Ma guarda te…

Ieri uscendo dal supermercato incontro un’amica, è da un po’ che non la vedo così la saluto e mi fermo a scambiare quattro chiacchiere.

La incontrai la prima volta un’estate di molti anni fa, una domenica mattina mentre facevo colazione al bar entrò lei e suo marito, erano sposati da poco ed era una di quelle rare volte, disse poi, in cui s’incontravano con i turni e avevano un po’ di tempo per stare insieme. Entrambi infermieri, abitavano in un appartamentino lì vicino affittato loro dal proprietario del bar che, per cortesia, chiese loro se era tutto ok. Il discorso inevitabilmente cadde sulla sera prima, c’era stata una festa in paese e l’orchestra di liscio tra bis, ter e quater richiesti dal pubblico, che nonostante il caldo non aveva intenzione di smettere di ballare, aveva continuato a suonare e cantare fino all’una, abbassando di poco il volume dopo la mezzanotte. Dopo un breve break ebbero inizio le procedure per smontare l’impianto, ma disturbati dagli irriducibili che non se ne volevano andare via, galvanizzati dalla serata, durarono fino oltre le due e mezzo di mattina, per cui chi abitava lì intorno aveva dormito ben poco. Si era ancora lontani dalla crisi e il paese di cinquemila anime viveva di un certo benessere, quell’estate la Pro loco aveva decisamente esagerato programmando cinque serate continuative di ballo liscio nella piazza in centro paese. In comune fioccarono tante di quelle proteste a causa del disturbo acustico, specie da parte di chi aveva anziani o bambini in famiglia, che l’anno successivo tutte le feste vennero spostate stabilmente in una zona in periferia e regolamentate a dovere.

Ci reincontrammo diversi anni dopo alla scuola primaria, i nostri figli erano nella stessa classe e avemmo modo di approfondire la conoscenza. Era un bel gruppo di genitori il nostro, molto affiatato, nelle riunioni sia scolastiche che in parrocchia facevamo di quelle discussioni così vivaci, che non mi è più capitato di avere in altri gruppi. Persino il don una volta lo disse, gli capitava spesso che i genitori facessero scena muta, imbarazzati di fronte ai suoi input per favorire la discussione sui temi fondamentali della vita e della società. Con noi sforava sempre il tempo prestabilito per non stancare troppo le persone, ci ispiravamo l’un l’altro e si ragionava sui principi cristiani e sulla loro applicabilità nel quotidiano, ciò che consentiva di essere e ciò che contrastava con la realtà, e il don prendeva appunti. A scuola si sentiva così tanto la mancanza di un coordinamento tra i genitori che finimmo per fondare il Comitato genitori. Furono anni di belle e intense esperienze, davvero.

Una volta diventati grandicelli i figli, d’accordo con il marito, ha lasciato il posto fisso per passare più tempo con la famiglia, dedicandosi a un piccolo orto e alla vendita diretta di verdure di stagione, realizzando anche un altro sogno nel cassetto, quello di terminare gli studi con la scuola serale per conseguire il diploma di maturità «…e poi si vedrà» disse. Furono anni molto faticosi per lei, ma di molta soddisfazione.

Tornando a ieri, stavamo parlando del fatto che anche lei ultimamente va a camminare spesso per cercare di mantenersi in salute, a volte sente proprio il bisogno di uscire di casa e di stare da sola, di “staccare” e camminare in solitudine, ciò le permette di rilassare la mente e di avere un maggior beneficio anche fisicamente. In quel momento si avvicina una signora che conosco, e accostandosi al mio orecchio, a bassa voce si esprime in maniera piuttosto colorita riferendosi a un gruppetto di ragazze con il velo e l’abito islamico che nel negozio da cui lei era uscita, stavano provando dei profumi. Il discorso era piuttosto sgradevole e pieno di clichè che non voglio neanche ripetere perchè è facile supporre quali siano, sono sulla bocca di molti anche in TV. Per di più la mia amica, che la conosce solo vagamente, non capiva a cosa si stesse riferendo tanto era vago e allusivo il suo modo di parlare.
Io non riesco più a tollerare questi discorsi troppo insulsi. Diciamoci la verità, quel dire e non dire è un modo per cercare consenso su un pensiero che si sa già in partenza che non è giusto. E io quel consenso non lo dò, per principio, anche a costo di perdere amicizie (vuol dire che non lo erano) o di finire per essere criticata dalle gossipare del paese (alle mie spalle naturalmente).

