Altopiano di Asiago – Veneto

L’altopiano dei Sette comuni si trova nelle Prealpi venete ed è formato da due gradoni. Sul primo, a 1000 metri di quota, si trova Asiago, al centro di una vasta conca ondulata, tra il verde intenso dei prati e dei boschi. Tutt’intorno gli altri Sette Comuni dell’Altopiano: Roana, Rotzo, Lusiana, Conco, Gallio, Foza ed Enego.
L’altopiano dei sette comuni che si costituì nel 1310 fu uno dei primi governi autonomi e democratici della storia: la Spettabile Reggenza dei Sette Comuni, con milizia propria. Asiago ne fu la capitale.

Il secondo gradone è costituito da una catena di montagne di altitudine fino a 2341 m, che fanno barriera e proteggono i centri abitati dai venti del Nord.

Il vasto pianoro ondulato di natura calcarea costituisce per la sua conformazione una fortezza naturale posta nell’area di transizione con il mondo germanico e per questo ha rivestito nei secoli una grande importanza strategico-militare; la posizione di confine ha fatto però di questo territorio anche un luogo di incontro e integrazione di civiltà diverse.

L’ambiente incontaminato, ricco di pascoli e di pinete è una terra ospitale e un un luogo ricco di storia: dalle grotte del Paleolitico, ai resti del fortilizio costruito dai romani, dalla distruzione della Prima Guerra Mondiale alla Resistenza partigiana della Seconda.

Ho soggiornato ad Asiago per tre estati consecutive dal 1971, dopo tre estati precedenti trascorse a Caorle, al mare. Nella foto si vedono la colonia POA e due gruppi in fila in passeggiata… quel grembiule rosso l’ho portato anch’io! 😉

La montagna in particolar modo, era considerata importante per rafforzare il fisico. L’aria fresca e frizzantina e le frequenti passeggiate erano un toccasana e lo si vedeva da come mangiavamo di gusto. 🙂 Si facevano passeggiate brevi verso il centro paese, deviando prima verso “Millepini”, una zona verde vicina al Palazzo del ghiaccio. Qui sotto alla pineta raccoglievamo pigne, muschi, fiorellini che incollavamo con la resina dei pini su pezzi di corteccia. Occorreva una certa abilità nel maneggiare la resina o erano guai se si appiccicava a mani e abiti; le composizioni che realizzavamo erano sempre molto carine. Oppure negli spazi esposti al sole ci si sedeva sull’erba e su una pratolina dal lungo stelo si infilavano, una volta tolto il gambo, altre pratoline per fare braccialetti, collane, coroncine…

«Gli ‘ecologisti da salotto’
chiamano tutti gli alberi pini,
non sanno più distinguere…»

Mario Rigoni Stern

In un’altra passeggiata breve si percorreva la strada che costeggiava la colonia, andando verso l’aeroporto; qui incontravamo le mucche al pascolo, a volte anche qualche toro e temevamo molto per la nostra incolumità… visto che il nostro grembiule ERA ROSSO!! 😆 In quella zona si trovava una colonia di Rovigo, una struttura piccola, molto semplice e informale, un po’ come i centri estivi che si usano adesso. Invece la nostra essendo una colonia POA (Pontificia Opera di Assistenza) condivisa tra Padova e Vicenza, era più istituzionalizzata, pomposa, con tanto di divise. Questo probabilmente dava un senso di superiorità perché nelle passeggiate, quando incrociavamo i rodigini spesso alcuni di noi li sbeffeggiavano con il termine (considerato spregiativo) “rovigoti”, la qual cosa, oltre a non condividerla, mi infastidiva parecchio. Infondo eravamo tutti di origini modeste, e detto sinceramente, io invidiavo un po’ la loro semplicità e famigliarità…

Con le passeggiate lunghe invece a volte si andava a Gallio che dista 4 km da Asiago.

Gallio è uno dei sette comuni, anch’esso di origine antica e ricco di sorgenti d’acqua perenne. La loro abbondanza assieme all’estensione dei boschi, ha fatto sì che nel corso dei secoli si sviluppassero attività artigianali o paleoindustriali, prima fra tutte la concia delle pelli. Vi era infatti sia l’acqua per muovere le ruote degli opifici che la corteccia d’abete dalla quale ricavare il tannino, utilizzato per rendere non putrescibili le pelli. È un centro molto carino, attivo e accogliente dal punto di vista turistico sia estivo che invernale.

