Con l’avvicinarsi del periodo della pubertà dei miei figli, essendo la mia conoscenza sullo sviluppo del bambino limitata all’età prescolare (fino ai 6 anni), ho sentito il bisogno di informarmi e di aggiornarmi perchè la realtà di oggi è molto diversa da quella che io ho vissuto alla loro età.
Ho trovato in questo libro un ottimo terreno di spunti di riflessione perchè oltre a usare un linguaggio semplice e diretto, analizza le varie esperienze a cui possono andare incontro gli adolescenti di oggi.
L’età incerta. I nuovi adolescenti
di Silvia Vegetti Finzi, Anna M. Battistin
Genere: Psicologia
Editore: Mondadori, 2000
Chi sono i ragazzi del Duemila? Come capire che cosa avviene dentro di loro? “L’età incerta” segue le trasformazioni dell’adolescenza, la complessa e affascinante fase di passaggio all’età adulta, dalle prime inquietudini fino alla conquista dell’identità e dell’autonomia personale. Le autrici affrontano temi attuali e snodi problematici di quest’età, aiutando genitori ed educatori a conoscere dal punto di vista dei ragazzi i sentimenti e le emozioni che li animano.
È l’età difficile per eccellenza, ma è anche l’età cruciale e decisiva nella formazione psicologica di ogni uomo e di ogni donna. È l’adolescenza, l’età dei teen-agers, dei ragazzi tra i dieci e i quindici anni. Una fascia di età in cui dietro alle difficoltà del cambiamento si celano grandi possibilità di sviluppo e forti potenzialità creative, di improvvisa mutazione dell’identità corporea, di approccio importante alla sessualità, di richieste sociali, paure e speranze. Una fase che le autrici spiegano in tutta la sua importanza con ricchezza di argomenti, nuove interpretazioni e casi concreti.
Commento: su questo libro ho avuto modo di leggere anche qualche recensione critica, ma credo che un libro non debba rappresentare una certezza, ma piuttosto uno strumento attraverso cui ognuno possa strutturare una propria opinione anche in base alle proprie esperienze di vita. Ne consiglio la lettura.
Leda
Qui di seguito ecco un estratto dal libro:
Il senso di incertezza, di inquietudine, a volte di angoscia, che pervade come una corrente sotterranea la vita interiore dell’adolescente, non scaturisce solo dagli eventi più o meno traumatici che ogni bambino ha vissuto nel corso dell’infanzia. È un inquietudine che ha radici nel passato ma che trae alimento anche – e a volte soprattutto – dal presente, quando si fanno più forti sia il desiderio che la paura di crescere. Come osserva la psicoanalista americana E. Kestemberg.
Se tutto si prepara nell’infanzia, a cominciare dai primi giorni di vita, tutto si gioca nell’adolescenza!
È nei primi anni di vita che si gettano le basi su cui si struttura la personalità dell’individuo, si consolida il suo equilibrio o si innervano le future nevrosi della vita adulta. Ed è naturale che nel corso dell’adolescenza il riflesso ancora così ravvicinato delle vicende infantili influisca su questa fase di transizione, favorendo o rendendo più difficile, faticosa, a volte impossibile la seconda nascita che segna il passaggio all’età adulta. E la conquista della maturità.
Il percorso di crescita risulta quasi inevitabilmente più accidentato per chi non ha come punto di partenza un’infanzia dalle “basi sicure”, da cui spiccare il volo ben attrezzato per affrontare i rischi e le incognite dell’avventuroso tragitto. Una sicurezza interiore che spesso manca a chi ha subito troppe privazioni nel corso dell’infanzia, a chi si è sentito troppo spesso solo, poco amato, non accettato. E avverte ancora il vuoto della mancanza di attenzione, di affetto, di stabilità da parte di genitori troppo assenti, troppo impegnati oppure troppo inquieti, ansiosi, depressi o infantili, per rappresentare agli occhi del figlio delle figure di riferimento stabili e rassicuranti, capaci di trasmettergli, insieme al senso di continuità della vita e delle sue esperienze, una fondamentale fiducia in se stesso, negli altri e nel futuro.
Ma anche per chi ha avuto un’infanzia “troppo felice”, troppo piena di tutto – gratificazioni, cure, amore, amicizie, successi scolastici, agio, soldi – non sempre è facile crescere: la saturazione di ogni bisogno tende a creare un vuoto di desiderio, una staticità interiore che rende la nostalgia del paradiso perduto dell’infanzia più forte della spinta al cambiamento e alla crescita. La stessa incapacità di sopportare le frustrazioni – uno dei problemi più diffusi fra gli adolescenti di oggi – nasce proprio dall’improvviso scontro con situazioni di mancanza, di sospensione del desiderio e di attesa con cui i ragazzi non sono stati abituati a confrontarsi da bambini. E che li lasciano spiazzati, incapaci di tollerare la frustrazione, e privi di strumenti con cui reagire, se non la depressione, la rabbia o la violenza.
