di GABRIELE SALVATORES
In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare.
Henry Laborit
È il 1941 ed è in corso la Seconda Guerra Mondiale quando un plotone di italiani sbarca a Megisti, una piccola e sperduta isola greca dell’arcipelago del Dodecanneso nel mar Egeo. La loro missione è quella di occuparla e segnalare eventuali avvistamenti.
Un singolare gruppo di otto uomini, richiamati alle armi, provenienti da vari reggimenti e sopravvissuti per caso a battaglie perdute: il tenente Raffaele Montini (Claudio Bigagli) è un insegnante di ginnasio che la Grecia non l’ha mai vista, ma la insegna sui libri di scuola; Eliseo Strazzabosco (Gigio Alberti) un mulattiere degli Alpini particolarmente legato affettivamente a Silvana, l’asina a lui affidata; i fratelli Munaron, Libero (Memo Dini) e Felice (Vasco Mirandola) due montanari che non hanno mai visto il mare; Nicola Lorusso (Diego Abatantuono) che nella campagna d’Africa si è guadagnato i gradi di sergente maggiore e Luciano Colasanti (Ugo Conti) il marconista, l’addetto alle comunicazioni radio, che vive in simbiosi, all’ombra del sergente; Corrado Noventa (Claudio Bisio) “il disertore”, determinato in qualsiasi modo a tornare a casa dalla moglie in attesa di un bambino; Antonio Farina (Giuseppe Cederna) l’attendente che sa anticipare i pensieri del tenente, sempre pronto ad ubbidire ai suoi comandi.
Hanno l’ordine di rimanere in quell’isola per quattro mesi, ma l’accoglienza che trovano non è delle migliori, a cominciare dalla frase scritta su un muro.
«Signor tenente cosa c’è scritto là?»
«E ellas einai o tafos
… La Grecia è la tomba… ton italon»
«Scusi, ton italon cosa vuol dire?»
«Degli italiani»
«Cioè, come viene?»
«La Grecia è la tomba degli italiani»
Salgono al paese per installare la base, l’atmosfera è inquietante, non c’è nessuno, le case sono tutte vuote. Dopo aver avvistato un bombardamento in lontananza, nel buio della notte scorgono in acqua alcuni pezzi della R.N. Garibaldi. Alla radio non riescono a capire cosa stia succedendo, sentono solo una voce inglese per cui temono uno sbarco da parte dei nemici inglesi, che però si fanno attendere e l’atmosfera diviene ancor più tesa, tanto che a rimetterci è Silvana che viene ferita a morte. Ma il peggio deve ancora venire.
Strazzabosco disperato s’infuria e scaglia la radio contro il colpevole, con il risultato che ora sono completamente tagliati fuori, lì in quell’isola senza alcun modo di comunicare. Decidono allora di installare una base di O.C. (Osservazione e Collegamento) in cima al monte e i due fratelli montanari si rendono disponibili a fare da vedetta in pianta stabile, lì si sentono decisamente più a loro agio. Non sanno che lì li aspetta una singolare esperienza, ricollegabile a quella vissuta vent’anni dopo dai “Figli dei fiori“.
Ad un certo punto appaiono dei bambini e il paese subito si rianima, però mancano tutti gli uomini. Sarà il Pope (Luigi Montini) a spiegare che il paese era stato precedentemente invaso dai tedeschi, che dopo aver distrutto le case e affondato le barche, avevano deportato tutti gli uomini. Alla vista della loro nave, temendo fossero tornati i tedeschi, si erano tutti nascosti. Ma il pope conosce bene l’italiano e gli italiani, con cui condivide la fede in Cristo.
«Italiani-greci, “mia fazza mia razza” –
una faccia una razza»
Pian piano con isolati dalla guerra e integrati con i greci, la loro vita torna a una dimensione più normale e ognuno trova il modo di esprimersi secondo la propria indole. Il tenente appassionato di pittura, nel ritrarre le persone del luogo vive le emozioni della Grecia studiata sui libri. Ben presto di militare in lui rimarrà ben poco tra abiti estivi e infradito. Trova anche il tempo per dialogare con il suo attendente, di cui in pratica non sa nulla. Scopre così che Farina non ha radici e non ha qualcuno che lo aspetta al suo ritorno. Farina a sua volta, grazie al tenente, si appassiona alla lettura delle poesie scritte sette secoli prima di Cristo.
