.
La funzione sociale del matrimonio era in origine principalmente, anzi esclusivamente quella della procreazione, della trasmissione ereditaria del nome e dei beni della famiglia, della alleanza tra famiglie, mentre oggi tali scopi sono sempre più secondari, prevalendo invece il reciproco benessere affettivo, sessuale e materiale dei coniugi. Il matrimonio d’amore è un fenomeno piuttosto recente, affacciatosi sulla scena da appena due secoli, col romanticismo, ma diffusosi su ampia scala solo durante il ‘900; in precedenza le nozze erano quasi sempre decise dalle famiglie, spesso senza neppure interpellare i diretti interessati, specie quelli di sesso femminile.
In passato i coniugi, pur abitando sotto lo stesso tetto, vivevano in due mondi separati: i loro compiti erano nettamente distinti e le reciproche aspettative assai diverse da quelle attuali, poiché il partner era visto più come un ruolo (marito-moglie, padre-madre dei propri figli) che non come una persona. Salvo rari casi non si avvertiva alcun bisogno di conoscersi a fondo, di costruire una intimità, un dialogo sincero e profondo; l’importante era che ognuno si comportasse bene, che svolgesse i ruoli che gli competevano.
Oggi invece il confronto intellettuale ed emozionale è un elemento essenziale al buon andamento non solo delle relazioni coniugali ma anche di relazioni di coppia meno formalizzate, e non è un confronto facile, perché l’uomo e la donna hanno due modi di vedere le cose e di comunicare molto diverso, e nessuno gli ha mai spiegato questa diversità, che può essere fonte di grande arricchimento se la si sa affrontare, ma anche di grande sofferenza se invece la ignoriamo. A questa difficoltà di base va poi aggiunto il processo di emancipazione della donna, che non si accontenta più di ricevere dal proprio partner una casa e una certa sicurezza materiale ma avanza anche altre richieste, sessuali, sentimentali e di dialogo, che non sempre lui è in grado di capire e di soddisfare, anche perché mentre la donna ha iniziato già da tempo a sviluppare il proprio maschile interiore, l’uomo – salvo rare eccezioni – non ha ancora affrontato il suo femminile interiore ed anzi lo teme.
La stabilità del matrimonio è ritenuto uno dei fondamenti della nostra società, tant’è che finora è stata la società a modellare la forma del matrimonio, a farlo scorrere liscio, in modo stabile e affidabile, come una disciplinata rotella nell’ingranaggio delle nostre piccole comunità.
L’esigenza di stabilità sociale crea aspettative collettive secondo le quali le persone sposate devono rimanere tali, devono comportarsi bene, occuparsi delle cose più importanti che la società ha da offrire e non fare nulla di troppo strano che possa turbare l’ordine costituito.
Poiché questa aspettativa sottintesa è una funzione sociale più che una nostra personale convinzione, le persone sposate sono costrette a rimanere aderenti ai valori esteriori e a partecipare a una coscienza generica, piuttosto che individuale o visionaria.
Invece di tuffarci nelle profondità interiori dove potremmo trovare la saggezza del nostro cuore (e probabilmente anche straordinarie soluzioni sociali o forme insolite di relazione … ) ci intruppiamo nel gregge insieme agli altri conformisti. La verità è che il matrimonio – in quanto relazione – è stato fagocitato dalle convenzioni sociali e, poiché serve la società, finisce spesso per soffocare l’anima viva e individuale.
Il dovere, la responsabilità e le convenzioni sociali, per quanto importanti, ci allontanano spesso dal nostro collegamento naturale più profondo con le altre persone – i legami del cuore – e di conseguenza, nel tentativo di servire la società, possiamo tradire o abbandonare noi stessi. Invece di esaminare il nostro cuore, la nostra mente e la nostra coscienza per trovare le forme più adatte per la nostre relazioni, permettiamo che i nostri matrimoni si trasformino in versioni annacquate dei valori sociali correnti mentre dovrebbero essere vibranti unioni emotive che nutrono e sostengono coloro che vi partecipano.
(D.R. Kingma, Il futuro dell’amore, Gruppo Futura, 2000)
E’ indubbio che il modello tradizionale non risponda più alle nuove esigenze, ma è altrettanto vero che i rapporti con l’altro sesso non possono limitarsi al solo erotismo. Vi è un bisogno profondo di intimità, di confronto, di unione che non può essere soddisfatto da rapporti occasionali e richiede una qualche forma di continuità, meno rigida però di quella tradizionale.
