I peperoncini piccanti

I peperoncini si caratterizzano per il loro sapore piccante, molto diverso dal gusto dolciastro e speziato dei peperoni, perciò è bene imparare a distinguerli.

Pur provenendo dalla stessa famiglia la Capsicum annuum, il peperoncino si differenzia dal peperone poiché contiene la capsaicina, un alcaloide presente in diverse concentrazioni a seconda delle varietà che determina il grado di piccantezza, e produce una sensazione di bruciore.
La piccantezza di un peperoncino si indica utilizzando la scala di Scoville, che misura la quantità di capsaicina contenuta. Essa prende il nome da Wilbur Scoville, un chimico statunitense che nel 1912 ideò il SOT (Scoville Organoleptic Test), un test che permette di capire quanto sia piccante un peperoncino.


Scala Scoville illustrata a un mercato di Houston, Texas 

I capsaicinoidi sono un ingrediente degli spray per la difesa personale. Quando lo spray viene a contatto con la pelle, in particolare con gli occhi o le mucose, produce temporaneamente un dolore intenso e difficoltà respiratorie, può provocare anche reazioni allergiche alla capsaicina.

Spray urticanti – La reazione immediata a questi spray oltre al bruciore intenso, è come se mancasse l’aria e la reazione istintiva è allontanarsi rapidamente, pertanto l’uso nei luoghi chiusi e affollati è molto pericoloso.
L’uso dello spray urticante è legale esclusivamente come strumento di autodifesa per chi ha compiuto 16 anni. Infatti, ogni altro uso è vietato dalla legge e comporta responsabilità sia penali che civili (condizioni e le caratteristiche sono stabilite dal Decreto Ministeriale n. 103 del 12 maggio 2011). La vendita di questo prodotto però in Italia non è stata ben regolamentata perciò si può trovare ovunque.
Uno spray con capsaicinoidi professionale antiaggressione con una gittata maggiore, è riservato esclusivamente alle Forze armate e alle Forze dell’ordine per gestire situazioni ad alta tensione.
Uno spray anti-orso (bear spray) più concentrato e sempre a lunga gittata è riservato alla Guardia forestale, mentre la detenzione e l’uso per i privati in Italia sono illegali.

In Messico esiste un’incredibile varietà di peperoncini, mentre nelle nostre regioni italiane la scelta è più ridotta.
I peperoncini piccanti sono in genere molto piccoli a forma allungata, dalla buccia sottile, dal colore verde o rosso oppure verdi striati di rosso. Contengono piccoli semi quasi bianchi dall’aspetto innocuo, attenzione però alla parete bianca interna dove sono attaccati, è l’elemento più piccante.

Il peperoncino viene usato come spezia, come condimento, serve per aromatizzare e insaporire numerose vivande e non va mangiato crudo… anche se in America latina esistono concorsi per mangiatori di peperoncini!

I peperoncini si possono conservare in salamoia o nell’aceto. Quelli rossi essiccati sono venduti interi o in polvere e si possono conservare come le altre spezie.

Alcune spezie

Da alcune varietà di questi frutti con elevate percentuali dell’alcaloide capsaicina, si ottiene la paprika, una polvere rosso vivo di sapore caratteristico che si trova sia nella varietà dolce che in quella piccante e si usa nella preparazione di sughi, intingoli e salse, ma anche nella preparazione di frittate, carne in umido, minestre, purè di patate, per condire il formaggio bianco, ecc.
Giunta a noi dai Balcani, la paprika è una spezia di cui si fa largo uso in Ungheria, indispensabile per preparare il tradizionale goulash.

Con i peperoncini, una volta essiccati e macinati si ottiene il cosiddetto peperoncino di Caienna, che si può produrre anche mescolando dei peperoncini rossi con farina di frumento per fare delle specie di biscotti, che vengono poi ridotti in polvere. Il peperoncino di Caienna permette di insaporire il pollo alla diavola e le uova sode, mettetene una piccola dose nel soufflé di formaggio, nella torta di porri o di cipolla, integratelo nella marinata per il pesce.
Il suo nome deriva dalla città di Caienna, capitale dipartimentale della Guyana francese, una regione ultraperiferica dell’Unione europea che si trova nel continente sud americano.

