La mammografia

Qualche giorno fa ho accolto l’invito per eseguire una mammografia come previsto dal programma di prevenzione dei tumori promosso dall’Azienda USSL in collaborazione con la Regione Veneto.
È una lettera di invito sintetica ma non troppo, scritta con piglio arguto: il tono è cortese, discreto, ti dà le giuste informazioni necessarie per renderti facile la cosa ed è sollecita nel farti sentire protagonista della tua stessa salute. Infine è firmata dalla responsabile degli screening oncologici e dal mio medico curante, anche se non personalmente, fa comunque il suo effetto: qualcuno si prende cura di te e questo per le donne abituate a prendersi cura più degli altri, è una cosa importante.
Divago un po’, ma mi viene spontaneo fare il paragone con quella lettera che ricevetti diversi anni fa dal responsabile amministrativo del mio Comune circa il mancato pagamento di un mensile della mensa scolastica. Premesso che ero in possesso della ricevuta, rimasi interdetta per il tono piuttosto sgarbato con cui si dava per scontato non avessi pagato e mi si ingiungeva a dimostrare l’avvenuto pagamento. Mancavano pure le scuse finali, ormai di prassi, e la postilla in cui si dice di ignorare la missiva nel caso l’insoluto fosse frutto di un errore. Viene naturale chiedersi in tempi di tecnologie e collegamenti telematici a che livello sia la comunicazione tra banca e amministrazione comunale, visto che si riducono a dover chiedere a me di dimostrare l’avvenuto pagamento! Ci andai comunque, a portare la ricevuta, e feci presente al responsabile che la mia era una cortesia e che avrei gradito averne ricevuta altrettanta. Forse molti dipendenti pubblici (lo sono stata anch’io, ma non mi sono mai permessa un simile atteggiamento) non hanno ben presente che cosa sia la gentilezza e la gratitudine per avere un posto di lavoro in ambito pubblico stipendiato dalla comunità.

Tornando alla mammografia, ho deciso di accettare l’invito anche se mi sono sempre preoccupata personalmente di farla con regolarità ognialtro due anni, a partire dai quarantacinque anni, su invito del medico curante. Di solito prenotavo la successiva direttamente il giorno stesso in cui la facevo visti i lunghi tempi di attesa, ma l’ultima volta mi avevano dato una data troppo ravvicinata e non avendo ancora disponibili le date successive, dovevo aspettare alcuni mesi per richiederla. Ma ho atteso qualche mese di troppo e così è finita che me l’hanno data per il 2015, giusta in mezzo ci stava questa e bingo! l’ho presa al volo.

Un mio cugino che al tempo lavorava in radiologia, mi consigliò di abbinarla a un’ecografia (non prevista dal programma di prevenzione dell’USSL se non in un secondo momento, nel caso si ritenesse necessaria) per rendere l’esame più approfondito. Anche se, a dire della stessa dottoressa che esegue l’ecografia, è indispensabile fare mensilmente l’autopalpazione del seno. E qui racconto un fatto che è successo a una mia amica.

Circa sei mesi dopo la mammografia, sotto la doccia casualmente si accorse di avere dei noduli di cui non si era mai accorta. Chiesto il parere del medico, fece una visita di controllo urgente che confermò la presenza di noduli i quali, con il confronto delle lastre, non risultavano presenti all’epoca dell’ultima mammografia. Per fortuna tutto si risolse in breve tempo e senza conseguenze vista la precocità della diagnosi.

Ciò mi fa pensare alle donne della mia età che hanno ricevuto un’educazione sessuale rigida e preconcetta, che ci fa percepire il nostro corpo come estraneo, che non ci appartiene. Quei pregiudizi duri a morire per cui toccare il proprio corpo è peccato, l’inculcare un eccessivo quanto dannoso pudore che in casi come questo avrebbe potuto pregiudicare la vita stessa.

Il giorno della mammografia ho portato con me un libro da leggere, armata di pazienza e preparata alla ressa, perchè spesso ti viene dato un appuntamento con un orario preciso, poi ti presenti e trovi una quindicina di persone se ti va bene, e tutte con lo stesso orario… “ma che appuntamento è..?” mi dico, il vantaggio sta solo da una parte. Magari una si prende un permesso dal lavoro, si organizza con i figli da prendere a scuola, scomoda altre persone a farlo per lei, per poi star lì ad aspettare ore e ore, quando poteva andarci direttamente più tardi…
Invece no! Siamo solo in tre, che bello! Abbiamo un appuntamento che si distanzia l’una dall’altra di un quarto d’ora, giusto il tempo necessario per fare con comodo la mammografia e parlare anche con il medico che si dimostra disponibile e gentile.

