La magia del Natale – racconto

Erano i primi anni del duemila quando il maggiore dei miei figli tornò a casa da scuola turbato. Seduto davanti a un piatto fumante di minestra, si decise a pormi la fatidica domanda: «Mamma, ma esiste davvero Babbo Natale?». Le mani in grembo, il capo un po’ inclinato, l’espressione un po’ contrita, gli occhi fissi sul bicchiere capovolto… era in attesa di una risposta.

D’istinto gli dissi: «Dipende da te. Se ci credi Babbo Natale esiste, se non ci credi, allora no.» Le spalle si abbassarono, parve sollevato e prese a mangiare con appetito.
In ballo non era tanto l’esistenza o no di Babbo Natale, a 8 anni un bambino sa farsi delle domande quando di anno in anno trova i regali sotto l’albero (da dov’è entrato Babbo Natale? Come fa a portare i doni ai bambini tutti in una notte? Perché ci sono tanti Babbo Natale e non uno solo?…) e impara che a volte è meglio non cercare troppe risposte, se no finisce la magia.
Il suo, era più un turbamento dovuto al fatto che averci creduto per tutti quegli anni, fosse stato da sciocchi.

Visto che si era rasserenato, gli chiesi come mai quella domanda, e mi rispose che in classe quella mattina il maestro ne aveva parlato, prendendo un po’ in giro chi ancora ci credeva. Mah, credo che noi adulti abbiamo un gran difetto, pecchiamo spesso di presunzione, siamo troppo disincantati e pretendiamo che lo siano anche i bambini. Invece abbiamo sempre bisogno di imparare e reimparare, dai bambini di sicuro, il senso della gioia, della fantasia e dell’immaginazione.

Babbo Natale viene di notte
viene in silenzio a mezzanotte.
Dormono tutti i bimbi buoni
e nei lettini sognano i doni.
Babbo Natale vien fra la neve,
porta i suoi doni là dove deve.
Non sbaglia certo: conosce i nomi
di tutti quanti i bimbi buoni.

C’è un aneddoto legato a Babbo Natale, che ci fa sempre sorridere quando lo ricordiamo. A tre anni aveva iniziato a frequentare la scuola dell’infanzia e già da tempo teneva il ciuccio solo durante il sonno o nei momenti di crisi, quando era molto stanco. Verso la fine dell’estate era rimasto molto turbato da una cuginetta, di qualche anno più grande di lui, che portava un apparecchio ortodontico esterno. Chiese perché portava quel coso e gli fu risposto che serviva a raddrizzare i denti, che erano cresciuti storti perché aveva usato troppo il ciuccio, e che ora quel ciuccio ce l’aveva Babbo Natale a cui l’aveva regalato il Natale precedente.
Così colsi lo spunto e quel Natale decidemmo insieme di fare uno scambio equo con Babbo Natale: il suo ciuccio in cambio di due regali. Ci costò una cifra perché desiderava tanto una moto elettrica della Polizia (a grandezza di bambino) e una Jeep radiocomandata, ma ne valeva la pena per una decisione così importante e superammo “in dolcezza” lo stacco, così difficile e delicato dal ciuccio.
Fu un rito vero e proprio. Ricordo come fosse ora la sua meticolosità nell’aiutarmi a preparare sul tavolino, accanto all’albero, il piattino con i biscotti, il bicchiere di latte e un messaggio che avevo scritto insieme a lui per Babbo Natale, in cui raccomandava di avere cura del suo ciuccio e lo ringraziava in anticipo per i doni. Con decisione diede due-tre belle ciucciate di gusto, se lo tolse di bocca e lo pose accanto alla letterina, si voltò e corse a nanna.
Fui davvero stupita di tanta determinazione in un bambino così piccolo, c’era stata sì, tutta una preparazione, ma tra il dire e il fare… Incredibilmente dormì tutta la notte, il ciuccio sparì e nei giorni seguenti, seppur si vedesse che un po’ gli mancava, l’unica cosa che fece fu di domandarmi cosa ne avrebbe fatto Babbo Natale. Per i bambini è importante poter visualizzare, così gli spiegai che Babbo Natale aveva una bella vetrina trasparente dove avrebbe messo il suo ciuccio accanto a quelli degli altri bambini, con davanti un cartellino con il suo nome, così ogni tanto lo avrebbe guardato, pensando a che bambino bravo e coraggioso era stato.