Avevo fatto caso alle ragazze poco prima mentre chiedevano informazioni alla commessa del supermercato, perchè indossavano un lungo abito di un bel tessuto pregiato e portavano sul capo un velo dello stesso tessuto avvolto in un modo molto particolare, molto elegante, si muovevano con una certa grazia e si vedeva che erano molto amiche. A me affascinano molto le usanze degli altri popoli, una volta intravvidi un tatuaggio che dal piede saliva alla caviglia, fatto con l’hennè, che la mamma di un compagno di scuola di mio figlio portava, celato dalla veste. Ne rimasi affascinata e me lo fece vedere, mi disse che non era permanente (nell’Islam non sono ammessi i tatuaggi permanenti perchè “altereranno la creazione di Allah”) e sarebbe sbiadito col tempo. È una tradizione delle donne islamiche praticata in occasione di feste o cerimonie, sembra siano ritenuti purificatori e di buon auspicio.

L’HENNÈ

L’hennè o henna, è una pianta originaria dell’Oriente, le cui foglie contengono tannini, zuccheri e una sostanza colorante rossa, il lawsone. Ridotte in polvere si usano per la manifattura di cosmetici e per la tintura di tessuti, legni, pelli, ecc.
Il vero hennè è venduto sui banchi dei mercati orientali in tonalità rosso, arancio e ocra accanto a cereali e spezie. Il suo estratto si usa anche per la tintura dei capelli, si trova in erboristeria sotto forma di polvere e si applica in casa miscelato con acqua calda, si può aggiungere dell’olio di oliva per renderlo più cremoso.

Per un buon risultato va usato solo su capelli naturali ed è consigliabile restare tono su tono (è adatto alle ragazze giovani che vogliono solo accentuare o dare un riflesso al tono naturale), l’hennè infatti non penetra nel capello (quindi non può schiarirlo) si aggiunge al colore naturale, che al massimo si può scurire.

L’hennè avvolge e crea intorno al capello come una pellicola e ha la particolarità di renderlo lucido e corposo. Il risultato dipende dal tempo di posa e dura a lungo nel tempo sbiadendo mano a mano, se è molto più scuro naturalmente si vede la ricrescita.
L’inconveniente nasce però, qualora si voglia fare un trattamento cosmetico, come schiariture, stirature e permanenti ricce perchè tale pellicola renderebbe irregolare l’assorbimento del prodotto chimico, rendendo imprevedibile e spesso mediocre il risultato finale. Pertanto se si ama cambiare è vivamente sconsigliato.

Esiste in commercio una gamma di altri colori di hennè, ma sono ottenuti con l’aggiunta di altri coloranti. I preparati pronti su cui appare la dicitura “senza ammoniaca” in realtà spesso contengono tioglicolato di ammonio, pertanto è sempre meglio controllare gli ingredienti.

L’hennè viene usato anche per decorare il corpo miscelato con acqua calda o tè o caffè caldi (che lo scuriscono), con aggiunta di succo di limone e qualche goccia di alcol per favorire il fissaggio e l’asciugatura.

 

A questa signora le dico che… beh, forse chi viene in Italia non deve per forza essere un profugo o un immigrato, no? Potrebbe essere qui in visita da parenti, o magari come turista, quelle ragazze potrebbero essere delle studentesse, che ne sappiamo noi se non le conosciamo?
È davvero irritante quel sentirsi ripetere “e noi che paghiamo le tasse li manteniamo…” che poi è anche segno di ignoranza (del non sapere le cose) poichè il denaro per i profughi è stanziato dalla Comunità Europea e viene speso qui in Italia.

Questa signora si professa cattolica e va in chiesa regolarmente, solo che una volta fuori dalla porta, come molti cristiani dimentica gli insegnamenti di Gesù. La conosco da tempo ed economicamente è una persona che sta bene, è proprietaria di un certo numero di immobili, ma mentre una volta era una persona allegra e ironica, con il tempo è diventata scorbutica e paranoica e non sorride quasi mai.
La mia amica è rimasta senza parole, in effetti non è che abbia fatto una gran figura, gli anziani dovrebbero essere più saggi in teoria. Vabbè, ma di certo non mi vedrà mai alimentare queste malelingue.