Oppure verso l’Osservatorio astrofisico, che rappresentava un qualcosa di magico per noi ragazzini, più volte chiedemmo di poterlo visitare ma non fummo mai accontentati.

L’Osservatorio Astrofisico di Asiago è la sede dedicata alla ricerca astronomica. Fu fondato dall’Università di Padova nel 1942, data in cui si inaugurò l’allora più grande telescopio d’Europa dedicato a Galileo, un telescopio riflettore con uno specchio da 122 cm di diametro. È con questo strumento che si sono potuti ottenere in passato grandi successi, principalmente nel campo delle stelle variabili, stelle novae, supernovae e galassie, realizzando un prezioso archivio dati. La struttura ospita il museo degli strumenti scientifici e raccoglie la strumentazione che negli anni è stata utilizzata con il telescopio Galileo. Il museo, utilizzato ora per fini didattici, sarà presto parte del Centro di Ateneo per i Musei.

L’Osservatorio sorge su un colle, tra i verdi prati dell’Altopiano di Asiago, a 1045 metri di altezza, circondato e protetto da una folta abetaia. Gli edifici principali furono progettati dall’architetto Daniele Calabi negli anni ’30, in uno stile molto particolare che lo rende ancora oggi uno dei siti astronomici più affascinanti al mondo. Nell’ampia area sorgono la cupola del telescopio Galileo con la control room, l’edificio dell’officina meccanica, la palazzina degli uffici, e le foresterie per gli ospiti. La sede ospita anche la cupola del telescopio Schmidt dell’Osservatorio Astronomico di Padova costruito nel 1967, utilizzata attualmente come Sala Multimediale per le visite didattiche aperte al pubblico, dopo che il telescopio è stato spostato nella stazione osservativa di Cima Ekar nel 1992.

La sede di Cima Ekar, ad una altitudine di 1350 m, a poco meno di 4 km in linea d’aria dalla sede storica dell’Osservatorio, ospita ora tutta la strumentazione principale dell’ Osservatorio Astronomico di Padova (INAF).
Venne fondata nel 1973 con l’inaugurazione del maggiore strumento ottico su suolo italiano, il telescopio riflettore da 182 cm di diametro “Copernico”, e ospita anche il telescopio Schmidt da 40/50 cm e il telescopio Schmidt da 67/92 cm, tutt’ora il più grande del suo genere in Italia.

Ma la meta che preferivo di più era un campo, di cui non ricordavo più il nome, ma mi è stato segnalato (grazie ☺). È il Prunno, lo raggiungevamo percorrendo un tratto di strada che costeggiava l’Ospedale.
C’era un distributore di benzina con un cane San Bernardo enorme… non per niente  è soprannominato il “Gigante delle Alpi”! Bellissimo! Ci incuteva un certo timore, pur sapendo che è un cane dal carattere mite e molto amico dei bambini. Poco più in là ci inoltravamo nel bosco del Prunno attraverso un sentiero in terra battuta. Tra gli alti alberi c’era un tal silenzio…! Ci veniva d’istinto bisbigliare. 

In una zona scoperta vi era una caverna dove ogni volta sostavamo qualche minuto e il nostro chiacchierio si faceva fitto fitto. Si raccontava che vi avessero trovato rifugio i soldati durante la guerra e che vi fossero degli antichi graffiti alle pareti… ma era troppo buia per addentrarvisi… e lì la nostra fantasia volava!!
Al termine del sentiero si apriva un grande spiazzo erboso, i nostri occhi abituati alla penombra e accecati dai raggi del sole, intravedevano il campetto da calcio con tanto di porte su di un lato, e sull’altro una baita che fungeva da bar.

Questi percorsi lunghi richiedevano una certa resistenza e per non sentire la fatica ci concentravamo sui canti. Di questo periodo i miei ricordi sono molto legati a canzoni come “Viva la gente”, “La caccia del leon”, “Ho tanta gioia”, “Di che colore è la pelle di Dio”, ci facevano sentire tutti più uniti.

«Adesso la gente non canta più. La gente comune – il falegname, il contadino, l’operaio, quello che va in bicicletta, il panettiere – ha smesso di cantare».

Mario Rigoni Stern

«Il mondo che stiamo vivendo è fatto per consumare e il consumo consuma anche la natura. Consumando la natura, noi consumiamo l’uomo: consumiamo l’umanità»

Mario Rigoni Stern

Ogni anno si andava a visitare l’Ossario. Appena inoltratisi sul viale alberato le voci si abbassavano in segno di rispetto e l’atmosfera diveniva solenne, soprattutto all’interno, e io mi perdevo nei miei pensieri. Uscivo sempre un po’ turbata da quel luogo, ma ero sempre contenta di esserci stata.

