La chiave di Sara

Julia Jarmond è una giornalista statunitense che vive da più di vent’anni a Parigi con il marito Bertrand Tézac e la figlia adolescente Zoe. Siamo negli anni Duemila e le viene affidato il compito di redigere un articolo sui dolorosi fatti del Velodromo D’inverno avvenuti nel 1942.

A Parigi il 16 e il 17 luglio 1942 avvenne il rastrellamento degli ebrei (la Rafle du Vélodrome d’Hiver). Numerose famiglie con bambini vennero raccolte all’interno del Velodromo d’Inverno, lo stadio per le gare di ciclismo, e tenute rinchiuse per giorni in condizioni disumane a causa del caldo, della mancanza d’acqua e di servizi igienici. Chi tentava di scappare veniva fucilato sul posto.

«Senza letti, nè bagni, senz’acqua. E non c’è un’immagine».
«È strano, i nazisti documentavano tutto, erano famosi per questo».
«Mike, non sono stati i tedeschi, ma i francesi».

Discutendo con il suo staff Julia ricostruisce i fatti accaduti al tempo dei rastrellamenti e arriva a scoprire che proprio nell’appartamento dei suoi suoceri, in cui si trasferirà una volta terminata la ristrutturazione, vivevano i Starzynski, una delle famiglie di ebrei deportati proprio in seguito a quel rastrellamento del 1942.

1940 – Parigi dopo l’Armistizio si trovò nella zona occupata dal comando militare tedesco, che organizzò il censimento degli ebrei e introdusse le norme antiebraiche, tra cui: l’esproprio dei beni, la perdita dei diritti civili, il divieto di svolgere determinate professioni, l’obbligo di portare la stella gialla cucita in modo ben visibile sui vestiti.
Ebbero inizio quindi i rastrellamenti e gli arresti compiuti dalla Polizia francese nei confronti degli ebrei stranieri e degli apolidi (privi della cittadinanza francese) con più di 16 anni, che venivano individuati tramite le liste del censimento in cui c’erano i nomi, gli indirizzi e il numero dei componenti di ogni famiglia. Vennero quindi internati nei campi di transito francesi in attesa di essere deportati ad Auschwitz.

«Ben gli sta! È giusto, è quello che si meritano!»
«Ma sta zitta, idiota! Non capisci che dopo di loro toccherà a noi?»
«Vecchio imbecille, noi siamo francesi, a noi non succederà».

1942 – Le operazioni di polizia vennero estese a tutti gli ebrei francesi. Nei giorni del 16 e 17 luglio gli arresti in massa compiuti dalla polizia francese nell’intera città di Parigi riguardarono più di 13.000 persone e per la prima volta in Francia inclusero anche donne e bambini. Con le loro famiglie, 5802 donne e 4051 bambini dai 2 anni di età in sù vennero rinchiusi nel Vélodrome d’Hiver in attesa di ordini da Berlino…

“…non era previsto l’arresto dei bambini. E la polizia che fece la retata del 16 luglio 1942 con zelo esemplare, essa ebbe poi gli elogi dei tedeschi, arrestò anche molti bambini. Così al Vélodrome d’Hiver furono raccolti 4051 bambini piangenti, smarriti che si sporcavano le mutandine per il terrore, strappati così improvvisamente senza pietà dai loro genitori”.
da un racconto di Anna Foa su Wikiradio – Rai Radio3
(RaiPlay Sound)

Il resto degli ebrei arrestati furono mandati direttamente nel campo di internamento di Drancy in un sobborgo di Parigi, il principale campo di transito attivato dal 1941 dalle autorità collaborazioniste francesi da cui partivano i convogli ferroviari, deportando gli ebrei verso i campi di concentramento e sterminio nazisti.

Il Vel’ d’Hiv come viene anche chiamato il velodromo, era già stato usato nel 1940, un mese prima dell’occupazione tedesca per imprigionare 5.000 donne in quanto tedesche, rifugiate ebree o antinaziste, considerate nemiche della Francia.
Fra loro Hannah Arendt che con la presa del potere di Hitler in Germania nel 1933 le fu negata la possibilità di insegnare nelle Università tedesche, arrestata dalla Gestapo (la polizia segreta della Germania nazista) quando venne rilasciata lasciò la Germania e si stabilì in seguito a Parigi. Fu privata della cittadinanza tedesca nel 1937 e quando la Germania invase la Francia Arendt fu detenuta dai francesi come apolide illegale. Nel 1941 si rifugiò negli Stati Uniti e nel 1950 divenne cittadina americana.

