«Il film venne girato in ordine cronologico, seguendo l’andamento degli eventi. Questo ci aiutò moltissimo, perché i ragazzi sapevano a livello emotivo, dove si trovavano e non avrebbero avuto idea di dove si sarebbero trovati il giorno dopo. Così, come nella vita vera, ogni giorno era una sorpresa. La loro recitazione non si sarebbe potuta nemmeno definire tale. Era più una reazione agli eventi».
Steven Spielberg
Una sera in una foresta della California atterra una navicella, alcuni esseri extraterrestri stanno studiando l’ambiente e prelevando campioni dalla vegetazione. Alcuni uomini sono sulle loro tracce, e al loro avvicinarsi gli extraterrestri si trovano costretti a partire all’improvviso, lasciando sulla terra uno di loro che non fa in tempo a rientrare.
Elliot (Henry Thomas) è un ragazzino che si sente solo, la madre Mary (Dee Wallace-Stone) sta cercando di superare la recente separazione dal marito, con la piccola e spigliata Gertie (Drew Barrymore) e Michael, il figlio maggiore (Robert MacNaughton) che percepisce le difficoltà della madre.
Dopo una serie di colpi di scena, Elliot incontra uno strano essere a cui dà il nome di E.T., di nascosto dalla famiglia lo accoglie nella sua cameretta. È solo una breve conoscenza ma tra i due nasce un legame molto particolare e molto forte.
Nel frattempo gli uomini continuano la loro ricerca, cercando di intercettare l’extraterrestre.
E.T. curioso, esplora la casa quando e deserta e gli oggetti che contiene. Nel frattempo Michael e Gertie vengono messi a parte del segreto di Elliot, e ci vuole poco perché E.T. diventi il gioco preferito di Gertie! Nell’assistere di nascosto a momenti di intimità famigliari, a E.T. viene una grande nostalgia di casa, decide così di realizzare una rudimentale trasmittente… ma chi lo sta cercando sta per invadere la privacy della famiglia.
Spielberg con il precedente film “Incontri ravvicinati del terzo tipo” mette in discussione il concetto che comunemente si ha dell’estraneo, considerato come un qualcosa di minaccioso, che fa paura e che va combattuto a priori. Con “E.T. l’extra-terrestre” il discorso viene approfondito contrapponendo i due diversi approcci nei confronti dell’estraneo.
Da una parte i ragazzini che meno condizionati dai preconcetti, con fiducia cercano di conoscere e di capire chi è ‘l’uomo dello spazio’ a cui danno un nome: E.T., e con cui stringono un legame accogliendolo nella loro famiglia, di cui presto ne diverrà parte.
Dall’altra l’adulto, che cerca di dominare la paura imponendo il proprio controllo e il proprio potere, cercando di possedere ciò che non gli appartiene; proietta sull’altro la propria aggressività, arrivando a dare per scontato che ‘l’uomo dello spazio’ lo sia altrettanto.
Così alla famigliarità, alla possibilità di comunicare, alla reciprocità con l’estraneo, si contrappone un contesto militare prepotente che vuole esercitare il controllo attraverso l’isolamento, la coercizione, l’accanimento terapeutico, con sterilizzazioni, monitoraggi, interrogatori. La spersonalizzazione come mezzo di potere.
Nella quotidianità rappresentata nel film, invece, si respira allegria e sicurezza: il gruppo di coetanei che gioca, fa dediche alla radio, ordina la pizza, Steve (Sean Frye) che ha il potere assoluto del gioco ma con autorevolezza detta le regole e gestisce la situazione con diplomazia, la presenza della madre, l’amore incondizionato, un cane come animale domestico, tutti coinvolti in una dinamica famigliare in cui ognuno assume un proprio ruolo, secondo coscienza per il buon funzionamento della stessa. E nei confronti dell’auto danneggiata conta di più l’amore per il figlio.
Ma Elliot si sente infelice, evidentemente l’assenza del padre si fa sentire.
Tra Elliot ed E.T. si crea un legame simbiotico, di mutuo soccorso, in cui l’uno prova le sensazioni dell’altro, condividono le stesse emozioni, gli stessi sentimenti.
…esilaranti le scene tra scuola e casa.
Durante il film viene da chiedersi: ma chi è veramente minaccioso?
Il fascino delle luci della città lontana, la musica che si sostituisce alle parole e dà risalto alle emozioni e ai sentimenti, la luce soffusa, i grilli, la foresta, gli alberi secolari… un equilibrio delicato rotto dall’improvvisa luce dei fanali delle auto, dal fumo che esce dal tubo di scarico, il tintinnare forte e insistente delle chiavi, simbolo di potere e di controllo di chi sottomette la natura, la luce invadente delle torce che scrutano, non si vede mai il volto degli uomini che braccano E.T., e la presenza oscura e inquietante del furgone nero.
Illuminante il fatto che l’uomo non pensi di ricorrere alla comunicazione già esistente tra E.T. ed Elliot, ma preferisca l’intervento diretto.