Un lungo viale alberato sale dolcemente
verso l’altura che domina la città.
Vi si respira serenità e silenzio.
Come se quel monumento funebre,
innalzato a perenne memoria,
nella sua algida sobrietà
sottolineasse con più forza,
insieme alle terrene vanità,
gli appassionati sacrifici,
il coraggio e l’abnegazione.
Monumento all’amor patrio
che trasformò uomini in eroi
e che tutti abbraccia,
in ordine alfabetico.
Luogo della memoria
che sollecita la coscienza
e vibra d’orgoglio patrio.
Alle 17 suona il Silenzio.
I militari che presidiano il Monumento
invitano cortesemente il pubblico
a raggiungere l’uscita.
Le ombre, testimoni della follia umana,
tornano nel sacello.
Il riposo eterno e l’eterna Luce tutti contiene,
i suoi figli
e tutti, amandoli, abbraccia.

di Laura

Sacrario militare. Asiago fu uno dei luoghi più simbolici della Grande Guerra. Investita alla fine di maggio del 1916 dall’avanzata austro-ungarica, venne gravemente danneggiata ed occupata dalle truppe asburgiche che la saccheggiarono assieme al vicino abitato di Arsiero. Venne ricostruita alla fine del conflitto e fu scelta, durante il regime fascista, per ospitare uno dei più grandi sacrari militari italiani dedicati alla Grande Guerra.

Il luogo venne individuato sul colle di Leiten (il Sacrario è conosciuto anche con questo nome), collegato al centro città dal monumentale e suggestivo Viale degli Eroi a cui lati sorgono dei grandi cipressi. Il progetto fu dell’architetto veneziano Orfeo Rossato che disegnò un unico e gigantesco blocco di cemento e marmo della zona (di 1600 metri quadrati) sormontato da un grande arco, in stile romano, alto 47 metri. I lavori terminarono nel 1938 ed il Sacrario di Asiago venne inaugurato con grandi celebrazioni alla presenza dello stesso Re Vittorio Emanuele III.
Qui sono state traslate 54.286 salme provenienti dai cimiteri di guerra della zona: 34.286 sono italiane (di cui 21.491 ignoti) mentre le restanti 20.000 sono austro-ungariche (11.762 senza nome). I resti di questi soldati sono ospitati lungo le pareti della gallerie all’interno del grande blocco del Sacrario: quelli identificati sono in ordine alfabetico mentre quelli per cui non è stato possibile effettuare il riconoscimento si trovano all’interno di due grandi tombe comuni ai lati della cripta.
Il blocco quadrato è completato da una cappella mentre, nei pressi dell’entrata alla cripta, è possibile accedere anche al piccolo museo del Sacrario. È possibile visitare due sezioni in cui sono esposti diversi cimeli e materiale ritrovato sull’Altopiano di Asiago. La prima è dedicata al biennio 1915-1916 mentre la seconda al periodo 1917-1918. Il pezzo più emozionante è, probabilmente, una lettera di un giovane soldato alla vigilia della Battaglia dell’Ortigara rinvenuta addirittura negli anni ’50.

O Genitori, parlate, parlate,
fra qualche anno,
quando saranno in grado di capirvi,
ai miei fratellini di me,
morto a vent’anni per la Patria.
Parlate loro di me,
sforzatevi a risvegliare in loro
il ricordo di me…
M’è doloroso il pensiero
di venire dimenticato da essi…
Fra dieci, venti anni forse
non sapranno più di avermi avuto come fratello…

Qui la lettera completa

Usciti all’esterno, una grande scala (larga 35 metri) permette di giungere sotto l’arco, divenuto simbolo della provincia di Vicenza (assieme agli altri sacrari del Pasubio, del Cimone e del Monte Grappa). Sui parapetti del terrazzo sono state poste delle frecce che indicano le località dove si svolsero le battaglie e gli scontri più significativi della Grande Guerra. Tutto intorno all’intera struttura sono infine visibili cannoni originali e restaurati.

«Spegnete la televisione,
prendete un libro»

Mario Rigoni Stern

 

Mario Rigoni Stern nato ad Asiago il primo novembre 1921, Mario Rigoni Stern ci vive dunque da sempre mantenendo un legame fortissimo con il territorio, a parte la drammatica parentesi del secondo conflitto mondiale.

