Vespa 50 special e scorribande anni Settanta


50 special (ed. italiana) – Lùnapop (1999)

Ascoltando questa canzone mi par di sentire ancora l’odore della miscela bruciata e mi tornano in mente le scorribande in moto della mia adolescenza. Specialmente quella con la mia amica d’infanzia quando una domenica di un pomeriggio estivo prendemmo la Vespa Piaggio 750 di mio fratello, il “Vespone” così lo chiamavamo, e andammo in giro “con le ali sotto ai piediii…♫♪♪♫•*¨*•.¸¸♥…ma per i colli veronesiii! ♫♪♪♫•*¨*•.¸¸♥” 😄
Quella volta, poi, presi una bella tirata d’orecchi, avevo sì la patente ma occorreva avere 21 anni per poterla guidare! Vabbè, mica lo sapevo io e comunque ci siamo divertite un sacco, sù e giù per i colli tra il veronese e il vicentino, con qualche sosta nei paesi dove riuscimmo anche ad incontrare qualche amico conosciuto nella nostra prima discoteca, quella che iniziammo a frequentare da ragazzine, che si trovava appunto in confine tra Vicenza e Verona.

Poi ci fu quella volta con la mia compagna di banco delle scuole superiori, aveva un “Fantichino” della Fantic Motor, andava molto di moda per le ragazze fine anni Settanta del secolo scorso. Era talmente basso che quando salivo dietro dovevo ripiegare le gambe e tenerle sollevate prendendomi le caviglie perchè non c’era il predellino, visto che non si poteva portare un passeggero… vabbè, a volte capitava che si era appiedate e si accettava un passaggio. Beh quel giorno dovevamo incontrare degli amici sulla collina del paese, una salita piuttosto ripida per cui lei partì con una bella ripresa e io seduta dietro, non avendo le mani libere sbalzai giù e caddi con il sedere per terra in mezzo alla strada! Lei manco s’accorse e poco dopo sentendo che il motore non faceva fatica, girandosi mi vide là per terra che ridevo come una matta e scoppiò in una risata pure lei, che ancora ce la ricordiamo!😅

A quei tempi avevo ereditato dai miei fratelli uno sgangherato Boxer rosso, una versione più economica che imitava il Ciao, entrambi della Piaggio. Il Ciao bianco era considerato da fighi, il Boxer da poracci, però aveva un sedile più comodo 😉 e poi pur di avere una moto ero disposta a girare anche con l’Ape!

Il Boxer era passato di mano in mano a tre dei miei fratelli, per cui quando finalmente divenne mio faceva talmente fatica, in salita sulla strada di casa, che dovevo pedalare per aiutare il motore se no non ce la faceva proprio! Che ridere! Mi prendevano sempre in giro…
Per non dire quando s’intestardiva e non si voleva accendere: lo mettevo sul cavalletto e via a pedalare…wron wron, wroon, wrooon…e niente, allora lo spingevo in salita e scendendo giù a tutta birra, finalmente il motore partiva.

Però una volta mi fece sudare sette camicie! Lo avevo lasciato parcheggiato sul piazzale della chiesa, si era andate via in auto con degli amici, quando tornai tentai di accenderlo scendendo giù per la ripida discesa, ma niente, non si accendeva. Allora ritornai sù e giù un’altra volta, e niente, così per altre due volte quando stremata mi decisi a controllare la candela di accensione, nel caso fosse sporca o bagnata. Mannaggia! C’era frapposto tra gli elettrodi un pezzetto di carta talmente spessa che impediva alla scintilla l’accensione ed era chiaro che stava lì messa da qualcuno per farmi uno scherzo!! Beccai mio fratello minore con i suoi amici a sghignazzare sul piazzale, e il collegamento fu automatico… Rischiò grosso quel giorno, ma si tenne a debita distanza ed io ero troppo sfinita per rincorrerlo…

Una bella lezione invece l’avemmo una domenica pomeriggio: stavo tornando a casa con la mia amica, io da sola e lei con un’altra amica dietro; a un certo punto si accostarono a noi due ragazze che conoscevamo solo di vista, entrambe sullo stesso motorino. Appena svoltata la curva vedemmo i vigili urbani appostati sulla strada, ci fu un tafferuglio quando le ragazze dietro svelte scesero dalle moto, ma i vigili ci fermarono tutte. Chiesero chi portava un passeggero dietro e la mia amica ammise subito la sua colpa, mentre l’altra disse no, che lei era da sola. Così tutti concentrarono la loro attenzione su di me, e io con espressione ironica chiesi in che modo potevo portare due persone con il mio motorino (che fosse sgangherato lo si vedeva) quando dovevo già pedalare di mio per poter affrontare quella salita, figuriamoci in due!! Ma l’altra ragazza continuò a negare e quella dietro non proferiva parola, così i vigili ci dissero che volevano solo darci una lezione e che non ci avrebbero multato; avevano apprezzato la sincerità e la schiettezza mia e della mia amica (avevano visto tutto!) e che avevano voluto mettere alla prova la nostra onestà, per cui le due tipe fecero una ben magra figura e se ne andarono via a testa bassa.