Per eccesso o per difetto, sia l’infanzia “troppo felice” che quella “infelice” tendono così ad accentuare la paura di crescere, che rappresenta il motivo di fondo della piena adolescenza: quando, dai quindici anni in poi, conclusa la fase di preparazione della prepubertà e superato l’impatto dello sviluppo sessuale, i ragazzi si confrontano con esperienze che li avvicinano sempre di più alla vita adulta: dall’amore all’amicizia, alla volontà di affermazione delle proprie idee, alle aspirazioni sociali, agli sforzi per diventare “qualcuno”. Ma in questo rapido accumularsi di esperienze “pseudoadulte”, si confrontano anche con l’immaturità insita nella stessa adolescenza, che agisce dentro di loro con un doppio movimento: da un lato li sospinge in avanti, verso l’indipendenza della vita adulta, dall’altro li respinge ancora una volta indietro, tra gli anfratti e le risacche dell’infanzia.
Desiderio e paura di crescere
Il conflitto fra il desiderio e la paura di crescere si apre a diverse possibilità: procedere, fermarsi, tornare indietro. Come osserva lo scrittore angloindiano Hanif Kureishi, nel romanzo di formazione Il buddha delle periferie, gli adolescenti si suddividono in tre tipologie: i più fortunati, che trovano subito la loro strada, i più infelici, che non la trovano mai, e i più numerosi, che la trovano tardi…
Per approfondire ho anche fatto una ricerca su Internet trovando questi interessanti articoli:
La timidezza nell’adolescenza è una grande risorsa
L’adolescenza è un periodo nel quale si cambia sia la forma corporea sia l’assetto psichico e mentale. Perciò è naturale proteggersi da influenze esterne: per riflettere, per ascoltarsi, per riposare l’anima, per preparare il prossimo passo. Ciò che allarma un genitore è spesso l’apparente inspiegabilità di questa timidezza, che non sembra collegata a nessun evento scatenante. Infatti spesso questi atteggiamenti di ripiegamento in se stessi provengono dal profondo, da una parte istintiva. Scuotere il ragazzo per farlo essere “quello di sempre” è l’equivalente del manomettere il bozzolo di un bruco che sta diventando farfalla: si possono fare danni. Solo se la chiusura continua per lungo tempo e il ragazzo perde relazioni e interessi (e quindi non è più una timidezza “fasica” tipica dell’adolescenza ma qualcosa di più) è il caso di intervenire, innanzitutto cercando il dialogo con lui… continua
Fonte: Riza.it
Superare la Timidezza
Spesso capita di confondere la timidezza con l’introversione, ma in realtà sarebbe bene fare chiarezza su due concetti molto distanti tra loro. Da una parte ci sono le persone introverse o silenziose; dall’altra i timidi. La timidezza è una caratteristica molto comune tra gli individui a prescindere dal fattore anagrafico ed è spesso classificata come una forma d’ansia sociale che si estrinseca attraverso comportamenti di scarsa acquiescenza nei confronti di circostanze in cui vedono coinvolti gruppi più o meno numerosi di soggetti. Nonostante si tratti di un fenomeno oggetto di numerosi studi o, d’altro canto, venga trascurato come fattore secondario all’interno delle dinamiche relazionali, le timidezza rimane un problema presente e pressante all’interno della vita sociale delle persone che cercano (ed è bene che trovino) delle soluzioni… continua
Fonte: psicologo-milano.org
Una comunicazione efficace tra genitori e figli
Nella comunicazione familiare il dialogo, l’ascolto, l’attenzione sono gli elementi fondamentali per la crescita, lo sviluppo e la maturità dei figli.
Per instaurare una comunicazione efficace è importante partire da una dimensione di ascolto, prestando attenzione alle emozioni e alle opinioni che i figli possono esprimere. È una modalità di comunicazione che va costruita quotidianamente, con pazienza e attenzione, cominciando dai primi scambi verbali e non verbali.
Quando i bambini sono piccoli è importante la funzione e la modalità della comunicazione – numero di scambi, varietà di segnali, ricchezza del linguaggio – per aiutarli a sviluppare il linguaggio, le competenze comunicative e l’intelligenza. È fondamentale prendere seriamente quello che dice il bambino, che ha bisogno di essere ascoltato attentamente e non superficialmente.
L’essere sempre interrotto o criticato non gli permette di acquisire sicurezza nei suoi stessi pensieri e di sviluppare un buon livello di autostima, ma anche, dargli sempre ragione, lasciarlo parlare continuamente quando ha bisogno di essere contenuto, non gli permette di sviluppare un proprio senso critico e la capacità di interpretare in modo obiettivo ed equilibrato un evento, una situazione, un argomento, ecc.
Il sostegno maggiore è dato dall’essere ascoltato fino in fondo, dal sentirsi compreso, appoggiato e contenuto e dalla possibilità di confrontarsi con l’adulto quando questi ha un’opinione diversa dalla sua.