Rigoni Stern da questa terra tanto amata si è allontanato suo malgrado per le tristi vicissitudini vissute da alpino sul fronte, culminate poi con l’esperienza di oltre due anni nei lager di Lituania, Slesia e Stiria, prigioniero dei tedeschi. Liberato nel maggio del 1945, torna a casa a piedi e dopo un periodo di spaesamento viene assunto presso l’Ufficio imposte del catasto di Asiago. Si sposa nel 1946 e diventa successivamente padre di tre figli. È vissuto nella casa di sempre, che lui stesso ha costruito con le proprie mani.
Il suo esordio da narratore risale al 1953, con Il sergente della neve. Ricordi della ritirata di Russia, apparso tra i “gettoni” einaudiani e divenuto oramai un classico della letteratura italiana. Il libro, sostenuto da Elio Vittorini, era una rielaborazione degli appunti presi da Rigoni Stern durante l’esperienza da militare. Si tratta di un’opera lucida e implacabile, scritta con stile semplice, senza enfasi, capace di presentare i nudi fatti con grande efficacia e onestà.
Molti sono comunque i libri di Mario Rigoni Stern, che Mondadori ha riunito in un volume della celebre collana dei “Meridiani”, sotto il titolo di Storie dall’Altipiano. E tra i tanti suoi libri, molti hanno riferimenti alla natura. Uomini, boschi ed api, per esempio, è una raccolta di racconti in cui la storia dell’uomo viene ripercorsa attraverso la voce degli animali e della natura. Poi c’è La storia di Tönle, che è uno dei libri più alti dello scrittore veneto. Tönle Bintarn è stato un contadino, ma anche un pastore e un contrabbandiere, vissuto tra la fine dell’Ottocento e la grande guerra. Le sue vicende hanno sconvolto l’Altipiano asiaghese e rappresentano un destino che si è imbattuto con i grandi eventi della storia. Tönle rimane un uomo legato alla terra e all’alternarsi delle stagioni della natura e della vita, nonostante sia costretto ad affrontare la travolgente realtà degli eventi.

Tratto da questo bell’ articolo di Luigi Caricato del 27 novembre 2004

E poi questa interessante intervista che merita di essere letta, di Andrea Bianchi del 16 maggio 2006

Mario Rigoni Stern muore a causa di un tumore al cervello il giorno 17 giugno 2008.

 

«È tutto così rapido e veloce
che non resta nemmeno il tempo per meditare»

Mario Rigoni Stern

 


I CRODAIOLI E BEPI DE MARZI

Bepi De Marzi, classe 1935, ha poco più di vent’anni quando, fresco di diploma di conservatorio e di naja, compone Signore delle cime. Esegue il canto in pubblico per la prima volta nel 1958 con il coro che da allora dirige con successo: i Crodaioli

Arzignano, paese di De Marzi, è stato nel tempo fucina dei suoi canti d’ispirazione popolare, composti «tra il vociare di giocatori di Tresette e il profumo del vino nero della vecchia osteria sotto casa».
Joska la rossa, Monte Pasubio, Laila oh: la montagna e la sua gente, le tradizioni sacre e profane, in centinaia di canti e una decina di dischi.
Il preferito, Cantare: “So dove i grilli accordano i violini, so dove il vento si ferma quando trema, so dove nasce la voglia di cantare”.
Il più celebre, Signore delle cime, è tradotto in molte lingue.

In cinquanta anni i Crodaioli, continuamente rinnovati nei quattro settori vocali, hanno effettuato più di tremila concerti in ogni parte del mondo. Hanno realizzato nove incisioni per la Carosello di Milano, distribuzione Universal Italia e pubblicato centocinquanta canti nuovi per le Edizioni Curci, sempre a Milano.

HO UN RICORDO

Passai sul finir dell’inverno,
sostai su gradini di cemento,
lo sguardo perso tra alte chiome scure
lievi i rumori della città, dietro.

Alla luce fioca del lampione
muta ad ascoltare, non vista,
se non dalle alte càssie robinia
del boschetto laterale, addormentate.

E l’alto muro non potea celare
l’elevare delle voci e l’accompagnare
dei miei pensieri, il canto.

Nessun s’accorse.
Fu concerto mio,
particolare.

©zzileda

PORTALE MAGICO VENETO

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