Il peperoncino può essere aggiunto al garam masala, una miscela di spezie di origine indiana in genere composto da cardamomo, chiodi di garofano e cumino in parti uguali, a cui si possono unire molte altre spezie: pepe, noce moscata, cannella, ecc. In genere la miscela non è particolarmente forte e si consiglia di aggiungerla a fine cottura perché conservi tutto il suo sapore. Può essere utilizzata per condire carni in salsa, pesce, frittate, verdure, e in genere nelle salse alla panna.

Anche nel curry può essere presente il peperoncino, è una miscela di spezie che viene dall’Estremo Oriente, dall’India e dalle isole Mauritius. In India la miscela può comportare fino a 70 spezie diverse tra le quali: curcuma, zenzero, noce moscata, coriandolo, chiodi di garofano, cannella, cardamomo, ecc.
Tanto il sapore quanto la forza di questa miscela possono variare moltissimo secondo la composizione. Serve a insaporire ogni tipo di cibo: la salsa bianca, la maionese, tutte le carni e le verdure. Si possono condire anche le insalate miste e insalate verdi. Naturalmente il curry è l’elemento principale delle ricette indiane e indocinesi che prendono il suo nome.
Si consiglia di conservare il curry, come peraltro tutte le spezie, in flaconi o scatole ermetiche, protette dalla luce e dall’umidità. È bene comprarle in piccole quantità perché non perdano l’aroma col tempo.

Dalla varietà capsicum frutescens, un peperoncino dal frutto piccolo e appuntito di colore rosso o verde originario del Messico e dell’India, si ottiene il chili una delle spezie più forti che ci siano, utilizzato in abbondanza nella cucina messicana. Lo si trova fresco o secco, intero o in polvere e anche mescolato ad altre spezie. Dosandolo con prudenza  lo si può utilizzare per profumare il formaggio, i legumi e le verdure.
La salsa chili, così come il tabasco sono condimenti liquidi molto forti, basta qualche goccia a insaporire la vinaigrette e i piatti di verdura, le preparazioni a base di formaggio e il succo di pomodoro.

Con la cultivar Tabasco della stessa specie di peperoncino, viene infatti preparata la salsa tabasco con aceto, la cui ricetta originaria vide la luce a New Orleans in Louisiana nel 1859. Secondo la tradizione i peperoncini vengono raccolti a mano e devono avere un giusto grado di maturazione indicato dal colore rosso della bacca, per questo i raccoglitori portano con sé un bastoncino, il “petit baton rouge” che indica il tono preciso di rosso.

Cultivar (cv.) è il termine col quale in agronomia s’intende una varietà di pianta coltivata ottenuta con il miglioramento genetico,  i  cui specifici caratteri sono trasmissibili con la propagazione sia per seme sia per parti di pianta.
Va distinta dagli ibridi, cioè piante coltivate ottenute con il miglioramento genetico attraverso l’impollinazione, così da modificare alcuni caratteri, farne emergere di nuovi, costituire nuove varietà, e tali caratteri non sono replicabili (nel caso di animali, ibridi sono il mulo e il bardotto).

Il nome della cultivar e della salsa, deriva da Tabasco uno stato del Messico sud-orientale. L’uso esclusivo del marchio della salsa Tabasco registrato negli Stati Uniti, ma che porta il nome di uno stato messicano, è un fatto curioso ma non unico: una situazione equivalente si ha riguardo a un prodotto IGP  detto “salsa calabra”, ma registrato in Spagna.

Il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) viene attribuito dall’Unione Europea a prodotti agricoli e alimentari considerati di alta qualità e reputazione, fortemente legati a uno specifico territorio di origine. Per ottenere il marchio IGP è sufficiente che almeno una delle fasi di produzione, trasformazione o confezionamento avvenga nella zona d’origine (le materie prime possono provenire anche da fuori), a differenza del marchio DOP per cui ognuna di queste fasi deve avvenire nell’area geografica delimitata.

Il marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) è una particolare tutela giuridica che l’Unione Europea attribuisce a prodotti che devono soddisfare determinati requisiti, che sono specificati in un apposito disciplinare di produzione.

In commercio si trovano altre preparazioni a base di peperoncino molto piccanti:
la harissa, tipica dell’Africa del Nord, specie in Tunisia, è una salsa con aggiunta di aglio e pomodoro che ha la consistenza simile a quella del concentrato di pomodoro;
il pili-pili africano fatto con olio adatto per condire le verdure;
la pasta o purè di peperoncino preparata dai cinesi con olio, aceto, zucchero, peperone.
Qualche goccia o la punta di un coltello aggiunte a una salsa sono sufficienti a insaporire una normale preparazione.