Dalle ricerche messe in atto da Julia risulta che i coniugi Starzynski sono morti ad Auschwitz, mentre dei due figli, la piccola Sara di 10 anni e il fratellino Michel di 4 non c’è alcuna traccia nei documenti relativi alle deportazioni e ai morti nei campi di sterminio.
Questa storia la coinvolge particolarmente e intuisce che in qualche modo la riguarda, comincia così a scavare nel passato per scoprire cos’è accaduto ai due fratellini, e pian piano la storia della piccola Sarah si dipana.

«Il passato custodisce un segreto».

Prima di venire catturata con i suoi genitori, Sarah ha nascosto il fratellino Michel pensando di ritornare in breve tempo, ma la bambina non ha la minima idea di ciò che l’aspetta.
La sua disavventura la porta a incontrare una ragazzina come lei, il poliziotto Jacques che sembra provare una qualche forma di pietà nei suoi confronti, e i coniugi Dufaure che non condividono affatto i metodi nazisti, ma la difterite arriva a complicare tutto…

Julia è determinata a scoprire la verità, vuole sapere se Sarah è ancora viva e, nel caso, che cosa le è successo dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Nel frattempo si accorge di essere in attesa di un figlio ma ciò non la fa desistere e prosegue la sua ricerca che la conduce in Italia…

«Perchè lo fai?»
«Perchè è giusto».

«A volte una verità che appartiene al passato
comporta un prezzo da pagare nel presente»

Da una recensione di Simona (cineblog.it):

Con l’avvicinarsi del Giorno della Memoria approda sugli schermi italiani La chiave di Sara, diretto nel 2010 dal francese Gilles Paquet-Brenner e tratto dall’omonimo romanzo di Tatiana de Rosnay. Il tema è lo stesso già trattato da Vento di Primavera (La Rafle, letteralmente la retata), uscito alla fine del gennaio dello scorso anno: si parla dei tragici (e poco conosciuti) avvenimenti del luglio 1942, quando la polizia francese rastrellò più di 13mila ebrei. Una vergognosa macchia nel passato recente dei nostri cugini d’oltralpe, filtrata questa volta attraverso gli occhi sgranati e increduli di una bambina e quelli della donna che, più di mezzo secolo dopo, si scoprirà coinvolta in prima persona nella storia di Sara.

Non è mai compito facile raccontare la Shoah, la disperazione, la follia omicida, l’orrore inimmaginabile dell’Olocausto. Spesso si tenta (consciamente e non) di cancellare dalla memoria quei fatti tanto tragici ed assurdi, si finge che non siano mai accaduti, che non ci riguardino. Per la mia generazione il velo è stato sollevato nel 1993 da Steven Spielberg con Schindler’s List, che ha voluto raccontare per non dimenticare ed è riuscito a riaccendere il dibattito, a puntare i riflettori nell’angolo più buio del 20° secolo e ad aprire la strada a molti scrittori e cineasti.

La chiave di Sara è costruito in bilico su due archi temporali paralleli, che la sceneggiatura riesce ad intersecare egregiamente. Non mostra le atrocità dei campi di sterminio, ma rappresenta ugualmente bene l’orrore di quei giorni, il silenzio dell’indifferenza e l’impossibilità – da parte di chi è sopravvissuto – di dimenticare e di tornare a vivere un’esistenza normale. La storia di Julia (che ha il volto della sempre brava Kristin Scott Thomas) ossessionata dallo scoprire quale sia stata la sorte della piccola Sara ed alle prese con una gravidanza tardiva quanto inaspettata, che mette a rischio un matrimonio già in crisi, ha i colori freddi e cupi di una moderna metropoli in inverno. La storia della bambina (interpretata dalla piccola Mélusine Mayance) ha invece i toni caldi e seppiati delle vecchie fotografie.

«A volte le storie che non riusciamo a raccontare sono proprio le nostre, ma se una storia non viene raccontata diventa qualcos’altro, una storia dimenticata».

Commento: è un film molto toccante che riguarda un tragico episodio poco noto della Shoah, fatti che nemmeno i francesi contemporanei conoscevano. Una memoria collettiva perduta.
Questo è uno di quei film a cui sarebbe utile anticipare la lettura del libro per comprendere meglio gli eventi rappresentati. “Elle s’Appelait Sarah” è un romanzo storico scritto dalla giornalista Tatiana de Rosnay e pubblicato in Francia nel 2006.