Ciò che conta, nella nuova ottica, non è tanto la forma esteriore ma la consapevolezza e l’impegno con cui i due partner vivono la strada scelta, quale che sia. Il rapporto esclusivo con un partner può essere fonte di grande crescita e merita di essere vissuto con sacralità, rispetto, impegno. In secondo luogo, le proposte non vanno imposte dall’alto ma scoperte singolarmente dall’individuo e dalla coppia attraverso un processo di libera e cosciente sperimentazione.
Alla fase iniziale dell’innamoramento, in cui il partner appare splendente come il sole, subentrano fasi meno brillanti in cui si prende coscienza anche dei suoi limiti e dei suoi lati meno lucenti: l’ombra. E’ qui che nascono le prime incomprensioni, le prime delusioni, i primi conflitti che poi, se manca una reciproca capacità di comunicare (e quasi sempre manca) inevitabilmente vanno ad accentuarsi fino a portare alla crisi. Non esistono persone fatte di sola luce e ognuno ha in sé anche delle zone oscure, inconsce, che premono per emergere e essere finalmente riconosciute.
La relazione sentimentale non ha solo lo scopo di far stare bene i due partner, ma è anche e soprattutto il luogo in cui ognuno dei due desidera colmare il proprio senso di incompletezza e guarire una volta per tutte le proprie ferite d’amore primarie: le carenze affettive, le delusioni, talvolta addirittura gli abusi fisici o morali subiti durante l’infanzia. E’ un desiderio per lo più inconscio ma molto, molto potente, che influenza profondamente la dinamica della relazione.
LE FERITE DEL CUORE
Da bambini siamo deboli e vulnerabili e abbiamo un grande bisogno di cure, di attenzione, di amore, di riconoscimento sociale. Amare non vuol dire solo prendersi cura del figlio, non fargli mancare niente, non picchiarlo e dargli baci e abbracci – certo questo sarebbe già molto, moltissimo, ma c’è dell’altro: amare significa anche accettarlo e apprezzarlo per quello che è, in modo incondizionato. Senza porre condizioni, a prescindere cioè dal fatto che assomigli o meno al nostro modello ideale e che si comporti come noi adulti desideriamo. Se invece l’accettazione e il sostegno dipendono da tali fattori, allora si ha amore condizionato, in quanto si pone una condizione.
E’ l’amore incondizionato che fa sbocciare in noi un atteggiamento spontaneo e fiducioso verso l’esistenza, la sensazione rassicurante di protezione e nutrimento, il senso di dignità in quanto esseri umani a prescindere dalla nostra identità e posizione sociale.
L’amore condizionato è invece quello che ci stimola a seguire determinate regole di comportamento, a impegnarci nell’apprendere, a raggiungere traguardi, ad eccellere. E’ la base dell’energia creativa dell’uomo, del suo desiderio di evolvere, di migliorare e migliorarsi, di confrontarsi, di raggiungere sempre nuovi traguardi; è una energia positiva ed utile, che però, quando è eccessiva, può portare sofferenza e distruzione.
Affinché il bambino si sviluppi armonicamente sono necessarie entrambe queste forme di amore, che non si escludono l’un l’altra, ma sono anzi complementari ed è fondamentale che vi sia tra loro equilibrio.
Noi proveniamo da una civiltà patriarcale, autoritaria, severa in cui per millenni vi è stato troppo poco amore incondizionato, il che ha prodotto cattivi rapporti genitori-figli, profonde ferite d’amore e una tendenza delle persone, sin da bambine, a chiudersi, a difendersi, a crearsi una maschera che nasconde e rinnega alcuni aspetti di sé e rinforza solo quelli che gli fanno ricevere l’approvazione dei genitori e degli altri adulti significativi. Tuttavia non si deve credere che un regime matriarcale sarebbe migliore, poiché il solo amore incondizionato creerebbe inevitabilmente figli viziati, stagnazione, pigrizia, inerzia evolutiva, mancanza di creatività e autonomia.
É giusto che nell’epoca attuale di crisi del patriarcato vi sia una rivalutazione del femminile, ma non per sostituirlo al maschile bensì per porli finalmente fianco a fianco, pariteticamente, senza che nessuno dei due prevalga sull’altro.
AMAMI COME NON SONO MAI STATO AMATO
(ma avrei sempre voluto)
Nelle relazioni in cui c’è un profondo coinvolgimento affettivo, un innamoramento, dopo vari mesi quando i due hanno raggiunto un certo grado di confidenza e intimità, iniziano a fare a meno delle maschere. A questo punto scattano in entrambi forti aspettative nei confronti dell’altro.
