L’Arte venatoria


Il cacciatore di Adriaen-Cornelisz Beeldemaker (sec.XVII)

Era ancora buio quando mia madre mi svegliava e mi avvertiva che mio padre era giù di sotto, nella Fiat 750 (quella con le portiere che si aprivano al contrario) a farla scaldare, cosicchè quando ci salivo non prendevo freddo. Una colazione frugale e ben imbacuccata mi fiondavo giù, entravo nell’abitacolo al calduccio con il puzzo del motore che mi arrivava, e si partiva. Tenevamo pure una coperta tipo militare, da mettere di traverso sulle ginocchia per proteggerci dagli spifferi. La strada era tutta in salita, in mezz’oretta saremmo arrivati al roccolo, uno spiazzo circondato da alberi che mio padre aveva in comodato d’uso da un suo amico di vecchia data, dove aveva costruito un casotto in cemento. Dopo quella volta che fu derubato di tutte le gabbie con gli uccelli che teneva nel retro, per blindare la porta aveva elaborato un sistema che solo lui sapeva come far scattare, per poi sfilare le sbarre di ferro interne.
La parte davanti del casotto aveva le dimensioni di uno sgabuzzino ma era riuscito a farci stare anche una brandina con materasso che si abbassava a mo’ di ribaltina, dove potevo continuare a dormire se avevo ancora sonno. Ma io preferivo rimaner seduta in un angolino ad osservare con quanta calma e metodo sistemava la legna e accendeva il fuoco nel caminetto ad angolo, riponeva sul ripiano la tovaglietta in cui erano avvolte la polenta e le salsicce crude che mia madre aveva preparato. Disponeva poi le cartucce sulla mensolina sotto le feritoie lunghe e strette, le apriva, sbirciava fuori e mi avvertiva se stava albeggiando, così salivo sullo sgabello e stavamo così, in silenzio ad ascoltare… «Ecco, senti il fringuello!» e si sentiva un canto vivace, accompagnato dal chiacchiericcio del passero e dallo scricciolo, piccolino ma caparbio che dava il tempo. «… e questo è il tordo!» un verso insistente come se volesse rispondere a tutti, «eccolo, lui!…» il merlo che imperioso sovrasta su tutti. Lungo gli anni più volte gli chiesi come facesse a distinguere gli uccelli in mezzo a tutto quel fogliame, alzava le spalle e diceva «…un cacciatore lo sa» poche parole per qualcosa che si poteva solo intuire.

A mio padre, cacciatore “vecchio stile”, piuttosto che a vagare per la campagna gli piaceva la caccia da appostamento fisso. Più che per la selvaggina da portare a casa gli piaceva il rituale della caccia, i preparativi, l’atmosfera di attesa, l’appartenere a un luogo speciale, il prendersi cura degli alberi e del sottobosco. Gli piaceva avere qualcuno con sè per condividere quei momenti, così mia madre mi convinceva a seguirlo perchè sapevo rimanere silenziosa, così da non spaventare gli uccelli.
A volte ci prendevamo il tempo per andare a funghi, se poi c’era il più giovane dei miei fratelli era tutta una comica: guardavamo nello stesso punto tra le foglie autunnali… io non vedevo nulla, eppure lui li raccoglieva, erano proprio lì, sotto al mio naso! Aveva un occhio incredibile, oppure ero io ad essere cecata. 😊
D’estate mi univo alle ragazze del luogo a pascolare le mucche, la mia preferita era Stella, tutta nera con una macchia bianca in fronte, non per niente si chiamava Stella… In verità, quando sembravano imbizzarrirsi per la puntura di qualche insetto indietreggiavo spaventata, ma la mia amica Bruna presto, con voce squillante riportava l’ordine, si sentiva il suo HO-OO… moltiplicarsi nella valle fino a sfumare, complice l’eco. E la Stella tornava docile a cacciare gli insetti con la coda… che se distratta mi avvicinavo troppo, mi frustava in faccia… 😖
In alcune occasioni mio padre accettò di cacciare per la campagna su invito di un gruppo di amici, ma non gli piaceva il comportamento di certuni che facevano razzie senza rispettare l’altrui proprietà. E poi se si faceva avanti il contadino o il guardiacaccia, ci andava di mezzo la reputazione di tutti i cacciatori. Lo trovava un tipo di caccia competitivo e un po’ impegnativo per certi versi, occorreva sapere come muoversi e prestare molta attenzione, affinchè non arrivasse una pioggia di pallini sulla strada o sulle abitazioni, che non è poi una cosa così rara.


Sosta di caccia di Charles-Andrè Van Loo,1737 (Louvre)

Col passare degli anni il graduale irrigidimento delle norme, l’evidente speculazione e il drastico calo di selvaggina, un po’ gli hanno tolto il piacere di questa passione e l’hanno convinto piuttosto a dedicarsi al florido orto che nel frattempo si era creato in un terreno vicino.
Solo uno dei miei fratelli ha ereditato la passione per la caccia e si è preso cura del roccolo, luogo a cui sono legati molti ricordi. Come quella volta del matrimonio, che mia madre doveva accompagnare mio fratello all’altare, e mio padre non si decideva a tornare dalla caccia. Poi in fretta e furia in mezz’ora era già bello e pronto, e le chiedeva con faccia sorniona come mai era così… tutta agitata. Ora accanto al casotto c’è un angolino molto rustico con tavoli e panche e d’estate capita di improvvisare qualche pic-nic o veri e propri pranzi all’aperto in piena libertà.
Mio fratello, al contrario di mio padre predilige una caccia più dinamica, esce in gruppo con gli amici di sempre, e con i cani. Diversi anni fa gli fu chiesto di partecipare a una battuta di caccia, un eccessivo numero di colombi stava creando seri problemi: all’agricoltura, ai tetti degli edifici, ai monumenti, e seri problemi igienici dovuti ai loro escrementi. Sebbene fossero state allestite le speciali gabbie a doppia porta (che permettono ai volatili di entrare spingendo una piccola tenda metallica amovibile, ma non di uscire), e i colombi catturati trasferiti in altra zona, la situazione stava diventando una vera e propria emergenza.

