La forza della mente – commento al film


La forza della mente
di Mike  Nichols

La diagnosi che il professor Kelekian esprime, senza mezze parole, alla signorina Bearing è qualcosa che nessuno vorrebbe sentirsi dire: «Lei ha il cancro». Più precisamente ha un cancro metastatico dell’ovaio in stadio avanzato.

Vivian Bearing (Emma Thompson) è un’insegnante di letteratura inglese del Seicento, sono colleghi in un certo senso, e sembra accogliere passivamente ciò che il professor Harvey Kelekian (Christopher Lloyd) le sta dicendo. Non le dà neanche il tempo di metabolizzare il colpo infertole, che subito la incalza profilando il trattamento più efficace per quello che ormai è diventato un insidioso adenocarcinoma: la chemioterapia. Proprio per i casi come il suo, stanno mettendo a punto una combinazione sperimentale di farmaci.

È una donna severa, soprattutto con se stessa. Più che sul contenuto di ciò che le stanno comunicando, sembra concentrata sull’uso delle parole, una deformazione professionale che la fa apparire impassibile, dura, “chiusa” nel suo ruolo. Il professor Kelekian pertanto procede spedito nel spiegarle tutta la procedura e gli effetti del trattamento, e ‘mette le mani avanti’… «grazie alla sua determinazione siamo certi che lei potrà sopportare alcuni dei più gravi effetti collaterali».
Non ha scampo, nel vero senso della parola.
Divagano brevemente con un certo distacco consono alla loro professione, che sa un po’ di sfida e che sconfina a tratti nella piaggeria… il dramma messo in atto continua. Dov’erano rimasti? Ah! La cura sarà molto aggressiva: 8 cicli di chemio a dosaggio pieno! È sola, non ha nessuno: è la paziente ideale, e soprattutto potrà dare un contributo fondamentale alla loro conoscenza.

«Oggi è venerdì mattina, il venerdì c’è il giro delle visite, in gergo ‘giro dei letti’… Azione!»

Ci mette poco a rendersi conto che più che un essere umano è una cavia da esperimenti, le vengono rivolte brevi frasi standard, tipo: Come si sente oggi? Bene! Eccellente! Ottimo! È tutta una recita, tutti toccano, tutti parlano… “tutto asportato, 4 cicli a pieno dosaggio, massa palpabile… continui a urinare” come se potesse farlo o non farlo, a comando. È come se lei non fosse lì presente, su quel letto. Ah! i capelli, l’alopecia… una formalità! Per una donna certamente no. Viene sottoposta continuamente ad esami, controlli, analisi, la sua volontà non conta nulla, nemmeno il suo tempo, deve seguire le regole dell’ospedale, “è diventata dell’ospedale”.

«Nella realtà è questo che succede, non potete immaginare come il tempo sia del tutto immobile, è sospeso, pesa. Eppure ce n’è così poco. Va talmente lento, eppure è così poco!»

La TV è sempre spenta, non riceve visite, passa il suo tempo a recitare sonetti, a rivisitare il passato. Unica presenza è l’immagine sacra di San Sebastiano sul comodino, un soldato romano che sopravvisse alle torture prima di essere ucciso, simbolo di sofferenza fisica estrema e di resistenza al martirio.

«Non vi preoccupate, la brevità è l’anima dello spirito. Ma se trovate che per voi questi otto mesi di cura per il cancro possano essere tediosi, pensate che cosa deve essere per me recitare la mia parte!»

La realtà è che non sta bene, più che il cancro è la cura stessa a farla star male, ma continua a sentirsi dire che deve essere molto forte. Lei peraltro ritiene di sapere tutto della vita e della morte, dopotutto è specializzata nei sonetti sacri di John Donne, che esplorano profondamente la mortalità: «so per certo di essere forte, una professoressa inflessibile, che odia i compromessi, ma che accetta volentieri una sfida».
Lo sa bene il suo ex allievo Jason Posner (Jonathan M. Woodward) un giovane ricercatore pronto a tutto pur di farsi largo. Essere visitata proprio da lui è decisamente imbarazzante!

«Non è stata una scena grandiosa, così piena di servilismo, di gerarchie, sfoggio gratuito, supponenza, rivalità sublimate. Mi sento completamente a mio agio, mi sembra un seminario di laureati. Solo che c’è una fondamentale differenza: nei giri di visite leggono me invece dei libri. Una volta io insegnavo agli altri, ora vengo insegnata. È molto più facile, devo solo restare ferma e fare la malata».