Ci sono due tipi di bisogni emotivi che cerchiamo di soddisfare nelle nostre relazioni intime: uno è quello di cui siamo consapevoli (fammi felice, dammi la sicurezza economica, sii un buon padre per i miei figli), l’altro è costituito dalle esigenze emotive inconsce che rappresentano il tentativo della nostra personalità di guarire tutto ciò che si frappone alla nostra capacità di sentirci integri. In ogni relazione esiste dunque un viaggio emotivo nascosto.
(D.R. Kingma, Il futuro dell’amore, Gruppo Futura, 2000)
La relazione di coppia diviene insomma una opportunità tramite cui crediamo di poter guarire una volta per tutte le ferite d’amore, le carenze affettive, le delusioni subite durante l’infanzia, caricandola di aspettative eccessive.
Occorre affrontare in modo realistico il rapporto, comprendendo che il nostro partner non ha il potere magico di guarire le nostre ferite di cuore e di riempire i nostri vuoti esistenziali – né lui né nessun altro partner. Guarire tali ferite e colmare tali vuoti è un processo possibile che può avvenire solo attraverso l’autoguarigione; certo, un partner comprensivo e amorevole può esserci di grande aiuto, ma il lavoro ognuno lo deve fare da sé su di sé.
Il punto di partenza per un tale lavoro è assumersi la responsabilità della propria guarigione, senza scaricarla su altre persone: né sui nostri veri genitori né sul nostro partner. Dobbiamo accettare che quel che è stato è stato: le situazioni e le cause che hanno prodotto le ferite non possono essere cambiate, appartengono al passato e i fatti del passato non possono mutare.
Può però mutare la nostra interpretazione di quei fatti e possono mutare gli effetti di quei fatti.
Possiamo cioè per prima cosa interpretare la mancanza di amore non come una nostra sfortuna e ingiustizia privata ma come un male collettivo che affligge tutta l’umanità; in tal modo smetteremo di sentirci vittima e di attribuire colpe agli altri e potremo poi perdonare coloro che involontariamente ci hanno fatto soffrire perché a loro volta sofferenti. E ci tengo a precisare che il perdono non è un regalo che facciamo a loro ma a noi stessi, perché significa smettere di sprecare energie nel vano tentativo di cambiarli, non è in nostro potere di cambiare il modo di essere di un’altra persona. Potremo così dedicarci davvero a noi stessi, imparando ad amarci ed accettarci per quello che siamo (amore incondizionato) ed al contempo a stimolarci bonariamente ma con disciplina, a perfezionarci e a sviluppare al meglio le nostre potenzialità (amore condizionato), attività che amo definire “fare da madre e padre amorevoli di noi stessi” – qualcosa di molto simile a ciò che molti maestri spirituali hanno chiamato “amare se stessi”.
(E. Cheli, L’età del risveglio interiore, Franco Angeli editore).
Man mano che risaniamo le ferite d’amore primarie e che impariamo ad amarci e a stimolarci positivamente, cresce la nostra autostima e la fiducia nell’altro e anche il rapporto di coppia ne risente felicemente. Specie se entrambi i partner si incamminano su un tale sentiero si passa gradualmente da una situazione di permanente conflitto interiore ed esteriore ad uno stato emotivo più armonico, ad una identità più fluida e piena di entrambi che conduce ad una comunicazione con l’altro basata sull’ascolto e la comprensione, e non più sul giudicare e sul proiettare; ad una relazione basata sulla complicità e la collaborazione, e non più sulla sfida e l’antagonismo.
Amarsi e stare insieme è un’arte che, come tutte le arti, va imparata. Anche l’artista agisce a partire da una ispirazione, da un sentimento, da una visione spontanea, ma poi la trasfigura, la esprime e la rende opera d’arte grazie alla sua abilità tecnica e alla sua sensibilità acuita. Se non avesse studiato, se non avesse imparato certi principi e certe tecniche, se non avesse, grazie all’esercizio e alla contemplazione, affinato la propria sensibilità e consapevolezza Bach non sarebbe divenuto l’artista che era, e così pure Leonardo o Michelangelo, Dante o Montale.
Ognuno di noi, anche se non è un artista, è chiamato nella vita ad esercitare le arti più umane, difficili e sublimi del comunicare, del relazionarsi e dell’amare. Esercitarle senza studiare non significa agire spontaneamente, anzi al contrario significa essere prigionieri di quegli stili che abbiamo appreso dagli altri.