«Bello qua, eh?»
«Insomma…»
«Beh, sai questo può sembrare anche un posto arido,
un posto da pecorai, però qui 2500 anni fa, prima di Roma,
c’era una civiltà bellissima, c’erano poeti,
filosofi, guerrieri, divinità.
Tutti noi discendiamo da qui in qualche modo.
Anche tu, se vuoi cercare delle origini
qui le puoi trovare, capito?»
Strazzabosco trova consolazione per la perdita della sua Silvana adottando l’asinello “Garibaldi” e conoscendo una ragazza del luogo, alla quale dà un passaggio barattandolo con la verdura del luogo.
Il sergente Lorusso sembra l’unico a mantenere una certa disciplina militare, intervenendo nei momenti cruciali con solerzia e competenza. Sarà un turco, Aziz (Alessandro Vivarelli) arrivato sull’isola con una barca, a dargli il modo di sciogliersi abbandonando le sue ultime resistenze, tanto che il marconista Colasanti riuscirà a confidargli i suoi sentimenti.
L’unico che proprio non “stacca la mente” è Noventa che continua a scrivere lettere che sa, non verranno mai spedite, e a cogliere ogni opportunità per svignarsela.
«Non sono assolutamente d’accordo con l’atteggiamento lassista e rilassato che si è diffuso tra voi. Essendo un compagno non posso non andare con la corrente, cioè non posso schierarmi contro il volere della maggioranza. Capisco anche il vostro atteggiamento di ribellione nei confronti delle autorità dovuto a un’assoluta latitanza dello Stato» «Che cosa stai dicendo?» «Sto dicendo quello che sto dicendo. Io…, mi sento anch’io abbandonato dalla mia Patria, dall’Italia e non me ne frega un cazzo. Ci hanno lasciati qua, e noi qua ci stiamo! Hanno detto arrangiatevi? E noi qua ci arrangiamo!»
Ciò che contribuirà ad allietare le loro giornate saranno gli incontri con Vassilissa (Vana Barba), una bellissima donna che fin da subito farà breccia nel cuore poetico e nobile dell’attendente Farina. E le immancabili partite di calcio, durante una delle quali (scena mitica del film) atterra un aeroplano.
Il pilota, tenente Carmelo La Rosa ( Antonio Catania) li metterà al corrente che nel frattempo Mussolini è caduto e l’Italia è divisa in due: al sud ci sono gli americani e gli inglesi, al nord i tedeschi e i fascisti. Si è formato il C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale), i partigiani, che stanno combattendo una guerra civile “Quelli che erano amici son diventati nemici, e quelli che erano nemici son diventati amici”. Potranno presto rientrare in Italia, ma dopo tre anni passati lì qualcosa è cambiato…
Commento: la bellezza e la raffinatezza di questi film italiani sembra siano più capite e più apprezzate all’estero che non in Italia, non a caso ha ricevuto diversi premi, tra cui l’Oscar nel 1992 come miglior film straniero. Pur nella sua semplicità, privo cioè di scenari extragalattici e di effetti speciali che hanno solo lo scopo di sbalordire lo spettatore, Mediterraneo racchiude in sè dei gioielli, una moltitudine di citazioni preziose e sagge, acute e lungimiranti sparse dappertutto, suggerisce anzitempo (sembra impossibile ma sono trascorsi già ventitre anni!! 😐 ) i motivi che hanno portato alla crisi attuale che stiamo vivendo e le sole possibili soluzioni per uscirne. Un film ricco della nostra storia, che rispecchia fedelmente l’identità tipica italiana che per certi versi sa eccellere e per altri sa essere cialtrona (senza offesa, eh!), per certi tratti necessita di essere smussata e per altri va riscoperta e valorizzata, per ritrovare quel giusto modo di intendere la vita, il quale da sempre, in tutto il mondo, è motivo di ammirazione e di ispirazione.