Come sono cambiate le cose!… un tempo esisteva una notevole dicotomia tra una visita ambulatoriale con ricetta medica e una visita a pagamento, e per molto tempo si è optato a priori per quest’ultima, per avere quel minimo di gentilezza e cura da parte del medico e del personale infermieristico, per non sentirti un numero.

Così in meno di un’ora me la sono cavata e già che c’ero ho prenotato la visita oculistica di controllo, ho la ricetta nella borsa e da troppo tempo la rimando: appuntamento tra quattro mesi… e vabbè… come non sono cambiate le cose.. .e mi è andata anche bene, se anzichè di controllo fosse una visita completa avrei dovuto aspettare un anno!

Alcuni siti utili:

Fai prevenzione: speciale seno
Autopalpazione della mammella


Da giorni sto pensando al modo di oggi di parlare delle cose, di affrontare temi importanti con una tale superficialità da farli diventare pettegolezzo, voce di corridoio sussurrata ai giornalisti per fare scoop. Ma ciò che è più scandaloso sono le insinuazioni, il concetto stesso che si ha delle donne e questo vizio che attanaglia molti di screditare i personaggi pubblici con questa specie di caccia alle streghe.
È un modo scorretto di comunicare che alimenta solo la sfiducia per ciò che viene detto.
In mezzo a questa giungla in cui “tutti sanno tutto di tutti“ e urlano “al ladro, al ladro“, dove non si ha più sicurezza che i fatti siano fatti e non invece il frutto di invenzioni, distorsioni, reinterpretazioni fasulle diventa difficile e faticoso orientarsi, informarsi e farsi un’opinione propria.
Credo sia importante partire da un presupposto: quando qualcosa viene detto senza argomentare, ragionare, non offrendo spunti di riflessione, è più una convinzione quella cui ci troviamo di fronte, che non un’opinione o un dato di fatto, pertanto va letta con una certa cautela e un giusto distacco.

D’altro canto la tendenza a spettacolarizzare tutto spesso si ritorce contro perchè l’attenzione più che su ciò che si dice, si sposta su ciò che si rappresenta, e si finisce così per ritrattare tutto, aggiungendo caos ad altro caos. Meglio fornire delle spiegazioni che avvalorino le proprie convinzioni, che rimanere pigramente in superficie dando per scontate fin troppe cose.
E non dimentichiamo mai il diritto/dovere di tutti, che per accusare occorrono dei fatti, delle prove. Altrimenti si può solo supporre.

Questa mania di protagonismo ahimè, così diffusa tende a vanificare tutto ciò che si dice, tutto perde di valore, di credibilità quando ci si pone gli uni contro gli altri, anzichè porsi gli uni accanto agli altri per cercare di focalizzare il problema e cercare di superarlo.
Anzichè perdersi nei miasmi del detto non detto, occorre fare chiarezza.

Interessante per esempio è l’articolo Scienza e farmaci circa l’approccio preventivo più personalizzato per le donne che hanno una storia famigliare di cancro al seno, di mutazioni genetiche, che le espone a un rischio maggiore.

Ciò riporta a un  fatto molto discusso, quello della mastectomia preventiva, e in particolare della decisione di Angelina Jolie di asportare il seno in seguito all’aver già perso madre, nonna e zia a causa del cancro al seno e soprattutto dopo aver accertato di avere una mutazione nel gene BRCA1. Credo di aver capito che la sua decisione è nata dalla volontà di preservare i propri figli da un trauma, che in genere è già difficile superare anche da adulti: la perdita della propria madre.
Non mi sento proprio di giudicare in alcun modo la sua decisione perchè è una scelta di madre, prima che di donna e credo che nessuno abbia il diritto di interferire o giudicare un atto che è tutt’altro che egoistico.


Credo poi che il succo del discorso stia proprio lì. La ricerca va avanti e si scoprono sempre cose nuove, ognuno dovrebbe avere la possibilità di maturare un’idea, di decidere della propria vita, avendo l’opportunità di rivolgersi a persone qualificate in grado di metterci in condizione di capire e di fare una scelta ponderata.


Ma il mio sentore per quanto riguarda la Sanità, come lo è stato per la scuola, è che si punti tuttora al ribasso e il fatto grave è che sono proprio gli Enti Locali, che godono di maggiore autonomia, a fare delle precise scelte politiche su come utilizzare le risorse.

Per esempio non si capisce più se gli infermieri sono infermieri o se sono operatori socio-sanitari, e c’è una bella differenza… Nei primi anni 80, quando iniziai a lavora in ospedale, c’era la figura dell’infermiere/a professionale, ormai scomparsa, in pratica era il braccio destro del medico. Fu soppressa e le sue mansioni passarono all’infermiere/a generico/a, che fino ad allora di regola non interveniva direttamente sul paziente (non faceva iniezioni, non interveniva sulle flebo, non distribuiva medicinali, ecc.), tanto da modificarne la figura.