Kristin Scott Thomas, la protagonista del film è un’attrice che mi piace molto, è molto intensa e trasmette bene sensazioni e pensieri. L’ho apprezzata molto anche in “L’uomo che sussurrava ai cavalli”.

Leda

«Quando una storia viene raccontata non può essere dimenticata, diventa qualcos’altro. Il ricordo di chi eravamo, la speranza di ciò che possiamo diventare».

«Siamo il frutto della nostra storia»

Le ostilità tra la Francia e la Germania ebbero inizio dopo l’invasione della Polonia nel 1939 da parte delle truppe tedesche. Hitler salito al potere nel 1933 era determinato a riprendersi il territorio di Danzica che la Germania fu obbligata a cedere alla nuova Polonia, nonostante gli abitanti stessi fossero tutti tedeschi, secondo quanto stabilito dal Trattato di Versailles (1919), che aveva messo fine alla Prima guerra mondiale.
Il fatto provocò la reazione di Gran Bretagna e Francia, le quali dichiararono guerra alla Germania nazista. Ebbe così inizio la Seconda guerra mondiale, che vide l’anno successivo le forze dell’Asse Roma-Berlino occupare gran parte dell’Europa.

Nel giugno 1940 infatti la Germania nazista dopo i Paesi Bassi, il Belgio e il Lussemburgo attaccò anche la Francia, che con la conquista di Parigi si ritenne sconfitta. Fu negoziata la resa tra le delegazioni francesi e tedesche che siglarono un armistizio con cui  il territorio francese venne diviso in due zone:
– la zona occupata a nord con Parigi e lungo le coste dell’Atlantico sottoposta al comando militare tedesco;
– la zona libera a sud in cui venne instaurato il governo di Vichy, guidato dal Maresciallo Philippe Pétain, eroe della Grande Guerra.
A sua volta anche l’Italia dichiarò guerra alla Francia occupando una zona di territorio della Francia sud-orientale fino a ridosso delle Alpi.

Ad opporsi, fermamente contrario all’armistizio con i tedeschi, fu il generale Charles de Gaulle al tempo sottosegretario alla guerra e alla difesa nazionale; lasciò quindi la Francia per la Gran Bretagna dove ottenne l’appoggio del Primo ministro Winston Churchill. Dalle stazioni radio londinesi della BBC, de Gaulle dichiarò che la Francia non era ancora stata sconfitta e lanciò al popolo francese un appello alla resistenza. A tal fine ricostituì una forza militare che chiamò “Forze della Francia Libera” per ovviare all’isolamento e al mancato coordinamento dei gruppi di resistenza francesi, che dovevano fare i conti anche con il collaborazionismo con gli occupanti tedeschi.

Il governo di Vichy, autonomo solo apparentemente dal Terzo Reich, con l’assunzione di pieni poteri da parte del maresciallo Pétain divenne in breve un regime collaborazionista, appoggiato dai movimenti fascisti, nazionalisti e monarchici presenti in Francia. Si allineò rapidamente alle politiche naziste emanando nell’ottobre del 1940 le leggi razziali per definire lo status di ebreo, rendendolo di fatto una categoria separata dal resto della popolazione. Queste leggi dal giugno 1941 furono valide anche nel Nordafrica francese: nell’Algeria francese e nei due protettorati di Tunisia e Marocco rimasti fedeli a Vichy.

In quel mentre in Francia vivevano 330.000 ebrei residenti, più altri 370.000 in tutto il Nordafrica. Numero destinato a salire accogliendo gli esuli provenienti dalla stessa Germania nazista e dall’Europa centrale che fuggivano dalle persecuzioni.
Il regime nazista sostenne una politica di discriminazione e persecuzione nei confronti di diversi gruppi etnici, politici e sociali, tra i quali principale bersaglio furono gli ebrei.

Nel maggio del 1941 iniziarono i primi rastrellamenti su vasta scala sia nella zona occupata dai tedeschi che nel regime di Vichy, in accordo con la Polizia francese. Inizialmente lo scopo era quello di arrestare gli ebrei stranieri e quelli apolidi che avevano perduto la cittadinanza francese, e di internarli nei campi.
Ma ben presto gli arresti riguardarono anche donne e bambini a partire da Parigi nel 1942: il Velodromo d’Inverno una delle pagine più nere della storia del fascismo francese di quegli anni. In realtà la deportazione di quei bambini non era stata prevista, i tedeschi non se l’aspettavano, finirono comunque nelle camere a gas e a quanto risulta di quei bambini nessuno è tornato.
Nel novembre dello stesso anno gli angloamericani sbarcarono nelle colonie francesi del Nordafrica, di conseguenza Hitler occupò i territori del regime di Vichy violando di fatto l’accordo siglato con l’armistizio.