Nel maneggiare i peperoncini, occorre una certa cautela: contengono un olio piccante che può provocare bruciore se viene a contatto con gli occhi, con la mucosa del naso o della gola. Lavatevi bene le mani dopo averli utilizzati.

Per prepararli staccate i peduncoli, aprite i peperoncini a metà e togliete i semi. Poi lavateli, soprattutto internamente.
Per i peperoncini essiccati: copriteli con acqua calda e lasciateli in ammollo per un’ora. Sgocciolateli e togliete i semi. Utilizzate l’acqua di ammollo per aromatizzare qualche cibo.
I metodi tradizionali di conservazione sono la marinatura in aceto oppure l’essiccazione e l’infilatura.
Sono il condimento ideale per accentuare il sapore di piatti di riso o di verdure. Sono soprattutto utilizzati in tutti i cibi speziati, nella cucina latino-americana e in quella indiana nella preparazione dei sambar di cui esistono numerose varianti: si tratta di una zuppa o stufato a base di verdure il cui sapore dipende soprattutto dalle spezie che vengono aggiunte.

Il peperoncino calabrese

È il nome comune di una serie di cultivar di peperoncino tipico della Calabria. Di media piccantezza le varietà sono molte, come ampio è il loro uso: alcuni ben maturi si prestano ad essere mangiati crudi, oppure sott’olio, altri a vivacizzare un piatto di lattuga, quelli dalla forma rotonda in particolare si prestano bene per essere farciti, altri ad essere essiccati e polverizzati.

Il peperoncino è una spezia  diffusa e apprezzata in tutto il Sud del nostro paese e va ad aromatizzare un gran numero di pietanze, come creme e salumi piccanti, tipo la soppressata di Calabria DOP (denominazione di origine protetta) con tanto di disciplinare per la sua produzione (masaf.gov.it).

Così come la ‘Nduja, un salume di consistenza morbida e dal sapore particolarmente piccante che trova le sue origini a Spilinga (Vibo Valentia), cittadina calabrese alle pendici del Monte Poro. Nata come cibo povero per utilizzare le parti secondarie del maiale come cotiche e frattaglie, la ‘Nduja nel corso del tempo ha avuto un’evoluzione tale da renderla un prodotto ricercato anche all’estero. Preparata con le parti grasse del maiale e con abbondate peperoncino piccante calabrese, che per le sue proprietà antisettiche e antiossidanti fa sì che la ‘Nduja non abbia bisogno di conservanti e coloranti, viene poi insaccata nel budello cieco (orba) per poi essere affumicata e quindi stagionata.
Per tutelare la ricetta tradizionale e la zona tipica di produzione è stato avviato il processo per l’ottenimento di una denominazione europea.

Con la ‘Nduja si possono insaporire sughi, pietanze di carne, piatti a base di legumi, frittate, valorizzare crostini e bruschette, condire pizze e soprattutto la pasta a ru firriettu, che nella regione più meridionale del tronco peninsulare, sotto i Romani Brutium, veniva preparata in ogni casa. Con una lunga pratica, agilissime dita e l’ausilio di un ferretto, che originariamente consisteva in una robusta cannuccia palustre sostituita in seguito dal ferro delle calze, lavorando un impasto a base di farina di grano duro e acqua, un pizzico di sale, senza il rinforzo delle uova, si ottengono dei maccarruni perfetti, chiamati anche ‘perciatelli’. I bucatini calabresi confezionati a mano sono dagli storici considerati come parenti stretti dei makarios greci, da cui deriverebbe il termine maccheroni, in senso traslato “cibo che dona la felicità”.

Tipiche specialità calabresi, molto simili a quelle che deliziarono i marinai del ‘cargo’ dei Bronzi di Riace, sono la pitta chicculiata, una pizza resa più vivace dal peperoncino piccante, e la pitta maniata (cioè manipolata a lungo), che si compone di due dischi di pasta da pane, farciti nel mezzo da un ricco ripieno di uova sode, ricotta, provola, soppressata.