«Ho sempre avuto l’abitudine di trattare le parole con rispetto. Ricordo il momento, esattamente l’ora, il giorno e la data in cui le parole diventarono il lavoro della mia vita».

E il suo ricordo va al padre e a lei bambina, e alle storie dei libri illustrati per bambini. Come quando lesse “La storia dei coniglietti addormentati” di Beatrix Potter, e la parola “soporifero”. Il padre che sembrava assorto sul suo giornale, rispondeva alle sue domande e le spiegava il significato delle parole e ad usarle nelle frasi. Le scende una lacrima: tutto diventava chiaro per lei, si fidava di lui e di ciò che le diceva.
«“I coniglietti nella figura dormono, dormono proprio come dicevi tu, per l’effetto soporifero”. Quindi la copertina mi confermava il significato delle parole, come lui le aveva spiegate. All’epoca mi sembrò una magia!».

L’unica ad approcciarsi a lei in modo umano è la capoinfermiera Susie (Audra McDonald), che vedendola molto prostrata suggerisce ai medici di diminuire la dose successiva, ma la cosa non è in discussione. Vivian viene ricoverata e starà in isolamento per due giorni, «la consideri una specie di vacanza» taglia corto il professor Kelekian.

«Sono in isolamento. Sono isolata. Per una volta posso usare un termine alla lettera. La chemioterapia per sradicare il tumore, sento che sta lentamente sradicando in modo efficace e definitivo anche il mio sistema immunitario. Nelle mie attuali condizioni ogni organismo vivente rappresenta una minaccia per la mia salute».

Soprattutto se si tratta di specializzandi… per i quali le misure precauzionali sembrano solo una perdita di tempo.
Vivian tiene a precisare che il motivo per cui è in isolamento non è perché ha il cancro, ma perché un’équipe di ricercatori le sta curando il cancro, ed è proprio la cura a mettere in pericolo la sua salute. Ed è questo il paradosso!

Ella affronta la malattia con onore, è sempre stata una donna decisa, risoluta, «qualcuno potrebbe dire anche fin troppo…» ad esempio il suo ex allievo, l’ambizioso ricercatore a cui manca proprio un minimo di empatia.

«E così il giovane dottore come l’attempata studiosa, preferisce la ricerca all’umanità. Allo stesso tempo l’attempata studiosa nel suo patetico stato di vittima inebetita, vorrebbe che il dottore avesse più interesse per i contatti umani. Ora suppongo che vedremo in che modo l’attempata studiosa rifiutò crudelmente ai suoi inebetiti studenti quel tocco di umana comprensione che ora cerca disperatamente».

Ritornando indietro al suo tempo passato, ai suoi atteggiamenti prova un qualche pentimento, non si sa mai come andranno le cose e si rende conto che alla fine ‘si raccoglie quel che si semina’. Nella sua mente si affollano i pensieri, niente è in grado di distrarla, è assalita dai dubbi, ha paura, non capisce cosa le sta succedendo… «Si ha la sensazione di perdere il controllo» le dice Susie, la capoinfermiera, «le servirà molto coraggio», e per confortarla le porta un ghiacciolo.

Susie è l’unica a regalarle qualche momento di leggerezza, ad essere sincera con lei, a non ingannarla con false speranze, ad aiutarla ad affrontare con consapevolezza ciò che l’attende.

«Non è più il momento di fare schermaglie verbali, niente sarebbe più fuori luogo di una dettagliata analisi dotta, dell’erudizione, dell’interpretazione, della complicazione. No, è tempo di semplicità. Questo è tempo soprattutto di gentilezza. Pensavo di potermi difendere grazie alla mia brillante intelligenza, ma a quanto sembra sono stata smascherata… Ho paura…».

Sta molto male ora, non riesce a trovare le parole… non ci sono parole per spiegare cosa si prova… «È una sofferenza indescrivibile… devo riuscire a dominare il dolore acuto se voglio fermarlo… dolore, una piccola parola… che in questo caso significa essere ancora viva».
Ma contenere il dolore è impossibile e si sta impadronendo di lei. Non resta che metterla sotto morfina, per l’equipe ormai rappresenta solo un esperimento fallito.  Di lei si parla già al passato: “era una grande studiosa… era una celebrità… era odiata dagli studenti…”, cade definitivamente la maschera e diventa palese tutto il loro cinismo.
Ed è ancora l’infermiera Susie a rimediare prendendosi cura di lei, regalandole poche parole e gesti di gentilezza, e soprattutto a far valere le sue ultime volontà.