Ma a quel tempo il mio desiderio più grande era avere una moto tipo cross, la vedevo ogni giorno esposta in vetrina lungo il percorso per andare alle scuole superiori… mannaggia come mi piaceva!

Era un KTM 125. Ero una ribelle a quei tempi e piuttosto “maschiaccio” 😊 portavo jeans, mimetica e stivaletti a punta. Non era molto usuale per una ragazza, ma era una forma di ribellione la mia, allo stereotipo della classica “ragazza per bene” perchè si vestiva in un determinato modo…
Purtroppo la moto costava parecchio e per portare un 125 occorreva il patentino, quindi un’ulteriore spesa. Così mi accontentai di un cinquantino, misi da parte i soldi lavorando come un mulo per qualche mese la sera d’inverno, per due anni consecutivi. I miei fratelli mi pressavano perchè prendessi un Ciao, più adatto a una ragazza, o al massimo una Vespa 50 (così poi l’avrebbero usata pure loro, un motivo in più per rimanere sulla mia decisione), per cui portai a casa un Caballero Super della Fantic Motor, di colore blu. Mi presi una gran bella soddisfazione!

Come era consueto a quei tempi lo feci elaborare con carburatore 19 e andava come un freccia. Quanto mi divertii sù per i viottoli tra i boschi e i campi, l’odore della miscela… ancora adesso quando mi capita di sentirla mi crea una particolare sensazione… in quei momenti ero libera e felice!

Un tardo pomeriggio in pieno inverno era buio e faceva molto freddo, così imbacuccata per bene e di ritorno dal lavoro passai per il centro, al minimo perchè non si sentisse l’elaborazione. Mi fermò piuttosto bruscamente un vigile e mi chiese secco i documenti segnalandomi che il fanalino dietro non funzionava. Quando vide dalla carta d’identità che ero una ragazza cambiò espressione e fece una faccia che mi venne da ridere, e mi lasciò andare raccomandandomi di sistemarlo.

Quella moto me la godetti proprio e quando passai all’auto la ereditò mio fratello, quello dello scherzo della candela, che in men che non si dica fuse il motore…eeeh! Lui mica aveva sgobbato per comprarla!
Di tutta questo racconto mi viene da pensare quanto poco bastava per divertirsi e a quanto poco fossero necessarie leggi e leggine che oggi tanto ci complicano la vita pur non cambiando niente alla fine, se non in peggio. Bastava il buon senso per farci capire fin dove ci si poteva spingere, e per i più, i principi guida erano l’onestà e la semplicità… tranne qualche caso isolato.

Ecco, appunto!

Nella bella stagione, ricordo, ci piaceva ogni tanto andare alla pista di Motocross sulla collina veronese, ci piazzavamo sempre sul prato che costeggiava una ripida salita, il punto più spettacolare della pista. Occorreva una certa abilità e tenacia per arrivare in cima, contando poi che il terreno era molto irregolare.

C’era un tipo che abitava nel mio paese conosciuto da tutti per un gran rompipalle, che quando partecipava alle gare con la sua moto e vedeva che su quella salita tutti lo stavano per superare, aveva la pessima abitudine di buttarsi di traverso. Lascio immaginare il caos che creava, considerando il fatto che poco prima della salita vi era una curva stretta, cosicchè chi arrivava in accelerazione per prendere la rincorsa, difficilmente riusciva a schivare trovandosi di botto una ressa di moto e piloti aggrovigliati. Era talmente pieno di sè quel tale, che preferiva interrompere la gara piuttosto che permettere agli altri di vincerla. Più che un abile pilota era spericolato e puntualmente finiva all’ospedale dove era noto per le sue innumerevoli fratture. Si usava dire che al suo passaggio tutte le calamite dei dintorni gli si sarebbero attaccate addosso da quante placche di metallo tenevano unite le sue ossa. Per la disperazione di sua madre, di cui peraltro era figlio unico, non si decideva a mettere la testa a posto e a darsi una calmata.

Io e le mie amiche ci divertivamo proprio in quelle occasioni… una volta un amico, fotografo amatoriale, ci fece a nostra insaputa un bel primo piano in bianco e nero, molto spontaneo. Eravamo noi tre sedute vicine sull’erba fra gli altri spettatori, in attesa dell’arrivo dei piloti: una guardava di sottecchi e intanto parlava, l’altra rideva a squarciagola e io in mezzo sorniona, mangiavo un filo d’erba. Quando la guardo, ancora adesso mi chiedo chissà chi o che cosa era al centro dei nostri pensieri…
I nostri amici spesso andavano alla pista di Speedway di Monticello di Fara, frazione di Sarego in provincia di Vicenza, una manifestazione molto famosa anche all’estero dove si disputavano gare a livello internazionale e mondiale della specialità. In seguito è stata trasferita nella pista della vicina Lonigo.

Leda

 

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