I Bronzi di Riace sono due magnifiche statue in bronzo di origine greca che rappresentano due antichi guerrieri, databili tra il 460 e il 430 a.C. si presume possano provenire da Argo, antica città dell’Argolide nel Peloponneso.
Rinvenute nel 1972 sui fondali del Mar Ionio nei pressi di Riace Marina (Reggio Calabria) sono giunte fino a noi straordinariamente conservate. Dopo il restauro completato nel 1981, i Bronzi di Riace sono esposti al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.

La ‘Nduja si può accompagnare anche ai formaggi tipici del Sud Italia, dove la tradizione casearia si caratterizza per la tecnica detta “a pasta filata”, che è stata messa a punto nei secoli per garantire la conservazione e la salubrità dei formaggi di latte vaccino tipici del Sud Italia come: mozzarelle, scamorze, provoloni e naturalmente i caciocavalli, tutti ottenuti con questo metodo.

Tipico di queste zone è il Caciocavallo Silano DOP che ha le sue origini nell’altopiano della Sila. È un formaggio ottenuto da latte vaccino di differenti razze, tra queste quella podolica.

La razza bovina podolica è una razza molto rustica, che mal si presta a uno sfruttamento intensivo poiché produce poco latte ma di altissima qualità, e necessita di essere allevata allo stato brado o semibrado e per questo la sua carne è di qualità eccellente.
Un tempo la podolica era la razza dominante nel nostro Paese, attualmente è ancora presente nell’Appennino meridionale e va assolutamente salvaguardata perché è parte integrante del territorio, e per il suo latte che garantisce l’alta qualità dei formaggi.

In Italia è intorno al 1923 che si inizia a parlare seriamente della creazione di aree naturali protette e dei primi parchi nazionali. Nel 1968 dopo un lungo iter, venne istituito il Parco Nazionale della Calabria che venne soppresso nel 2002, con l’istituzione ufficiale e definitiva rispettivamente del Parco nazionale della Sila (nato nel 1997) e del Parco nazionale dell’Aspromonte (nato nel 1989).

PARCO NAZIONALE DELLA SILA

Il Parco è un’area protetta situata nel cuore della Sila, un vasto altopiano dell’Appennino calabro il cui territorio è costituito da Sila Grande, Sila Greca e Sila Piccola.
Nato nel 1997 e istituito definitivamente nel 2002, si estende in forma allungata da nord a sud e comprende tre delle cinque province della Calabria: la provincia di Catanzaro, la provincia di Cosenza e la provincia di Crotone.

Il territorio si caratterizza principalmente per i vasti boschi e antiche foreste, con la presenza di faggete e di pinete con il tipico pino laricio silano (Pinus nigra laricio), che sin dai tempi della Magna Grecia forniva legname per la costruzione delle navi che solcavano l’antico Mediterraneo. È una conifera elegante e maestosa, molto resistente, che si presta bene al rimboschimento di aree degradate e contribuisce a prevenire l’erosione del terreno. Il pino laricio è uno dei simboli del Parco Nazionale della Sila.
Vi si trovano anche ampie aree dedite al pascolo e fertili terreni coltivati in gran parte in modo tradizionale nel rispetto degli equilibri e delle caratteristiche ambientali naturali. Si coltivano cereali, frutta  e ortaggi, in particolare la patata silana alimento fondamentale per le genti dell’altopiano cotta alla brace o al forno, alla quale nel 2010 è stato riconosciuto il marchio IGP. Si pratica inoltre la viticoltura nonostante l’altitudine e le forti escursioni termiche.
Un altro simbolo del parco è il lupo (canis lupus) un animale quasi scomparso insieme all’orso e al cervo, che dagli anni Settanta è stato dichiarato specie protetta. Essendo il lupo un predatore carnivoro che chiude il ciclo della catena alimentare, è indispensabile per garantire un equilibrio tra le specie e assicurare la biodiversità.
Proprio per contrastare questa tendenza all’impoverimento dell’ecosistema, il Parco al suo interno custodisce uno dei più significativi sistemi di biodiversità: con ben 9 importanti riserve naturali biogenetiche gestite dal Corpo Forestale dello Stato in collaborazione con l’ente parco, si occupa di salvaguardare i diversi habitat e la ricca comunità faunistica e floreale che li abita.