Nella zona francese occupata dagli italiani le norme che regolavano lo status di ebreo furono molto meno rigorose. Le leggi antiebraiche dell’Italia fascista emanate nel 1938 miravano più che altro a colpire gli ebrei nei loro diritti.
I rastrellamenti e la deportazione nei campi di sterminio degli ebrei cominciarono dopo la caduta del governo fascista e l’arresto di Benito Mussolini.

Nel luglio del 1943 Re Vittorio Emanuele III pose a capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio.
L’8 settembre 1943 fu annunciata dalla stazione radio dell’EIAR (l’attuale Radio RAI) la resa del Regno d’Italia e proclamato l’Armistizio, firmato dal governo Badoglio con le forze alleate angloamericane.
Di conseguenza la penisola si trovò divisa in due zone:
la zona a sud occupata dalle forze alleate angloamericane, in cui si rifugiarono temendo ritorsioni il governo, il re e gli alti comandi militari, lasciando senza precise istruzioni le truppe italiane che si dispersero;
la zona dal centro con Roma fino al nord, occupata prontamente dalle forze tedesche che da tempo avevano preventivato un piano.
Il Paese già allo sbando, fu nella confusione più totale e si spaccò in quella che è stata poi definita una guerra civile. Si formarono quindi i primi nuclei di resistenza e ribellione contro le forze nazifasciste e si organizzarono le prime formazioni partigiane dando inizio alla guerra di liberazione.

Nell’Italia settentrionale nacque un nuovo governo fascista guidato da Mussolini e il 18 settembre 1943 venne proclamata la Repubblica Sociale Italiana (RSI), un regime collaborazionista della Germania nazista, conosciuto anche come Repubblica di Salò.
Il 30 novembre 1943 il nuovo governo fascista ordinò l’arresto e la deportazione degli ebrei considerati nemici della patria. I nazifascisti compirono razzie e uccisioni; con le schede del censimento del 1938 furono individuati e arrestati gli ebrei del Ghetto ebraico e di altri quartieri di Roma inclusi donne e bambini, e delle altre città della zona occupata. Internati in campi di raccolta speciali gli ebrei furono infine deportati nel centro di sterminio di massa di Auschwitz-Birkenau in territorio polacco.

«La mia idea rifiuta la violenza. La vera anarchia non ammette violenza. Tutto il male sta nella violenza. È il peggio di tutto».

«Il potere è la lebbra del mondo, il potere corrompe tutto e tutti, è degradante per chi lo subisce e per chi lo esercita.
Una pietra, un chilo di merda saranno sempre più rispettabili di un uomo finchè il genere umano sarà impestato dal potere. Il potere è alla base di tutti i mali dell’umanità.
Il guadagno: il guadagno, la proprietà, la gerarchia sono depravazioni.
L’amore: l’amore deve essere un abbandono senza colpa, libero da ogni egoismo».

«Quante belle cose me dici… che non capisco, e che vorrei capire».

«L’uomo nel principio ha rinunciato al paradiso per la coscienza, ma ciò richiedeva la prova della storia. E questa c’è stata. Mai prima, nessuna specie vivente aveva prodotto un mostro al di sotto della natura come questa guerra. Mai!».

Tratto da: “La storia” del 1986 per la regia di Luigi Comencini. È una miniserie televisiva che si ispira al romanzo storico omonimo di Elsa Morante pubblicato nel 1974, ambientato nella Roma della seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra.

In tutto 4000 bambini arrivarono nei campi con gli autobus, sorvegliati dai poliziotti. Arrivavano nel solito modo, velocemente, al centro del cortile dove c’era un’area separata da filo spinato. I bambini dovevano scendere di corsa perchè altri autobus sarebbero sopraggiunti a gran velocità, e dovevano far subito posto a quelli che aspettavano dietro. Molti bambini, di due, tre o quattro anni non sapevano nemmeno il loro nome, per identificarli a volte si chiedeva a una sorella, a un fratello maggiore, o semplicemente agli altri bambini, se li conoscevano per scoprire come si chiamassero.

Il velodromo d’inverno che si trovava vicino alla Torre Eiffel, venne in parte distrutto da un incendio e quindi demolito nel 1959. È stata posta una targa commemorativa nel vicino boulevard de Grenelle, un’altra targa è affissa in una stazione della metropolitana di Parigi e nel 1994 è stato realizzato un monumento commemorativo.

 

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