L’aspetto cupo della vicenda viene alleggerito dalle scene divertenti, come quella della palla lanciata da Elliot che gli ritorna indietro, lui che individua impronte sconosciute e gli amici che sdrammatizzano imitando l’ululato del cojote, la reazione a catena quando ognuno si spaventa dell’altro, E.T. mimetizzato tra i peluches nella zona gioco e quando ad Halloween incontra lo Yoda del film “Guerre stellari” del 1977 (Star Wars di George Lucas) e prova nostalgia di casa.
Il tutto addolcito dal vaso dei fiori che rinvengono, i confetti di cioccolato lasciati per segnare il sentiero di casa, come nella fiaba di Hansel e Gretel dei fratelli Grimm. L’uomo che li trova… quello che a 10 anni sognava di incontrare una creatura come E.T., e le mangia pure lui. La scoperta delle lacrime, espressione fisica dei sentimenti, il bacio di Gertie, la carezza di Michael e infine l’abbraccio di Elliot, tutte umane espressioni di tenerezza.
I ragazzini pur essendo avvezzi alle battaglie interspaziali, agli asteroidi, ai dischi volanti, alla magia, a mondi fantastici che vedono anche in TV e nei fumetti, rimangono meravigliati e curiosi di fronte a qualcosa di reale come lo è E.T.. Diventa poi un’occasione di reciproca conoscenza: le palline che con la forza del pensiero volano a rappresentare il sistema solare dove c’è la casa di E.T., Gertie che impara nuove parole alla TV e le insegna a E.T. che impara a parlare…
Pur essendo una storia semplice è un film molto intenso e pieno di significato. Gli effetti speciali, a cui non si era certo abituati in quegli anni della sua uscita nelle sale cinematografiche, rendevano tutto più magico e spesso davano origine a corali esclamazioni di meraviglia, perchè coinvolti emotivamente nel film, lo si viveva in prima persona.
Fondamentale il messaggio che Spielberg vuole trasmettere: è proprio attraverso l’amore, la passione e il coraggio di ribellarsi agli assurdi e irrazionali comportamenti che l’uomo ha voluto imporre nei secoli, che si può ristabilire la giustizia nel mondo e l’armonia con la natura.
Leda
Con E.T. L’extraterrestre per Steven Spielberg si apre la strada a un nuovo genere di film: pellicole più personali, incentrate sulle emozioni e sulle condizioni umane dei protagonisti, come Il colore viola, Schindler’s List e Amistad.
Curiosità:
Steven Spielberg già nel 1978 aveva annunciato di voler girare un film in soli ventotto giorni dal titolo Growing Up (Crescere), era sua ferma intenzione realizzare un breve film autobiografico sulla sua infanzia. Pare che con E.T. L’extraterrestre Spielberg si ispirò a un fatto personale, quando dopo il divorzio dei suoi genitori nel 1960 colmò il vuoto causato dall’avvenimento con un alieno/amico immaginario che gli facesse compagnia.
I tre giovani protagonisti vennero incoraggiati a improvvisare, inventando dialoghi o singole frasi. Per la scena di Halloween, i ragazzi si presentarono sul set già vestiti con i costumi. Spielberg ricambiò lo scherzo, dirigendo per l’intera giornata vestito da maestra.
Per la costruzione pratica della creatura Spielberg si rivolse all’italiano Carlo Rambaldi (1925-2012), con cui aveva già collaborato nel film Incontri ravvicinati del terzo tipo, il quale con E.T. crea il suo capolavoro, vincendo per la terza volta il Premio Oscar per i migliori effetti speciali (dopo King Kong e Alien).
Il 17 settembre 1982, il film fu proiettato alle Organizzazione delle Nazioni Unite, dove Spielberg ricevette una medaglia della pace.
E.T. l’extra-terrestre cita frequentemente varie pellicole e aspetti degli anni Ottanta (giochi, film, programmi televisivi e cibi in voga nel periodo) e a sua volta è stato citato e parodiato in moltissimi film, serie televisive, videogiochi e fumetti.
Il film fu ri-distribuito nel 1985 e nel 2002 con l’aggiunta di nuove scene ed effetti speciali migliorati, ed è stata ridotta la presenza di armi considerate inappropriate, visto gli allora recenti avvenimenti dell’11 settembre.
Nello stesso anno del film, Michael Jackson incise la canzone Someone in the Dark appositamente per un audiolibro dedicato al film E.T. l’extra-terrestre, prodotto da Quincy Jones e conosciuto come “E.T. Storybook” in cui Jackson narra anche la storia del film.
Da non confondere con la colonna sonora del film stesso che è stata composta da John Williams, collaboratore abituale di Spielberg.
E.T. the Extra-Terrestrial
di Steven Spielberg
USA, 1982
Genere: Fantascienza, drammatico
Sceneggiatura: Melissa Mathison
Fotografi: Allen Daviau
Montaggio: Carol Littleton
Effetti speciali: Dennis Muren, Carlo Rambaldi
Musiche: John Williams
Produzione: Amblin Entertainment, Universal Pictures
Distribuzione: Universal Pictures
“Siamo a metà Eliot, non si può entrare in nessuna cosa a metà”
“Eliot sente i suoi pensieri?”