«Oh, guarda. Una piccola allegoria dell’anima:
“Ovunque ti nascondi, Dio ti troverà”…»

Titolo originale: Wit
di Mike Nichols
USA, 2001
Soggetto di Margaret Edson

Il film scritto per la TV è tratto da “Wit” un’opera teatrale della drammaturga statunitense Margaret Edson, vincitrice del Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1999.
Nel 2003 Marco Tutina e Patrizia Valduga hanno composto un’opera lirica tratta da Wit, intitolata Vita, per il Teatro alla Scala di Milano nel Piccolo Teatro Studio.

«Immaginate l’effetto che le parole di John Donne ebbero su di me: raziocinio, concatenazione, corruscazione, tergiversazione… I termini medici sono molto meno evocativi, ma io voglio sapere lo stesso a cosa alludono i medici quando si accapigliano su di me. La mia sola difesa è riuscire ad acquisire il loro vocabolario».

«Di solito nella preghiera s’implora: “Ricordati di me, Signore”. I veri credenti chiedono al Signore di ricordarsi di loro, mentre l’oratore di questo sonetto chiede a Dio di dimenticare. Noi vogliamo correggere l’oratore per ricordargli quanto sia certa la salvezza.
Ma è troppo tardi, l’incontro poetico è finito, e noi rimaniamo soli con la nostra coscienza
».

È difficile fidarsi e affidarsi agli altri quando percepisci che chi ti sta intorno vive di sotterfugi, di inganni, di sopraffazione degli uni sugli altri. D’altro canto se si ha fede in se stessi e si è dato un senso alla propria vita è incredibile la forza che può avere la mente, nei momenti più bui della vita può portare quella luce a cui potersi affidare.

Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso,
ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della Terra.
John Donne

A un certo punto sarà l’anziana e illustre professoressa Evelyn Ashford (Eileen Atkins) a portarle conforto e a darle forza; le due un un po’ si somigliano, entrambe intransigenti hanno condiviso una passione per le opere del poeta John Donne. Ad accomunarle è l’immagine sacra di San Sebastiano, oggetto di un culto antico che sta anche sulla parete dello studio della professoressa Ashford, un filo invisibile tra le due anime.

Il poeta inglese John Donne (1572–1631) nacque a Londra in una famiglia cattolica. In un’Inghilterra protestante visse molte tensioni personali, affrontando momenti di inquietudine spirituale che lo portarono infine ad abbracciare la Chiesa anglicana, di cui divenne diacono nel 1615. Tra le sue opere scrisse i Sonetti Sacri che vennero pubblicati nel 1633, due anni dopo la sua morte, che indagano temi intensi come la fede, la morte, il peccato, il giudizio divino e l’amore per Dio. È molto apprezzato per la sua intensità emotiva, il linguaggio elaborato e il profondo pensiero filosofico e religioso.

Ma sono anche molto diverse: mentre l’anziana professoressa si è dedicata anche ai suoi affetti, a costruire ricordi, a raggiungere una serenità, Vivian si è concentrata nello studio trascurando di vivere la sua di vita, di divertirsi. Si è nascosta dietro a una facciata austera, giudicante, sviluppando un atteggiamento tutt’altro che empatico, preferendo una vita in solitudine senza emozioni.
Ma non sarà un sonetto di John Donne che la professoressa Ashford declamerà a Vivian… le leggerà invece “Il coniglietto fuggiasco”, una di quelle semplici storie piene di meraviglia che le piacevano tanto quand’era bambina.

“Il coniglietto fuggiasco” (The runaway bunny) scritto da Margaret Wise Brown e illustrato da Clement Hurd © 1942 – prima edizione Harper & Row, 1972, racconta in un modo semplice di un piccolo coniglietto che vuole sempre scappare dalla mamma, la quale gli dice che in un modo o nell’altro lo troverà.  Il coniglietto comprende in questo modo di essere  amato in modo incondizionato.
Margaret Wise Brown (1910–1952) è stata un’autrice statunitense di libri per bambini, innovativa nel suo stile apparentemente semplice che poneva il bambino reale al centro della narrazione. Ella era convinta che i libri per bambini dovessero riflettere il mondo reale e le emozioni vere, non solo fiabe e fantasia. Un suo capolavoro che l’ha resa celebre è “Goodnight Moon” (Buonanotte luna) del 1947, una ninna nanna in forma si poesia.