Il bambino istintivamente è portato a succhiare e ciò, una volta reciso il cordone ombelicale, gli consente di nutrirsi. Fin dai primi mesi di vita usa lo stesso modo anche per entrare in contatto con il mondo che lo circonda: porta tutto alla bocca, esplora e conosce gli oggetti, sente i sapori, la consistenza, sensazioni che gli procurano piacere.
Freud la definì la fase orale, che in psicoanalisi è considerata la prima fase dello sviluppo psicosessuale.
Il ciuccio riproduce la sensazione piacevole legata al nutrimento, ma aiuta il bambino anche a tranquillizzarsi quando sta male, si sente solo, quando ha paura, diviene una specie di sostituto quando la persona che lo nutre è assente. Impara così ad autoconsolarsi e a diventare man mano più autonomo, sia fisicamente che emotivamente.
L’importante è che il ciuccio sia in funzione del bambino e non dell’adulto, per cui non va dato ogni volta che piange per farlo smettere, ma sarà più opportuno capire prima perché piange, di cosa ha bisogno e nel caso dargli il ciuccio. Quando è più grandicello è meglio non lasciarlo sempre a sua disposizione, ma darglielo quando lo chiede e provare prima a distrarlo con qualche gioco, magari si stava solo annoiando, e la sua curiosità una volta stimolata è talmente viva che spesso arriva a dimenticarsene.
Riguardo a eventuali danni alle arcate dentarie, le opinioni sono discordanti; in ogni caso è buona regola “dosarne” l’uso e cercare di negoziare con il bambino i momenti di vera necessità, rendendolo così protagonista della sua crescita.
Con le moderne ecografie in 3D si è visto che già durante la vita intrauterina alcuni bambini si succhiano il pollice, che ha la stessa funzione del ciuccio, con la differenza che il bambino l’ha sempre a disposizione. Inutili, spesso controproducenti, se non addirittura dannosi, tutti quei tentativi di dissuadere il bambino a non succhiarsi il pollice (smalti amari, pepe, cipolla sfregata sul pollice…).
Con la stessa ottica va letta l’abitudine che hanno alcuni bambini di manipolare tessuti morbidi al tatto, di annusarli, di tenere sempre con sé una copertina, come il famoso Linus dei Peanuts.

Abbiamo sempre così tanta premura noi adulti, affinché il bambino superi determinate fasi di crescita, per poi finire a lamentarci che son cresciuti troppo in fretta! Invece è importante rispettare i tempi e i bisogni, che per ogni bambino sono diversi.

Un altro aneddoto di qualche mese prima. Stavamo tornando dalla passeggiata, mio figlio con il suo ciuccio era pronto per il sonnellino, quando incontrammo una signora che conoscevo, e gli disse in malo modo: «Butta via quel ciuccio che sei grande!» insistendo sul fatto che era un vizio e che glielo dovevo togliere: «un bel ZAC! Lo tagli con la forbice e si mette il cuore in pace.»
Certi adulti hanno un concetto molto vago di cosa sia il rispetto altrui e la crudeltà a cui sottopongono il prossimo, perché un figlio, un bambino, prima di tutto è una persona che ha un suo carattere, che va capito e rispettato, se si vuole un futuro adulto equilibrato e felice.
E poi il vizio è ben altro… sapevo che lei era un’accanita fumatrice, così non persi l’occasione per farla riflettere e le chiesi se lì per lì sarebbe stata disposta a rinunciare alle sigarette. Bofonchiando disse: «Certo che no!» non riusciva a cogliere la similitudine tra il suo VERO vizio del fumo, certamente nocivo, e il cosiddetto “vizio” del ciuccio. In entrambi i casi si cerca di compensare qualcosa che manca. E l’adulto certamente è più in grado di capire e di trovare soluzioni.

È una questione di punti di vista:
come gli aquiloni,
che pensano che la terra sia attaccata al filo.

Enzo Iacchetti

È tempo di Natale
non fermate le campane.
E’ tempo di Natale,
lasciatele suonare in pace.

 

Christmas Time (don’t Let The Bells End)- Darkness (2003)

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