Come quella volta… sono dal medico di base e in sala d’attesa c’è una quindicina di persone, alla mia sinistra alcuni posti più in là un tipo che conosco parla a bassa voce, ma non quel tanto da non farsi sentire, e racconta di ciò che è accaduto negli ultimi anni nella sua palazzina in un paese vicino dove si è trasferito, relativamente agli extracomunitari. E via… il solito sproloquio.
Tre sedie più in là alla mia destra è seduta una giovane marocchina, la bambina che è con lei cerca di passare il tempo, spostandosi dalla madre al basso tavolino al centro della stanza, parla, canta e ride, sposta e mischia i giornali con i volantini pubblicitari e i cartoncini da visita. A me pare che non dia fastidio a nessuno, questo qua guardandosi intorno cerca il consenso, e dando per scontato che la madre non capisca la nostra lingua, dice: «ecco, guarda se è possibile che non le dica nulla…» alludendo chiaramente a lei, che un po’ intimorita rimane seduta al suo posto. E l’altro continua il suo sproloquio sulle loro abitudini di vita, sugli odori della loro cucina e via dicendo. Per un attimo incontro il suo sguardo e ammicca con gli occhi cercando di farmi complice delle stronzate che dice, al che a me viene un certo prurito con fastidio tipo allergia.

Ha fatto l’errore di coinvolgermi, così con un velo di ironia gli dico che la mia vicina di casa è di origini marocchine e ha due bellissime bambine che a me non danno alcun fastidio, anzi, vado molto d’accordo con lei, ci rispettiamo reciprocamente e a volte cucina che si sente un profumino… che mi autoinviterei volentieri (ed è vero). Poi conosco un’altra famiglia che abita nel palazzo vicino, il cui figlio era a scuola con il mio, hanno origini nobili e il padre è molto istruito, mi ha spiegato molto dell’Islam ed è venuto in Italia perchè voleva garantire alla sua famiglia una vita serena, ha sempre lavorato molto e si è inserito nel contesto. È naturale che ci siano persone con cui possiamo scontrarci, anche tra noi italiani, vedi la tipa di prima… c’è il buono e il cattivo dappertutto.

Sempre lì, in quella sala d’attesa un’altra volta ebbi da discutere con una tipa dispotica e arrogante, un genere molto in voga di questi anni. Ero andata per un certificato medico per il rientro a scuola di uno dei miei figli.
Il medico ha predisposto un’ora per due giorni alla settimana, anticipando l’apertura dell’ambulatorio, appositamente per chi necessita di ricette e certificati che non richiedono una visita, così da evitare di fare lunghe file. Entro dopo la prima mezz’ora e nella sala ci sono 10 persone in attesa della ricetta e altre 7 in attesa di una visita dal medico, che peraltro non è in ambulatorio. Arriva di lì a poco e si scusa, ha ricevuto una chiamata urgente da un paziente che non poteva rimandare (cose che succedono). Viene che mancano dieci minuti e siamo ancora in 6 ad attendere per le ricette (tre persone si sono aggiunte dopo di me) più gli altri 7 per la visita tra cui c’è questa tipa, sui 35-40 anni che comincia a brontolare e a dire che non faremo in tempo… tanto che una di noi 6, decide di andarsene direttamente. Mancano 5 minuti e la prossima sono io e questa dice chiaramente che il tempo per le ricette è finito e dobbiamo metterci in fila con gli altri se vogliamo entrare, visto che siamo arrivati dopo tutti. Cortesemente le faccio notare che: 1° il medico è arrivato in ritardo, 2° lei e tutti gli altri non sarebbero dovuti essere lì, visto che l’orario per le visite sarebbe cominciato proprio in quel momento. Lei insiste, si aggiungono anche altri al coro (i furbetti…) e diventa anche maleducata. Al che riesco a entrare, ma prima l’avverto che chiederò delucidazioni al medico, il quale conferma che entrando durante l’orario per le ricette, anche 5 minuti prima, si ha diritto alla precedenza fino a esaurimento della fila, e poi si inizia con le visite.
All’uscita la soddisfazione di zittire la tipetta arrogante me la sono tolta ;-). Pensare che lo stesso medico qualche anno prima aveva adottato il sistema dei numeri, come al supermercato: uno entrava, si prendeva il numero e poteva tornare dopo. Se il numero non era stato superato rientravi nella fila in attesa, in caso contrario perdevi il turno e dovevi prendere un altro numero. Ma nacquero un sacco di polemiche perchè chi restava lì ad aspettare non sapeva accettare che uno se ne andasse in giro (magari a lavorare, no!?) tornasse e gli passasse davanti… è così difficile a volte far accettare i cambiamenti!