Personalmente questo film mi è rimasto nella memoria in modo particolare per l’atmosfera davvero singolare che si respira in Grecia, sottolineata dalla scelta più che azzeccata delle musiche. Un paese che ho potuto visitare (La Grecia, diario di viaggio), un paese mediterraneo come il nostro (e non solo il nostro) con cui abbiamo molto in comune e trovandosi nel quale, seppur con un minimo di sensibilità, è impossibile non provare le forti sensazioni vissute dal tenente perchè la storia ce l’hai tutta intorno, in qualsiasi luogo, basta saperla guardare.
Tra il singolare cast che calza a pennello con i personaggi, tanto da farne un tutt’uno con l’attore, ho ritrovato il Diego Abatantuono del film Regalo di Natale, di Pupi Avati (1986) già allora sono rimasta piacevolmente sorpresa per il cambiamento di ruolo, confermato in seguito anche da un altro bellissimo film che ho visto, Marrakech Express, sempre di Salvatores (1989). È incredibile come Abatantuono sia stato capace di “uscire” (cosa non facile) da un personaggio così caratterizzato, quello del terrone-tamarro di Eccezzziunale… veramente di Carlo Vanzina (1982), un genere di film che non rispecchia i miei gusti e il cui personaggio proprio non riuscivo a digerirlo. 🙂 Sicuramente avrà contribuito alla sua formazione, in un modo o nell’altro, ogni esperienza porta in sè qualcosa da cui imparare, però lo preferisco decisamente in ruoli come questo di Mediterraneo.
Non sono un’esperta di cinema, ma ho come l’impressione che in altre realtà gli attori sembrino più liberi, meno soggetti a una classificazione, passano da un personaggio all’altro senza alcun strascico, inoltre migrano continuamente dal cinema alla TV interpretando ruoli con semplicità, senza timore di essere “svalutati”, anzi sembra ne guadagnino in popolarità. Sembra manchi quel divismo che incatena un po’ l’attore di cinema. O almeno questa è la mia impressione.
Un film assolutamente da non perdere.
Leda
Mediterraneo
di Gabriele Salvatores
Italia, 1991
Genere: Commedia, Guerra
Sceneggiatura: Enzo Monteleone
Cast: Claudio Bigagli, Diego Abatantuono, Giuseppe Cederna,
Ugo Conti, Gigio Alberti, Vanna Barba, Claudio Bisio,
Antonio Catania, Memo Dini, Luigi Montini, Vasco Mirandola
Fotografia: Italo Petriccione
Montaggio: Nino Baragli
Musiche: Marco Falagiani, Giancarlo Bigazzi
Produzione: A.M.A. Film, Penta Films, Silvio Berlusconi Communications
Distribuzione: Penta Distribuzione (1991) –
Pentavideo, Cecchi Gori Home Video, L’Unità Video
«Avevamo tutti più o meno quell’età in cui
non hai ancora deciso se mettere sù famiglia
o perderti per il mondo»
«Parola d’ordine?» «Savoia o morte»
«Non ci piacciono stranieri nella nostra patria,
ma fra due mali meglio il male minore»
«È inutile leggere le poesie, canta no?…
che ti passa la paura»
«Il destino lo puoi pilotare, puoi cercare di fare in modo
che le cose vadano come vuoi tu.
Si può cambiare il destino.»
«Mica è così facile,
a volte si ubbidisce al destino e basta»
«Qual è la cosa più bella sopra la terra bruna.
Uno dice una torma di cavalieri, uno di fanti, uno di navi,
io: colei che si ama.
E poi va avanti…va avanti,
l’ha scritta un poeta greco più di 2500 anni fà, pensa»
«Sì, ma, perchè non vuoi fare l’amore con me? Perchè?»
«Io non l’ho mai fatto. Però, io vorrei che la prima volta fosse fatto per amore,
amore veramente, capisci?»
«Sai cosa diceva sempre papà?
Se proprio c’è il bisogno…
galleggi anche sulla merda»
APPROFONDIMENTI:
Nelle scene del film durante una notte vengono avvistati alcuni relitti in acqua della Regia Nave Garibaldi, un incrociatore della Regia Marina italiana.
Altolà! chi va là!
Parola d’ordine:
SAVOIA O MORTE!
