Il Vittoriale – Lago di Garda

IL VITTORIALE
GARDONE RIVIERA

Gabriele D’annunzio dopo l’impresa di Fiume, acquista nel 1921 la villa di Cargnacco sulla collina di Gardone Riviera (Brescia). Verrà ristrutturata dall’architetto Gian Carlo Maroni che interpretando il gusto e il volere di D’Annunzio darà corpo al Complesso Museale del Vittoriale.
Nel 1925 viene dichiarato monumento nazionale che lo Stato Italiano erediterà dopo la  morte di D’Annunzio, il quale con un sottile gioco beffardo ne fa dono agli Italiani ottenendo in cambio i finanziamenti necessari a rendere la dimora sempre più grandiosa. Questo fa leggere nella sua vera chiave uno dei motti più celebri, che sta iscritto proprio all’ingresso del Vittoriale:

“Io ho quel che ho donato”

Il D’Annunzio vi trascorre gli ultimi 17 anni di vita, in questa “custodia di pietra” che racchiude le sue memorie, con una splendida vista sul Lago di Garda che gli ispirerà dei versi commossi.

“Tutto è azzurro,
come un’ebbrezza improvvisa,
come un capo che si rovescia
per ricevere un bacio profondo.
Il lago è d’una bellezza indicibile”

 

Il Vittoriale è, dunque, un complesso di edifici, vie, piazze, teatri, giardini, e corsi d’acqua.
Dal doppio arco d’ingresso affacciato sul Lago di Garda si accede alla casa del poeta: la Prioria trasformata e arredata dallo stesso Gabriele D’Annunzio, è davvero unica e riflette la personalità ed il “vivere inimitabile” del poeta, la sensualità del suo temperamento, intesa come abbandono gioioso alla vita dei sensi e dell’istinto, per scoprire l’essenza profonda e segreta dell’io (che è poi quella stessa della natura).


La Prioria è formata da una ventina di ambienti tra cui:

La Stanza della Musica

È completamente rivestita di damaschi neri e oro per agevolare l’acustica e la riflessione.

La Zambracca

Situata accanto alla camera da letto, è una stanzetta un po’ spogliatoio un po’ luogo di lavoro e meditazione, sul cui scrittoio D’Annunzio preferiva consumare del cibo frugale, un tè, dei biscotti.
È qui che il poeta morì la sera del 1 marzo 1938 all’età di 75 anni.

La Stanza della Leda

È la camera da letto del poeta. Prende il nome da un gesso raffigurante il mito di Leda amata da Zeus trasformatosi in cigno. Sulla porta il motto “Genio et voluptati“.
Di donne, grazie anche alla sua fama, fu circondato fino all’ultimo. Erano, quegli incontri, momenti di furore creativo.

Il Bagno Blu

La stanza raccoglie al suo interno circa 850 oggetti che alimentano quel senso di horror vacui ossia paura del vuoto, divenuto qui simbolo del superfluo e accessorio.

La Stanza del Lebbroso

Pensata come camera ardente, è luogo dove il poeta si ritirava a meditare sulla morte. Il letto, in posizione dominante, è chiamato “letto delle due età“, perché nelle sue forme ricorda al contempo una culla e una bara: simboleggia la morte come fine e come inizio di una nuova vita.
Qui fu deposto il suo corpo senza vita.
Pare avesse un desiderio piuttosto originale: voleva che dopo la sua morte fosse esposto, una volta tagliato, il suo orecchio sinistro, che considerava la parte più perfetta del suo corpo. Ma il desiderio restò tale, e la sua salma integra.

Lo Scrittoio del Monco, è una saletta al piano superiore dove il Vate usava ritirarsi a sbrigare la corrispondenza.
Non potendo o non volendo rispondere a tutti, ironicamente si fingeva monco e quindi impossibilitato a scrivere.

L’Officina

Così D’Annunzio chiamava il suo studio perchè si definiva operaio della parola, dove trascorreva la maggior parte del tempo.

