Tempi duri


Mio padre era rimasto fuori tutta la notte, sapevo che stava partecipando a una forma di protesta insieme ad altri operai, ma mai avrei immaginato di vedere il mattino seguente, mentre andavo a scuola, una scena da rivoluzione francese.
Mi spaventai parecchio, ero fra il gruppetto di bambini che si fermò davanti alla barricata sul ponte che impediva l’accesso al paese, appostati stavano diversi operai infreddoliti tra il nero fumo prodotto dai pneumatici a cui avevano dato fuoco. Ma fummo accolti col sorriso da un operaio che ci disse di stare tranquilli, che ci avrebbe accompagnato lui sull’unico punto dove si poteva oltrepassare la barricata e ci disse: «Oggi i bambini sono gli unici a passare di qua. Il diritto alla scuola non si nega mai!» Rincuorati avanzammo in fila indiana, ricordo che mi sentii fiera di mio padre che stava probabilmente da qualche altra parte, dietro un’altra barricata in un altro punto di accesso del paese. La sera tornò molto preoccupato, contando il fatto che il maggiore dei miei fratelli era appena partito per il servizio di leva, il suo stipendio rappresentava l’unico sostentamento per una famiglia di otto persone, e quando si sciopera “si tira la cinghia”!

La crisi dopo alcune settimane si risolse e l’azienda entrò nel limbo delle partecipazioni statali per cui il futuro divenne nebuloso in tutti i sensi. Fu dismessa la vecchia officina e costruito un nuovo grande capannone appena fuori dal centro, più o meno dove sarebbe sorta più in là nel tempo la zona industriale. Così gli edifici originari vennero abbandonati: adiacente alla portineria, ricordo, c’era un ambulatorio dove per sei anni con mia madre mi ero recata per la visita di controllo e per le vaccinazioni, prima di partire per la colonia estiva al mare e in montagna; attigua, c’era anche la casa padronale. Negli anni 90 è stato raso tutto al suolo e il terreno è divenuto area abitativa. Di fronte alla fabbrica sorge tuttora la casa di riposo, una bella villa con, al tempo, un bel giardino all’italiana.
Periodicamente la fabbrica metalmeccanica veniva ceduta, cambiava intestazione, metteva in atto una ristrutturazione con relativa riorganizzazione, quindi tagli al personale, prepensionamenti, e poi nuove assunzioni e dopo un certo periodo di tempo via di nuovo…tutto si ripeteva. Non si capiva il senso, e ogni volta mio padre a capo chino scuoteva la testa in segno di disapprovazione.

Ho conservato molti ricordi della Ditta Pellizzari sebbene fossi piccola, ricordo la gioia e l’agitazione del giorno dell’Epifania quando a tutti noi, figli degli operai veniva consegnato un pacco-regalo: una grande borsa con i manici, di carta colorata e dentro trovavamo giocattoli, giochi da tavolo, qualche libretto e dolci… per noi era una manna! E poi assistavamo a uno spettacolo teatrale o a un film, come I ragazzi della via Pal, che mi è rimasto molto impresso, o lo spettacolo di Giorgio Gaber, il tutto finanziato dalla Ditta Pellizzari come riconoscimento dell’impegno e della dedizione degli operai.

Leda

LA FAMIGLIA PELLIZZARI 

 

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