L’autrice di “La storia dei coniglietti addormentati” è Beatrix Potter (1866–1943) una scrittrice e illustratrice britannica, una delle figure più amate della letteratura per l’infanzia, molto apprezzata per le sue illustrazioni ad acquerello e lo stile narrativo semplice e gentile, ella ambientava le sue storie nella campagna inglese e lasciava sempre una morale per il piccolo lettore. Principalmente conosciuta per “La storia di Peter Coniglio” (The Tale of Peter Rabbit) che fu pubblicato per la prima volta nel 1902, ebbe un enorme successo dando inizio così a una lunga serie di racconti con protagonisti animali antropomorfi. È stata anche una naturalista e illustratrice scientifica, studiosa di micologia (studio dei funghi) creò dettagliate illustrazioni botaniche che però all’epoca vennero snobbate a causa del sessismo dominante.

Il dolore

Descrivere il dolore, talvolta è molto difficile. Nessun esame di laboratorio può documentarne la presenza o l’intensità, poiché il dolore è un’esperienza soggettiva e complessa.
Può essere acuto o sordo, continuo o a tratti, forte o moderato… l’intensità può essere lieve o intollerabile… .
La resistenza al dolore non è uguale per tutti: c’è chi resiste a forti dolori e chi non sopporta un semplice fastidio. La tolleranza al dolore varia a seconda dell’umore, della personalità e delle circostanze, e può modificarsi con l’età.
Il dolore viene captato da particolari recettori che inviano messaggi o segnali come impulsi elettrici lungo le fibre nervose fino al midollo spinale e quindi all’encefalo.
I medici per valutarne la gravità possono utilizzare diversi strumenti e scale di valutazione, sia per scopi diagnostici che terapeutici per il controllo del dolore.

La Costituzione italiana – art. 32: tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Il concetto di autodeterminazione in base al quale “ogni adulto sano di mente ha il diritto di decidere del proprio corpo” è il fondamento legale ed etico del consenso informato.
ll paziente può accettare o rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, inclusi quelli necessari per la sopravvivenza, dopo essere stato adeguatamente informato.

Riconoscere il valore della vita

una vita vera e dignitosa

Oggi la morte viene spesso considerata un evento che può essere rinviato indefinitamente. I progressi della medicina consentono in genere di prolungare la vita dei pazienti con malattie importanti, ma non bisogna scordare che la morte è una fase naturale della vita.

Morte, non essere fiera
pur se taluni t’abbiano chiamata terribile e possente,
perché tu non lo sei,
che quei che tu credi di travolgere non muoiono,
povera morte, ne tu puoi uccider me.
Tu, schiava del fato, del caso, di re e di disperati;
tu, che ti nutri di guerre, veleni e malattie,
oppio e incantesimi ci sanno addormentare
ugualmente e meglio di ogni tuo fendente.
Perché dunque insuperbisci?
Trascorso un breve sonno veglieremo in eterno,
e morte più non sarà, morte tu morrai.

“The Divine Poems”
by John Donne

The Divine Poems” è una raccolta di poesie sacre meno formali e più riflessive, in cui John Donne unisce passione, ingegno e profonda riflessione religiosa e filosofica, che testimonia l’evoluzione spirituale del poeta affrontando momenti di discernimento, preghiera e inquietudine spirituale. La raccolta rimasta nella forma di manoscritti privati fu curata da Helen Gardner e pubblicata nel 1952.

Questa è l’ultima scena del mio dramma,
qui i cieli fissano l’ultimo miglio del mio pellegrinaggio
e il mio tratto, che io pigramente
eppur rapidamente corsi,
a quest’ultimo passo
l’ultimo pollice della mia spanna
l’ultimo istante del mio minuto
e la vorace morte disgiungerà istantaneamente
il mio corpo e l’anima.

John Donne, 1609

Proteggerò il tuo corpo, difenderò la tua anima

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *