La mattina di Pasqua nel mio prato
un uovo arcobaleno ho trovato,
era un uovo profumato e strano
non più grande di una mano.
Quando l’ho aperto, con stupore
ho trovato sorprese d’ogni colore:
giallo il sorriso d’un cinesino,
rosso il canto di un algerino,
azzurro il sorriso di uno svedese,
verde la capriola di un portoghese,
violetta la danza di mille bambine,
indaco i suoni di mille ocarine.
E arancione rotondo e paffuto
un sole caldo di benvenuto,
un sole caldo paffuto e rotondo
uguale per tutti i bimbi del mondo.
Eleonora Bellini
C’era sempre un momento un po’ ludico nei preparativi per le feste e seppur ci fosse sempre questo aspetto un po’ gioioso, per noi bambini non mancava mai il rispetto per la solennità del momento.
Per la Domenica delle Palme da ragazzini, per esempio, ci divertivamo a decorare i rami d’ulivo con strisce di carta velina colorata annodate qua e là tra i rami. Dalle mie parti non è mai mancato il ramoscello d’ulivo, c’era sempre qualcuno del posto ad averlo in giardino e ne distribuiva generosamente i rami.
Era una gioia per gli occhi scorgere nel verde delle foglie coriacee la morbidezza di quelle striscioline dai colori tenui dell’arcobaleno. Se poi ci metteva lo zampino anche il venticello primaverile, si aggiungeva anche il loro fruscio tra i ramoscelli.
Me lo ricordo ancora, ma è una tradizione che si è persa negli anni e solo di recente recuperata, anche se sono solo i bambini ad avere ramoscelli adornati, quasi fosse “poco serio” per gli adulti…
Oggi spesso vedi i bambini dare in testa all’altro il ramoscello d’ulivo senza che alcuno faccia loro un cenno d’ammonizione. Tra il castigo che ne sarebbe conseguito un tempo e il lassismo che vediamo oggi, vien da chiedersi: che forse l’adulto stesso abbia perso cognizione di ciò che rappresenta l’ulivo nel periodo pasquale?
Più che di uliveti la zona veneta in cui abito è ricca di vigneti, a parte la fascia costiera del Lago di Garda che produce un olio D.O.P. unico ed inconfondibile per il suo gusto delicato e fruttato.
Si sa “che qua ne piase el vin bon” 🙂 e sulla tavola fin dalla mia infanzia non è mai mancato il vin Durello, vino bianco bello aspro, dissetante mischiato con l’acqua, o il Recioto, vino rosso brillante; a volte ci finiva anche il “Grinton”, un vino ritenuto non commerciabile, mi spiegava mio padre, per lo scarso grado alcolico e per il gusto poco deciso, ma se tagliato con altre uve risultava gradevole.
Lo vedevo con quanta cura potava le viti, le “incalmava” preparando con cura gli innesti e poi per giorni “piangevano”, e allora lui mi spiegava che era la linfa che fuoriusciva dal taglio, come succede a noi con il sangue e io gli chiedevo se soffrissero… poi da grande ho scoperto che anche il nostro corpo ha una linfa che viaggia in un circolo parallelo a quello sanguigno.
Occorreva concimarle, trattarle per difenderle dall’oidio. Insomma, so che cosa vuol dire prendersi cura della vite e immagino quanta più pazienza e dedizione occorra nel coltivare l’ulivo che ha una crescita così lenta.
L’ULIVO E LA SUA SACRALITÀ
Sul finire del periodo quaresimale, invece, era usanza preparare le uova decorate che si appendevano a un ramoscello, o le si regalava ad amici e parenti il giorno di Pasqua.
In genere non si utilizzava l’uovo sodo, nooo… sarebbe stato troppo facile!… Si prendeva invece un uovo fresco e, delicatamente, con un ago si praticava sulla superficie un piccolo foro sopra e uno sotto tanto da permettere di svuotarlo soffiando, o meglio, succhiando il contenuto. Non si buttava via niente!
Quando si avvicinava la Pasqua ne avevo già pronta una bella scorta di uova svuotate, perchè verso la primavera (e qui ai nutrizionisti gli si rizzeranno i capelli) mia madre mi dava un uovo da bere, uno ogni mattina. Il bianco (l’albume) non era un granchè, così insipido… ma quando arrivava il sapore morbido del rosso (il tuorlo) era una goduria, una bontà unica. Ben inteso, erano uova raccolte al mattino nel pollaio di casa, avevano un guscio spesso, ruvido, di un rosa che traeva all’ocra, gustose e ancora tiepide.
Da piccolina ero una bambina esile, lunga e magra tanto che i miei fratelli spesso mi prendevano in giro chiamandomi Olivia, quella di Braccio di Ferro per intenderci, e a quei tempi un uovo crudo al mattino era considerato un ottimo ricostituente (oggi si definisce integratore) naturale ed economico.
Oggigiorno parrebbe un eccesso, ma allora non si faceva proprio uso di merendine o patatine; würstel e hamburger non si sapeva neanche cosa fossero. La carne era quella da cortile e una volta l’anno si acquistava il maiale che dava un sacco di carne che durava tutto l’anno (salsicce, salami, sopresse, costine, costate, cotechino, pancetta… del maiale si usa tutto, ricordo che persino con il grasso si producevano delle saponette che rendevano il bucato di un bianco e di una morbidezza unici). Tutto cibo genuino insomma, e per merenda si mangiava la frutta presa direttamente dagli alberi, si acquistavano al mercato solo le banane e le mele Trentine.
Soldi ce n’erano veramente pochi, così si rimediava sempre in qualche modo. Ah! D’inverno, invece, per darci energia qualche volta si metteva in una scodella il vino Grinton con acqua e zucchero, e si pucciava dentro il pan biscotto. Durante la vendemmia invece si beveva direttamente il mosto, dolcissimo e frizzantino, solo che bisognava moderarne l’uso. «Ste’ tenti… bevìne poco… se no ve vien la mossa!» diceva mia madre, e già si sentiva il brusio negli intestini. 😋
Mi vien da dire che una volta sì, si consumavano spesso cibi “pesanti” per fegato e stomaco, ma erano più naturali e genuini (altro che additivi, conservanti, coloranti, estrogeni e compagnia bella!) e si mangiava decisamente molto, molto meno di adesso, ma sian cresciuti tutti sani e forti lo stesso.
Noi bambini eravamo sempre felici di venire coinvolti in questa bella attività, potevamo utilizzare pennelli e colori ad acquerello in genere, perchè più economici, o le tempere prestate da qualche fratello o sorella che frequentava la scuola media.
Si decoravano le uova dando spazio alla fantasia. Poste poi in un bel cestino diventavano un bel centrotavola.
Nessuna geometria ha ricavato la formula dell’uovo.
Per il cerchio, la sfera c’è il pigreco,
ma per la figura perfetta della vita
non c’è quadratura.
Erri De Luca, Il peso della farfalla, 2009
“Sin dai tempi più antichi le uova date in dono venivano colorate ed il colore era un ulteriore simbolo di primavera e luce del sole. Sull’uovo di Pasqua esistono molte leggende.”
L’UOVO NELLA STORIA DELL’UOMO
Ricordo che da bambina per un periodo mi fu affidato il compito di “’ndare par ovi”, era un modo di dire rimasto nel tempo che si riferiva alla raccolta delle offerte che ogni domenica le famiglie usavano donare alla parrocchia. In principio si trattava di uova, poichè quasi tutte le famiglie avevano un pollaio, ma con il passare da un’economia italiana prettamente agricola a quella industriale durante gli anni 60-70 del Novecento, le uova furono sostituite con il denaro.
Per me questo fu un compito di alta responsabilità, ricordo che tenevo un quadernetto dove annotavo con il lapis rosso le 15 lire offerte da tal famiglia, le 30 lire da talaltra… chi era piuttosto benestante arrivava ad offrire anche ben 100 lire! Al mattino dopo la messa domenicale passavo di famiglia in famiglia a raccogliere l’obolo, che consegnavo al parroco dopo la funzione pomeridiana.
Leda