Un tempo mi (s)forzavo affinchè le cose andassero nel migliore dei modi, facendo anche tutto da sola, ma poi capii che ciò che io vedevo non corrispondeva esattamente a ciò che gli altri vedevano. Allora mi diedi una calmata e cominciai a calibrare il mio modo d’essere rapportato agli altri e cominciai ad aspettarmi qualcosa, senza per questo rinunciare o delegare ciò che io potevo fare. Condividere una visione comune migliora la strada, alimenta la speranza e insieme si fa meglio.
E imparai a capire su chi potevo contare e su chi no, che c’è un tempo per fare e uno per aspettare, un tempo per parlare e uno per tacere, diventai più elastica e soprattutto imparai ad accontentarmi, a lasciare qualche desiderio inespresso, così da avere sempre un obiettivo davanti e la sensazione di non avere ancora concluso. Che poi se no, si diventa brutti e vecchi, anche a quaranta, cinquant’anni.
E soprattutto, mentalmente, mi ripeto spesso che tutti siamo utili ma nessuno indispensabile, così da ritrovare la giusta dimensione delle cose, che poi la vita va avanti lo stesso anche senza di noi.
@Risonanze