Fiore all’occhiello del Parco è il bosco ultracentenario della Riserva naturale biogenetica statale de “I giganti della Sila” istituita nel 1987 in località Fallistro (Cosenza). L’area protetta, dal 2016 è gestita e salvaguardata dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) su concessione dell’Ente Parco nazionale della Sila. Vi sono inoltre un orto botanico e un giardino ecologico molto ricco di esemplari floreali, il “Museo verde” dove è possibile praticare attività didattica di educazione ambientale.
Il Parco promuove percorsi sensoriali e di benessere psicofisico, l’orientamento (orienteering) per sviluppare capacità di orientamento e conoscenza del territorio divertendosi.

L’orienteering è un’interessante disciplina sportiva nata all’inizio del 1900 nei paesi scandinavi che prevede diverse specialità e percorsi di vario tipo, ed è disputata a livello mondiale.

Attraverso la Strada delle Vette, un percorso panoramico che collega diverse cime della Sila, tra cui Monte Curcio e Monte Botte Donato, si raggiunge il Monte Scuro in prossimità della cui vetta si trovano la Stazione meteorologica dell’Aeronautica Militare (1671m s.l.m.) e un importante Impianto di trasmissione radio-televisiva gestito da Rai Way.

Sul monte che offre allo sguardo uno scenario suggestivo caratterizzato da fitte foreste e panorami mozzafiato, vi è anche un ceppo commemorativo dedicato a Nicola Misasi (1850-1923) considerato il principale esponente del verismo calabrese nelle cui opere letterarie spesso è celebrata la Sila e la sua gente, e ancora, in prossimità vi è un crocifisso di metallo, testimone del silenzio sacro che avvicina a Dio.

CROCI IN VETTA

In Italia spesso sulla sommità di una montagna o di un colle è presente una croce di vetta o un crocifisso, segni dedicati alla memoria collettiva, oppure un ometto di pietre sotto il quale in genere viene posto un contenitore con il libro di vetta dove lasciare dediche e messaggi.
La croce di vetta in genere è una struttura essenziale, una croce cristiana che funge da monumento alpinistico, o punto di orientamento e segnavia, o monumento commemorativo o memoriale.
Il crocifisso è una rappresentazione artistica o scultorea della crocifissione di Gesù Cristo ed è simbolo religioso e devozionale per i credenti, in genere viene posto vicino a luoghi di culto e di preghiera.
Alcune di queste croci vennero erette sulle vette, come le statue del Cristo Redentore,  a partire dalla fine del XIX secolo su proposta di papa Leone XIII.

Pietro sotto una croce tra i sassi ritrova i pensieri del padre: “Mi porterò sempre il ricordo di queste giornate come il più bel rifugio. Giovanni Guasti − agosto 1984, figlio Pietro di 11 anni” dall’emozionante romanzo Le Otto montagne di Paolo Cognetti (2017) ambientato in gran parte sulle Alpi della Valle d’Aosta.

Ad occuparsi di tali installazioni spesso poste in luoghi impervi e che necessitano di manutenzione è il CAI, l’associazione italiana che si prende cura anche di altre strutture esistenti come i rifugi alpini e le vie ferrate. Sebbene realizzate per resistere alle intemperie è necessario controllarne lo stato, restaurarle in caso di bruschi crolli, ripulirle dagli adesivi.
La montagna è un bene sacro che esige rispetto. Il suo valore va tutelato da iniziative personali e comportamenti inopportuni, e salvaguardato dal punto di vista ambientale e paesaggistico.

Durante l’inverno la Strada delle Vette viene chiusa al traffico e si trasforma in una pista da sci di fondo. Nelle zone dotate di piste, impianti di risalita e rifugi si può praticare anche snowboard e ciaspolata.
Esiste anche una rete di sentieri segnalati dal CAI e dal Parco, per escursioni a piedi e a cavallo da praticare nella bella stagione, per fare trekking con percorsi per tutti i livelli, con tracciati anche per bicilette Gravel e Mountain Bike.

La regione della Sila è ricca di sorgenti, di corsi d’acqua e di laghi perlopiù artificiali che si sono ben integrati con il paesaggio silano e che sono stati creati a partire dagli anni venti del Novecento per la produzione di energia idroelettrica e per l’irrigazione. Sono ideali per praticare pesca, canottaggio e birdwatching (osservazione degli uccelli).

CUCINA, PARCHI E SANTI DELLA CALABRIA⇒

 

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