Sulla trave d’ingresso è scritto “Hoc opus Hic labor est” (dov’è l’opera lì è il lavoro).
Grazie ad uno stratagemma architettonico il Vate volle abbassare l’architrave della porta d’ingresso, così che chiunque salisse i tre scalini che la precedevano doveva chinarsi di fronte all’Arte per entrare, lì, dove nasce.

È l’unica stanza vagamente normale di tutto il Vittoriale: grande, luminosa, con pareti dal muro visibile. Due scrivanie per lavorare in contemporanea, senza dover attendere che l’inchiostro si asciughi. Libri, cofani e cofanetti, vocabolari disposti su scaffali obliqui, a portata di mano. Un busto di Eleonora Duse, pronta a vegliare sui momenti creativi; ma su quella presenza ingombrante, destinataria d’amore e di rimorso, D’Annunzio posava un foulard ogni volta che entrava.

La Stanza di Cheli

È la sala da pranzo, che deve il proprio nome alla presenza di una tartaruga posta a capotavola.

La tartaruga, ricevuta in dono dalla marchesa Luisa Casati Stampa, morì nei giardini del Vittoriale per indigestione di tuberose. Divenne allora simbolo di morigeratezza: la sua presenza a tavola doveva essere di monito all’ingordigia dei convitati.

Capitava si avessero ospiti a pranzo, ma difficilmente egli si sedeva a tavola per cui gli onori di casa spettavano alla sua discreta compagna, la pianista veneziana Luisa Baccara.

Al Vittoriale in una dépendance, chiamata Villa Mirabella, visse anche la moglie di D’Annunzio, la duchessa Maria Hardouin dei Duchi di Gallese, una nobile italiana che fu la prima e unica moglie di Gabriele D’Annunzio. Ebbe il titolo di Principessa di Montenevoso, dopo la nomina di D’Annunzio a questo titolo nobiliare, creato motu proprio da Vittorio Emanuele III Re d’Italia, su proposta del primo ministro Benito Mussolini per il poeta e condottiero della Prima Guerra mondiale e dell’Impresa di Fiume Gabriele D’Annunzio.

Tutti i locali della Prioria sono immersi nella penombra, in quanto D’Annunzio soffriva di fotofobia in seguito a una ferita all’occhio. Poichè detestava il rumore, pavimenti, pareti, soffitti sono ricoperti di tappeti, stoffe, drappeggi. Le librerie custodiscono una biblioteca di 33.000 volumi di letteratura, storia, arte e diverse edizioni pregiate e antiche.

Le stanze appaiono sovraffollate di oggetti, chi li ha contati giura che nelle stanze del Vittoriale ci siano diecimila oggetti (novecento dei quali nel bagno), ma l’impressione è che siano infinitamente di più: sono 500 solo i cuscini. Ebbene, ciascuno è carico di un significato, o gravato di un simbolo, o contiene un motto, o ricorda un avvenimento. Tutto è elevato a racconto, a testimonianza, in un solitario viaggio immaginario, lento, faticoso.

“Non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me un modo di rivelazione spirituale, come uno dei miei poemi…

Su piazza Dalmata che è la piazza principale del Vittoriale, si affacciano oltre alla Prioria anche Palazzo Schifamondo (nome preso a prestito da D’Annunzio da palazzo Schifanoia, celebre residenza estiva degli Estensi di Ferrara) che avrebbe dovuto diventare la nuova residenza del poeta, ma che alla sua morte non era ancora stato terminato. Il palazzo venne pensato come un transatlantico, con tanto di oblò, vetrate alabastrine, stanze rivestite di legno, corridoi alti e stretti e uno studio che ricorda il ponte di comando di una nave.
Al suo interno vi è l’Auditorium al cui soffitto è sospeso l’aereo biposto SVA 10, utilizzato per il volo su Vienna nel 1918, e il Museo della Guerra  che ospita cimeli ed eroiche reliquie.