“No, Eliot, Eliot sente i suoi sentimenti”
“Non avete il diritto legale di fare questo, lo spaventate…
lasciatelo in pace, lasciatelo stare, a lui ci penso io…
Lui è venuto da me, è venuto da me!”
“Cosa si può fare che non stiamo già facendo? Cosa?”
“Deve andare a casa sua, sta chiamando la sua gente.
Io non so dove sono. Lui ha bisogno di andare a casa.”
“OK, è un uomo del profondo spazio
e noi lo portiamo alla sua nave spaziale”
“Non ha il raggio spaziomotore?”
“Questa è realtà Greg!”
“Io sarò sempre qui”
Approfondimenti:
La paura dell’estraneo nello sviluppo psicologico umano
Nei primi mesi di vita l’essere umano si sente un tutt’uno con chi si prende cura di lui (Teoria dell’imprinting di Konrad Lorenz) è in totale simbiosi con la “figura materna”, che non necessariamente deve essere la madre, ma coincide con chi lo nutre, gli trasmette affetto e sicurezza.
Pian piano il bambino acquisisce la capacità di distinguere il sé dall’altro e a rapportarsi con altre persone, con l’ambiente esterno. La “figura materna” rimane un punto di riferimento forte che gli dà sicurezza nel superare la paura dell’estraneo, nell’affrontare il nuovo, il cambiamento.
Attraverso le nuove esperienze si acquisiscono maggiore conoscenza, maggiore sicurezza, maggiore autonomia, si sviluppa una propria personalità e ci si apre al mondo.
Traendo spunto dal libro Psicologia di Mario Farnè, Giuliana Giovanelli (Signorelli, Milano 1970), si può comprendere quanta importanza hanno per il bambino le primissime esperienze di vita.
Noi tutti abbiamo avuto occasione di vedere un’anatra che nuota in uno stagno con una fila di anatroccoli che le vanno sempre dietro. Per quanto potremmo credere che tale comportamento degli anatroccoli sia innato, dovuto all’istinto, una spiegazione del genere è inesatta: le ricerche di questi ultimi anni, infatti, ci dimostrano l’importanza fondamentale delle primissime esperienze della vita, di un qualcosa cioè che viene appreso.
L’“andare dietro” (osservabile chiaramente pure nelle oche e in altri uccelli, ma anche in insetti, in pesci e in alcuni mammiferi) fa parte di un fenomeno chiamato impronta.
Esso è un modello di comportamento che si manifesta subito dopo la nascita e che è caratterizzato dalla tendenza a seguire il primo stimolo visivo in movimento.
Lo studio sistematico del fenomeno è stato iniziato dallo zoologo austriaco KONRAD LORENZ. Nelle sue prime ricerche, egli aveva diviso delle uova di oca in due gruppi: un gruppo lo faceva covare dall’oca stessa, mentre l’altro lo poneva in una incubatrice. I paperi covati dall’oca, appena usciti dall’uovo, seguivano immediatamente la madre nei suoi giri; quelli maturati in incubatrice non avevano l’opportunità di vedere la madre, mentre il primo essere vivente che vedevano era Lorenz stesso: appena egli cominciò a camminare, tutti questi paperi gli andarono dietro!
In un secondo momento, lo studioso contrassegnò i due gruppi di animali per essere sicuro di riuscire a distinguerli, poi li copriva tutti sotto una cassa mentre egli stesso e l’oca madre stavano fuori in attesa.
Quando la cassa era sollevata, i due gruppi di paperi si dividevano sempre per andare ciascuno dietro al suo rispettivo “genitore”.
Un dato che risultò subito evidente è che l’animale può venire “improntato” solo in un periodo definito e limitato nel tempo, detto “periodo critico”. È fuori dubbio che l’esposizione precoce a determinate esperienze è assai importante nell’orientare il futuro comportamento dell’individuo (La personalità).
Konrad Lorenz (1903-1989) etologo austriaco, formulò la teoria dell’imprinting che contribuì notevolmente alla comprensione della psicologia umana.
Da un suo studio sulle oche selvatiche si rese conto che le oche appena nate prendevano come punto di riferimento la persona che si prendeva cura di loro, un meccanismo di apprendimento che garantiva la loro sopravvivenza, prima, e poi l’apprendimento degli schemi comportamentali tipici della specie.
Così avviene anche per l’essere umano quando alla nascita riconosce come “madre” la persona che si prende cura di lui.
Testo di riferimento: Psicologia di Mario Farnè, Giuliana Giovanelli – Signorelli, Milano 1970
Imprinting
di Francesca Cilento
Teorizzato dall’etologia e in particolare da Konrad Lorenz, l’imprinting è un meccanismo di apprendimento rapido di comportamenti ancestrali che salvaguardano la sopravvivenza dell’individuo.
Attaccamento
di Francesca Cilento
Per qualsiasi bambino, la madre rappresenta il porto sicuro. L’attaccamento è il processo con cui cerca di mantenersi vicino al suo caregiver, per poter esplorare il mondo in uno stato di tranquillità.
L’evoluzione del comportamento sociale ⇒