Un bel risparmio di risorse….

Ora si punta a sostituire la figura del personale infermieristico con l’operatore socio-sanitario (allora si chiamava ausiliario), due ruoli molto diversi tra loro e con responsabilità ben diverse: per fare l’infermiere occorre un diploma universitario, per fare l’operatore occorre un attestato di qualifica come figura di supporto al personale infermieristico. In pratica si è andati in calare come qualifica e come stipendio, ma si è andati in crescere come ruolo e responsabilità.
Qualcosa non quadra, decisamente!

Anche perchè si è lontani anni luce da quello che è il nuovo Profilo Professionale dell’Infermiere auspicato in questo articolo del 2008: La nuova figura dell’infermiere nel pianeta sanità;
e quello ottemperato nel Decreto Ministeriale 509/1999.

Il Codice Deontologico infermieristico deliberato nel 2009, che andava a sostituire i precedenti ed era la naturale evoluzione del Patto tra l’infermiere e il cittadino elaborato nel 1996, definisce la figura dell’infermiere non più con il termine ambiguo di operatore sanitario, ma come professionista sanitario.

Art.1 – L’infermiere è il professionista sanitario responsabile dell’assistenza infermieristica.

Art.2 – L’assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa.

Si definiscono in modo preciso ed univoco le attività, le competenze, principi etici e morali quali l’infermiere è tenuto ad attenersi. Viene definito in modo specifico cos’è l’assistenza infermieristica e viene individuato come unico responsabile di quest’ultima l’infermiere; il quale viene riconosciuto come un professionista sanitario. Il codice deontologico è quindi la normativa più importante a cui l’infermiere deve far riferimento nelle scelte professionali quotidiane.

Se fossi nei panni di un operatore socio-sanitario mi guarderei bene dall’assumermi determinate responsabilità e fungere da scarica-barile in caso di gravi errori. Non sempre il gioco vale la candela e bisogna anche imparare a dire di no.

Lavorare con le persone è molto diverso da lavorare con le cose, occorre una certa competenza anche psicologica e molta passione; è encomiabile trovare così tante persone negli ospedali che, nonostante tutto, ti accolgono con il sorriso e una certa disponibilità. Si dovrebbe sempre dimostrare gratitudine, perchè ‘da fuori’ non sempre si ha percezione dei ritmi forzati, dei turni di riposo saltati, della reperibilità che ti fa saltare i fine-settimana o le ferie… Ci sono un sacco di pregiudizi su chi lavora in ospedale, è la prova che si conosce poco la realtà… discorso che vale tanto quanto per la scuola.

Da pazienti poi abbiamo la necessità di poterci fidare.

Del primo e unico intervento chirurgico a cui mi sono sottoposta per asportare una vena varicosa, ho un lucido ricordo dell’attimo di panico che mi ha colta impreparata poco prima dell’anestesia parziale, e non sono di certo una fifona, lì ho capito perchè prima dell’intervento ti danno qualche goccia di Valium. È stato come se si fosse aperta una finestra e avessi visto il mio destino nelle mani altrui, un’acutissimo senso di smarrimento, che si è placato nel momento in cui ho percepito l’atmosfera di tranquillità e competenza con cui si muoveva l’équipe. Sarò sempre grata alla battuta spiritosa dell’anestesista, che storpiando il mio cognome, pronunciò quello di una famosa attrice che è nei sogni di molti uomini…
Gli sarebbe piaciuto, avere lei tra le mani… e invece… 😛

Devo dire che fa una certa rabbia rendersi conto della miseria (pure come busta-paga) con cui si contraccambia tanta devozione (a parte i lavativi… quelli non mancano mai in nessun settore) e l’abbondanza di risorse che invece vengono destinate a questi mega-ospedali che dovrebbero essere Poli Ospedalieri Unici in grado di dare più servizi, più competenza in sostituzione delle vecchie strutture… che comunque rimangono aperte! Siamo tutti così magistralmente lusingati dal sogno di avere ospedali mitici come quello del telefilm E.R. che lasciamo fare… e i costi si moltiplicano! Ma niente paura… poi si taglia sui servizi e sul personale! Come se fosse solo l’edificio, la strumentazione a fare l’ospedale!
“Tutto fumo e poco arrosto” direbbe mia madre…

Non bisogna dimenticare poi che molte di quelle vecchie strutture hanno avuto piani di ampliamento recenti, acquisti folli di macchinari e strumentazioni rimaste per anni e anni negli ambulatori chiusi, per mancanza dei tecnici specializzati che le sapessero usare, mai assunti!
La Sanità italiana ha una lunga e complessa storia alle spalle.

Leda

Storia della Sanità. Gli Enti Locali

 

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