Aereo biposto SVA 10

I giardini del Vittoriale presentano un notevole significato storico-ambientale.
Nella parte inferiore della villa, verso il lago, si trova il cosiddetto “Giardino segreto“, che accoglie splendide terrazze digradanti, antiche limonaie, spazi consacrati alla meditazione.
Sul versante opposto, parte invece una scalinata che porta alla “Fontana del delfino“.
A pochi passi dalla Fontana del Delfino sulla sinistra si trova la rimessa in cui è custodito il MAS 96, a memoria della beffa di Buccari del febbraio 1918.


motoscafo MAS 96

Nel punto più alto del colle c’è il Mausoleo degli Eroi dove sono conservate le spoglie di Gabriele D’Annunzio e di alcuni legionari che presero parte alla spedizione di Fiume.

Poco più in basso, montata su un pendio e simbolicamente rivolta verso l’Adriatico, vi è la parte anteriore della nave militare Puglia, donata dalla Marina Militare nel 1925. Sulla nave che si trovava nelle acque di Spalato, nel 1920 vi trovò la morte Tommaso Gulli, simbolo della lotta fra italiani e slavi sulle terre contese dell’Adriatico orientale.

Nella parte inferiore del giardino vi è il “Laghetto delle danze” creato appositamente dall’architetto Maroni a forma di violino, nel quale sfociano due ruscelli: uno detto dell’Acqua Pazza, volutamente accidentato, e l’altro dell’Acqua Savia, più tranquillo creato per offrire riparo.


Il Giardino delle Danze

Subito dopo il doppio arco d’ingresso, affacciato sul Lago di Garda vi è il teatro chiamato da D’Annunzio “Parlaggio“, la cui configurazione arieggerà quella del teatro antico. La sua costruzione iniziò nel 1934, ma il Vate non lo vide mai ultimato.

D’Annunzio strinse un appassionato sodalizio artistico ed esistenziale con l’attrice Eleonora Duse che lo appassionò a scrivere per il teatro e si fece promotore e sostenitore per il recupero dei teatri all’aperto quali luoghi ideali per rappresentazioni di drammi classici.

Capiente di ben 1500 posti, con una splendida vista sul lago, il teatro ospita tuttora nei mesi estivi una prestigiosa stagione teatrale.

Ebbi occasione di visitare il Vittoriale una prima volta nel 1981 e una seconda volta nel 1987 e volentieri ci ritornerei, perchè è davvero un luogo affascinante e coinvolgente, perchè “si tocca con mano” la vita di un grande poeta, se ne respira l’atmosfera.

Si ritiene che D’Annunzio sia stato vittima di un ostracismo che lo ha inspiegabilmente relegato tra gli scrittori minori, travolto nell’equivoco rapporto con il fascismo.
In realtà egli ha cambiato un’epoca, riscuotendo successo di vendita e fama, orientando le mode, seducendo donne bellissime, dominando anche in giornalismo, teatro, cronaca e sport.
Non ebbe una poetica ben definita, perché, data la sua straordinaria abilità nel captare i gusti e le tendenze delle letterature europee allora contemporanee, ne riecheggiò i motivi e le forme mutando continuamente la poetica stessa.

Leda

Voglio un amore doloroso, lento,
che lento sia come una lenta morte,
e senza fine (voglio che più forte
sia della morte) e senza mutamento.

Voglio che senza tregua in un tormento
occulto sien le nostre anime assorte;
e un mare sia presso a le nostre porte,
solo, che pianga in un silenzio intento.

Voglio che sia la torre alta granito,
ed alta sia così che nel sereno
sembri attingere il grande astro polare.

Voglio un letto di porpora, e trovare
in quell’ombra giacendo su quel seno,
come in fondo a un sepolcro, l’Infinito.


VOGLIO UN AMORE DOLOROSO
Gabriele D’Annunzio

 

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