A proposito di cibo e di usanze, una volta alla scuola primaria capitò un fatto… nella classe di mio figlio alcuni ragazzi continuavano a infastidire dei compagni perchè dicevano che puzzavano. La cosa divenne insistente, quasi persecutoria, tanto che finì per coinvolgere anche le famiglie e un giorno a metà mattina il papà di uno di questi bambini fece letteralmente irruzione a scuola (per entrare durante le ore in cui sono presenti gli alunni è necessario ottenere un permesso da parte del dirigente scolastico). Era su tutte le furie per il trattamento che subiva il proprio figlio e pretese di parlare con le insegnanti che un po’ si spaventarono. In breve, venne fuori che la puzza era dovuta al fatto che questi ragazzi al mattino, secondo i propri usi, consumavano una colazione aromatizzata con cipolla o aglio, a metà giornata essendo a stomaco vuoto, per l’alitosi l’aria in aula diventava irrespirabile e anche socchiudendo la finestra poco risolveva. Bastò chiarire e consigliare alla famiglia di preparare una colazione più “occidentale“ ai ragazzi, e tutto si risolse.
Continuo a chiedermi perchè queste dinamiche, che possono evolvere in atti di violenza anche psicologica, vengono così spesso sottovalutate dai docenti.

E già che si parla di scuola… con il medico di base ho avuto uno scambio di opinioni sul fatto che si è obbligati a portare un certificato medico se il rientro a scuola supera i quattro giorni di assenza (per di più vengono calcolati anche il sabato e la domenica!!) anche se, una malattia vera e propria non c’è stata. Quando andavamo a scuola noi, ricordo che il certificato medico era obbligatorio in caso di malattia infettiva che andava denunciata, e che per forza di cose richiedeva un controllo medico sia all’inizio, che durante e dopo la malattia, ne veniva certificata la guarigione per permettere la riammissione in comunità. E fin qui tutto a posto, ma non si capisce come si è arrivati a estendere tale richiesta in modo così generico e, mi sento di dire, poco rispettoso nei confronti del ruolo genitoriale.
Se mio figlio non sta bene, magari ha un forte raffreddore o mal di gola, la temperatura innalzata di qualche linea (si considera febbre solo dai 38°C in sù), lo stato generale un po’ debilitato, decido per precauzione che rimanga a casa così da non contagiare anche gli altri e fare in modo di assecondare le sue autodifese. Che cosa mi serve andare dal medico esponendolo al freddo o magari a virus presenti in sala d’attesa? Si sa che la visita a domicilio può essere richiesta solo se lo stato di salute è tale da non poter andare in studio.

Un buon pediatra di base ci insegna che nei primi tre giorni se non si evidenziano particolari sintomi si attende: se c’è un po’ di febbre (38°C) ma non altri sintomi importanti, sta a significare che il corpo si sta difendendo da solo. Si può assumere paracetamolo (rispettando le dosi e i tempi indicati, e se non si è allergici, non ha controindicazioni) per alleviare il malessere e dare un po’ di sollievo, spremute nel caso di raffreddori ricche di vitamina C e stare a riposo e al caldo (non troppo coperti se no la temperatura per forza sale). Se invece compaiono placche in gola (tonsillite) o forte tosse con catarro, dolori localizzati, sintomi evidenti che qualcosa sta evolvendo, allora bisogna ricorrere al medico.

Pertanto se il mio intervento come genitore è preventivo e non necessita dell’intervento del medico, perchè non basta che sia il genitore a motivare e giustificare l’assenza per il rientro a scuola anche dopo 5 giorni? Perchè devo richiedere al medico un certificato per una malattia che non c’è stata, essendo più che altro un’indisposizione, oltre al fatto che il medico ormai lo vede già guarito. Il brutto è che per non perdere una mezza giornata dal medico succede spesso che si fa rientrare a scuola il ragazzo/a dopo 4 giorni di assenza, così da compromettere magari la salute stessa.

Ma poi, che ci fa tutta sta gente sempre dal medico? Ho notato che trovo spesso le stesse persone… credo che manchi un’educazione sanitaria che stimoli all’autonomia e sia troppa la convinzione che i farmaci guariscono tutto, come se fossero un elisir magico.
Personalmente ho sempre diffidato di chi ti riempie di medicine e non ha il tempo di ascoltarti o di visitarti, di spiegarti, perchè è anche da lì che si inizia a educare le persone a un approccio corretto verso la medicina e verso i farmaci che hanno dei forti limiti se ti rendi succube e non protagonista della tua salute.

Leda

Elogio alla solitudine – Fabrizio De Andrè (1996)

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