Non è tanto il colombo in sè ad essere un pericolo, quanto il suo ruolo nel veicolare batteri e parassiti e favorire il diffondersi di infezioni, il cui rischio è proporzionale al numero dei colombi sul territorio.
Se si verificano particolari condizioni di rischio per la salute pubblica poi, il sindaco, che è l’autorità sanitaria preposta a salvaguardare l’igiene pubblica, è tenuto a intervenire. Deve inoltre prevenire eventuali danni all’attività agricola, ahimè già messa a dura prova, e razionalizzare i costi degli interventi che ne conseguono quali il contenimento, la pulizia e il risarcimento danni.

Viene naturale chiedersi in questi tempi in cui si sta formando una certa consapevolezza nel voler preservare l’ambiente, specie per le future generazioni, se sia più etico e salutare intervenire con l’impiego di farmaci, di veleni, la sterilizzazione, oppure con la caccia che fin dall’antichità è sempre stato il metodo di contenimento e di equilibrio delle specie.

Mi vien da pensare agli anni 70-80, quando il frigorifero ancora non era entrato in tutte le case e si faceva uso di alimenti che non necessariamente richiedevano di essere conservati, poichè erano in gran parte di produzione famigliare. I prodotti commerciali venduti nelle botteghe non avevano date di scadenza, poichè non erano ancora state introdotte. In quegli anni gastroenteriti e casi di salmonella erano molto frequenti, soprattutto nella prima infanzia.
Queste, oltre ad essere molto debilitanti, richiedono una particolare cura affinchè casi isolati non si traducano in un’epidemia.

È importante la prevenzione, come lavarsi rigorosamente le mani prima e dopo aver maneggiato  il cibo. Specie per le uova, che per la preparazione di dolci in cui le uova rimangono crude (es. tiramisù) e per la dieta della prima infanzia sono preferibili quelle di allevamento che sono controllate. Per la carne che va ben cotta, sottoposta prima ad una adeguata frollatura in appositi frigoriferi, e per il pesce, specie se consumato crudo, che richiede l’uso di abbattitori a temperature molto basse, e per la frutta e verdura che vanno ben lavate. Tutte queste procedure sono necessarie per evitare lo sviluppo di microrganismi.

Mi è stato detto più volte che i colombi possono rappresentare anche un tramite di diffusione del batterio della Legionella, ma non ho trovato studi che confermino o smentiscano questa correlazione.

In quegli anni capitò anche che mio padre mi portasse al Tiro a segno. Fantastico! Si respirava un’atmosfera particolare, c’era gente un po’ dappertutto, che chiacchierava raggruppata a capannelli, chi discuteva, chi seguiva le gare. Ogni tanto si sentiva un “PULL!” e istantaneamente dal basso un piattello partiva a gran velocità segnando una traiettoria nel cielo. Ero affascinata da questa cosa, e dalla precisione con cui veniva puntualmente colpito. Il colmo è che io ho sempre avuto una mira da far schifo, ma ero così entusiasta che chiesi a mio padre di poter provare. Mi disse che non era d’uso partecipassero le donne, e manco a dirlo proprio in quel momento sparò una donna, l’unica tra i partecipanti. Al che lo guardai con faccia interrogativa… ma lui scosse la testa in segno negativo. Mio padre non ha mai fatto di queste differenze, con lui ho condiviso molte attività tipicamente maschili, per cui intuii che forse c’entrava più un discorso economico, del resto eravamo lì solo per vedere.

In quegli anni non era insolito che i ragazzi, anche minorenni, possedessero un fucile a piombini considerato quasi un giocattolo, ricordo che nelle serate estive si dilettavano a sparare ai pipistrelli. Gli incidenti erano piuttosto  frequenti, a volte anche gravi tanto da richiedere provvedimenti che la Legislazione italiana ha provveduto a disciplinare.

Oppure da bambini ci costruivamo delle rudimentali fionde con un pezzo di legno a forcella, un rettangolino di pelle e due elastici ricavati dalle camere d’aria delle ruote della bicicletta. Più di tanto non si tendevano e l’oggetto lanciato al massimo faceva cadere un barattolo, ora invece occorre fare attenzione perchè sulle bancarelle dei mercatini si trovano fionde molto potenti, che sono delle armi vere e proprie pur presentandole come giocattoli.

La fionda è una piccola arma da lancio manuale costituita da una impugnatura che si biforca in due rami. Ciascuna estremità è unita da un laccio elastico al cui centro viene posta una toppa atta ad ospitare il proiettile.
Già nell’antichità la fionda era usata come arma. La si trova nell’Eneide, impugnata da Mezenzio durante la guerra tra italici e troiani: con essa il tiranno etrusco colpisce a morte un giovane siculo (figlio di Arcente), che aveva lasciato la sua patria per aggregarsi a Enea.
Nella Bibbia è Davide a uccidere con un sasso scagliato dalla sua fionda il gigantesco filisteo Golia.
La scoperta di fibre dalle caratteristiche elastiche maggiori e l’utilizzo per l’impugnatura di materiali più leggeri e resistenti ha portato alla produzione di fionde con una capacità di lancio notevolmente superiore a quelle iniziali.

Leda

 

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