Un aspetto fondamentale della comunicazione in famiglia è l’apertura al dialogo, infatti, è possibile uno sviluppo più armonico e sereno se c’è maggiore confidenza con i genitori e se si creano situazioni in cui è possibile per ognuno raccontare le proprie esperienze, quanto accade durante la giornata; i bambini, i ragazzi risultano emotivamente più equilibrati e socialmente maturi.
Una fase dello sviluppo che mette a dura prova la comunicazione fra genitori e figli è la fase adolescenziale. La conflittualità tra i bisogni di autonomia e di protezione dell’adolescente si esprimono all’interno della famiglia attraverso nuove e diverse forme di comunicazione sia verbali come silenzi, aggressività verbale, aumento dei conflitti, provocazioni, che non verbali come modo di vestire e di atteggiarsi, rapporto con il cibo, modalità di gestire gli spazi personali.
La fase dell’adolescenza caratterizzata da comportamenti che vanno dalla solitudine all’irrequietezza, dal rifiuto delle regole familiari (fino ad allora accettate) al rifiuto scolastico, dalle nuove richieste ed esigenze relative al desiderio di avere il motorino, di andare in discoteca, di non avere orari da rispettare, comporta delle irregolarità di condotta nel contesto familiare, che rischiano di compromettere in modo drastico la comunicazione all’interno della famiglia.
Le domande più frequenti che i genitori pongono agli psicologi c/o i nostri studi e centri di psicologia riguardo alle situazioni difficili che stanno vivendo sono:
non riusciamo più a capire cosa vuole
non riusciamo più a farci ascoltare
cosa possiamo fare?
come dobbiamo comportarci?
come può aiutarci uno psicologo?
si può risolvere il problema?
dove abbiamo sbagliato perchè si rivolta così contro di noi?
perchè si comporta così?
è colpa nostra?
perchè i miei figli sono così diversi tra loro quando ci siamo comportati con entrambi allo stesso modo?
perchè è così svogliato, testardo, irascibile, taciturno?
riusciremo di nuovo ad aver un rapporto sereno con lui/lei?
la situazione si può aggravare?
come sarà da adulto?
La comunicazione fra genitori e figli può, quindi, diventare difficile, i genitori possono sentirsi insicuri, poco informati, e i figli possono sentirsi incompresi, non ascoltati, e non trovare argomenti da condividere con i genitori.
Per i genitori è importante essere flessibili e cambiare le modalità comunicative adottate: mantenere il rapporto maturato con il figlio dall’infanzia rischia, infatti, di portare incomprensioni e continue ed esasperate richieste e provocazioni da parte del ragazzo, con il rischio di compromettere il dialogo e di rompere i rapporti.
Comunicazione e Relazione Affettiva
Una comunicazione funzionale, posta ad un livello condiviso permette al genitore di conoscere ciò che i figli sanno, i loro punti di vista, per questo motivo l’ascolto dovrebbe essere empatico e non giudicante, questo permette di capire le reali richieste dei figli rispetto alle loro conoscenze dell’ambiente circostante e rispetto al sostegno che inconsciamente richiedono ai genitori riguardo alle loro scelte e ai loro comportamenti.
Anche nelle decisioni da prendere e nella definizione delle regole è importante cercare di mantenere un atteggiamento di negoziazione. L’atteggiamento più efficace, in base all’età, potrebbe essere quello di stabilire degli orientamenti, dopo averli discussi, con i figli, cercando di arrivare a delle regole il più possibile condivise, senza imposizioni troppo rigide. Nella famiglia, il dialogo e il confronto rappresentano, un mezzo per creare senso di fiducia, affetto e senso di appartenenza.
Parlare ai figli in modo da tenere aperti i canali di comunicazione permette di superare i disaccordi.
Mettersi in una posizione di ascolto può modificare molto ciò che si vuole dire e anche il modo di dirlo.
In questo caso l’intervento psicologico propone percorsi di approfondimento e miglioramento degli stili educativi e della comunicazione in famiglia attraverso un coinvolgimento attivo e concreto.
Partendo dalle situazioni di difficoltà quotidiana si possono individuare dei percorsi per facilitare la comunicazione nel rapporto educativo con i figli, entrare in empatia con loro, acquisire abilità nell’ascolto e nella riformulazione dei messaggi, saper esprimere i sentimenti, negoziare le regole, la disciplina, educare alla gestione dei conflitti.
Favorire la comunicazione, l’espressione ed il confronto sulle diverse reazioni emotive (amore, rabbia, insofferenza, tenerezza, frustrazione, affetto, passione, attaccamento, avversione, indifferenza, solidarietà, ostilità, ecc.) dei singoli membri della famiglia, permette di individuare e verificare modalità alternative di comportamento così da ampliare il repertorio espressivo verso canali più adatti e funzionali.
a cura della Dott.ssa Letizia Maduli
Il verbo latino adolescere viene da una radice
che indica il “portare a compimento qualcosa”
e il participio passato di questo verbo latino è adultus.
Per diventare adulti bisogna “adolescere” bene.