Parola d’ordine riferita alla fedeltà a Vittorio Emanuele III di Savoia, figlio di Umberto I di Savoia e di Margherita di Savoia, fu re d’Italia dal 1900 al 1946. Ricevette alla nascita il titolo di principe di Napoli, nell’evidente intento di sottolineare l’unità nazionale, raggiunta da poco.
Ma il motto che è rimasto più nella storia è:
O ROMA O MORTE!
Tale motto ha origine quando Giuseppe Garibaldi è a Palermo nel 1862, ove dichiara la sua intenzione di convincere il re Vittorio Emanuele II a conquistare Roma e il Lazio (lo Stato Pontificio) e annetterli all’Italia unificata.
Il 20 luglio, sul campo di battaglia di Marsala, Garibaldi avrebbe gridato il suo famoso motto “O Roma o morte“, divenuto in breve tempo parola d’ordine di tutti i sostenitori dell’annessione a Roma.
Nel 1861 con la creazione dello Stato Italiano unito, Vittorio Emanuele II di Savoia assunse il titolo di re d’Italia.
Il motto si legge alla base della statua equestre di Giuseppe Garibaldi che si trova nel punto più alto del “Gianicolo”, sotto la quale è posto dal 1904 un cannone che spara, a salve, a mezzogiorno in punto, una tradizione ormai per Roma.
L’uso di segnare il tempo con un colpo di cannone fu introdotto dal Pontefice Pio IX il 1° dicembre 1847 per avere un segnale unico dell’ora ufficiale, anziché il suono scoordinato delle campane delle chiese cittadine.
La tradizione continuò anche con l’unità d’Italia. Il cannone sparò fino all’agosto 1903 dal suo primo posizionamento a Castel S. Angelo, da dove venne spostato sulle pendici di Monte Mario, per poi essere definitivamente trasferito sul Gianicolo, esattamente il 24 gennaio 1904.
Nel periodo della Seconda Guerra Mondiale la tradizione fu interrotta per gli eventi bellici.
Il 21 aprile 1959, in occasione del 2712° Anniversario della fondazione di Roma, il cannone riprese a segnare il “mezzogiorno” per i cittadini romani.
da: Il cannone del Gianicolo – Ministero della Difesa
Le scene introduttive del film La grande bellezza di Paolo Sorrentino del 2013, sono dedicate alla sacralità del momento storico.
“MÌA FAZZA MÌA RAZZA”
Questa frase propagandistica fu inventata dal governo fascista italiano nell’epoca dell’occupazione durante la Seconda guerra mondiale, per convincere i greci che i due popoli fossero fratelli, e favorire la loro collaborazione. Malgrado il brutto ricordo che i greci hanno di quegli anni, la frase ha avuto successo e paradossalmente decenni dopo, la usano i greci che si vogliono fare simpatici ai turisti italiani, come ho visto tante volte durante gli anni che ho vissuto in Grecia. Invece, la frase è completamente sconosciuta in Italia, per cui è buffo vedere la faccia del greco convinto che stia dicendo qualcosa di celebre in Italia, e quella dell’italiano che non capisce di che cosa gli stiano parlando. Nonostante ciò, la frase è storica e fu creata in italiano, ma solo per essere usata in Grecia. È altresì facile supporre che si riferisca anche ai legami culturali e storici dei due paesi che risalgono ai tempi della Magna Grecia.
di El Gancho
ASINO O MULO?
L’asino chiamato anche somaro o ciuco, nasce da un asino ed un’asina.
Il Mulo invece è un incrocio tra una cavalla e un asino, è grande come un cavallo e molto forte. È stato adottato dagli Alpini fin dal 1872, anno di fondazione delle truppe alpine.
Il Bardotto è un incrocio fra Asina e cavallo e non è grande.
Mulo e bardotto sono entrambi sterili.
☆☆
«Tonino, sta cambiando tutto. C’è da rifare l’Italia, ricominciamo da zero.
C’è grande confusione sotto al cielo,
la situazione è eccellente, dai…
costruiremo un gran bel paese per viverci,
te lo prometto dai, è anche il nostro dovere.»
☆☆
«…Non si viveva poi così bene in Italia,
non ci hanno lasciato cambiare niente.
E allora… e allora gli ho detto:
“Avete vinto voi… ma almeno non riuscirete
a considerarmi vostro complice“»
☆☆
Mediterraneo – La Grecia