(E. Cheli, Relazioni in Armonia, Franco Angeli 2004)
Se invece ci impegniamo a studiare, ad esercitarci, a confrontarci con altre persone, arriviamo a scoprire che esistono altri modi di comunicare, di esprimere emozioni e sentimenti, di stare in relazione, e grazie alle esercitazioni possiamo anche provarli questi modi, indossarli senza impegno, giusto per vedere come ci sentiamo in essi e magari scoprire che ci corrispondono più di quelli che finora avevamo adottato come nostri. Allora iniziamo a prendere le distanze dai nostri vecchi stili (che nostri non erano) e a capire come in fin dei conti essi fossero responsabili di molte incomprensioni, di molti conflitti, di molte sensazioni di mancata intimità, e giungiamo piano piano a formarci un nostro stile, questa volta davvero nostro perché sviluppato consapevolmente, perché costituito da modi e linguaggi che sentiamo corrispondere alla nostra interiorità, alle nostre aspirazioni, al nostro vero essere.
Siamo tutti fondamentalmente degli analfabeti sul piano comunicativo-emozionale-relazionale perché figli di una cultura patriarcale basata sul potere e non sulla comunicazione. Adesso è giunto il momento di superare questo analfabetismo e di riappropriarci delle nostre prerogative affettive e relazionali.
Estratto dall’articolo “La coppia scoppia” di Enrico Cheli
Enrico Cheli, sociologo e psicologo si occupa da anni di relazioni interpersonali e metodi olistici per lo sviluppo del potenziale umano. È docente all’Università di Siena.
Quando sarò capace di amare – Giorgio Gaber (1995-96)
Immagini – Marc Chagall
L’ ANELLO
L’origine dell’anello è molto antica e risale all’età del bronzo, e già nella civiltà cretese-micenea divenne un oggetto prezioso e lavorato con accuratezza. Intorno al 1800 a.C. si diffuse l’uso dell’anello-sigillo di derivazione mesopotamica, come forma di sigillo per documenti, da cui deriverebbe il significato simbolico di autorità e autorevolezza che conservano ancora oggi quelli indossati da alti prelati.
La sua forma circolare che ricorda l’Uroboro lo fa identificare come simbolo di eternità. Nella Roma antica il diritto di adornarsi con anelli di ferro era inizialmente concesso ai soli sacerdoti di Giove: con il passare del tempo, però, tale onore venne esteso anche a cavalieri e senatori che però utilizzavano anelli d’oro.
Fin dall’epoca romana venne utilizzato nei fidanzamenti e nei matrimoni come augurio di stabilità, col nome di vinculum e anulus pronubus, significato che si conservò intatto anche nelle epoche successive. Lo stesso valore di stabilità e di onore viene attribuito agli anelli utilizzati in araldica. Spezzare un anello, di conseguenza, ha il valore simbolico della rottura di un qualche giuramento o di preannuncio di disgrazia.
In un senso più limitato, l’anello è anche il simbolo della vita materiale e terrena, per questo ad esempio l’anello del Pescatore del pontefice, a partire dall’introduzione di Clemente IV nel 1265, viene rotto alla sua morte, e un tempo alla morte di un congiunto, si usava sfilare gli anelli per permettere il suo distacco dalla terra. L’identificazione tra anello e vita, si ritrova anche nell’antica usanza cartaginese di consegnare ai loro comandanti tanti anelli quante erano le vittime inflitte al nemico.
Agli anelli, soprattutto se dotati di pietre preziose, si assegnavano virtù terapeutiche, poteri di protezione contro le malattie o al contrario maledizioni.
Nelle leggende popolari e nelle favole, gli anelli forniscono poteri occulti e spesso soprannaturali a chi li porta. Le saghe fantasy spesso includono anelli magici; ricordiamo in particolare l’Unico Anello all’interno de Il Signore degli Anelli.
The Lord of the Rings è una trilogia colossal fantasy del regista neozelandese Peter Jackson, basata sull’omonimo romanzo scritto da John Ronald Reuel Tolkien. La saga, ambientata nel mondo immaginario della Terra di Mezzo è formata da:
Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello (2001),
Il Signore degli Anelli – Le due torri (2002), e l’ultimo
Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re (2003).
È considerato uno dei progetti più grandi e ambiziosi mai intrapresi nella storia del cinema.
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