Per affrontare i problemi occorre sempre una strategia, l’ho imparato lavorando al nido con i bambini molto piccoli (dai 3 mesi ai 3 anni di età) quando ancora non usano le parole e si esprimono con il linguaggio del corpo. Il linguaggio verbale non è innato in noi, ma si acquisisce pian piano dalle persone che ci stanno intorno. Da qui l’importanza di parlare ai bambini fin da piccolissimi perchè i bambini ci ascoltano e apprendono: dalla musicalità della nostra voce pian piano prendono forma le parole, le elaborano e divengono infine espressione del loro essere. Con i bambini molto piccoli un potente strumento è l’intuito che ci aiuta a interpretarne i segnali, a trovarne motivazione e ad agire quindi di conseguenza.
Quando fui assunta a lavorare al nido, primi anni 80, mi trovai in una situazione difficile, era in atto un braccio di ferro tra il personale del nido che reclamava un passaggio di livello spettante da contratto, e l’amministrazione comunale che non ne riconosceva il diritto ed era determinata a chiudere questo servizio perchè considerato troppo oneroso dato che il personale impiegato, a differenza dei cicli di istruzione successivi, era interamente a carico del Comune che riceveva dallo Stato un finanziamento non in base al numero degli iscritti, ma addirittura dei frequentanti, quindi molto esiguo visto che il personale comunque era presente costantemente e non in base alle presenze.
L’asilo nido era un’eredità scomoda acquisita dal Comune quando nel 1975 cessò l’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), un ente assistenziale italiano fondato nel 1925 dal regime fascista allo scopo di proteggere e tutelare madri e bambini secondo un piano finalizzato a debellare i tassi di mortalità infantile drammaticamente alti in quegli anni, e di conseguenza portare a un aumento della popolazione italiana.
La sua funzione originariamente era a carattere assistenziale-sanitario, e come accadeva per i bambini in ospedale “quando al mattino il bambino veniva ‘consegnato’ al nido diventava del nido”. L’aspetto psicologico passava in second’ordine o non veniva considerato per nulla, per cui era un servizio pubblico che non godeva di una buona reputazione e i bambini che venivano iscritti erano in netto calo.
In Italia oltretutto si stava facendo largo una nuova generazione di nidi la cui valenza era di tipo socio-educativa-pedagogica, e la qualifica richiesta al personale non era più di puericultrice con una preparazione prettamente sanitaria come avveniva per l’ONMI, ma era richiesto il diploma di assistente all’infanzia meglio definita poi come educatrice agli asili nido la cui preparazione dava molta importanza all’aspetto psico-pedagogico.
Purtroppo questo salto di qualità il personale del nido non l’aveva ancora fatto, perciò l’Amministrazione comunale non intendeva inquadrarlo a un livello superiore e riconoscergli il livello retributivo maggiore. Questo il succo della questione.
Sta di fatto che a me nuova arrivata fu gentilmente chiesto, si fa per dire, visto il clima arroventato che c’era, di prendere posizione iscrivendomi al loro sindacato e chi mi conosce bene sa che non faccio mai una cosa se non è una decisione maturata dentro la mia testa.
Premetto che avevo già avuto contatti con i sindacati in due precedenti, diverse e brevi esperienze di lavoro e posi come condizione di poter incontrare per conoscere i tre sindacalisti che seguivano il settore dei servizi pubblici perchè non avrei scelto in base alla sigla, ma in base alla persona.
Fui molto fortunata, ebbi modo di conoscere una persona squisita che lavorava con passione e conosceva molto bene la realtà dei nidi. Pur essendo io la sola iscritta, partecipò comunque e assiduamente agli incontri con il personale e il suo ruolo fu determinante per attivare un cambiamento.
Insieme decidemmo una strategia: prima conoscere e focalizzare i problemi, poi trovare delle soluzioni e infine formulare un progetto di riqualificazione del nido da assistenziale a educativo. Una volta pronti chiedemmo un incontro con l’Amministrazione comunale e in quell’occasione il sindaco espresse chiaramente la propria opinione che si fondava su un pregiudizio: “i bambini così piccoli stanno bene con le proprie madri”. Ma non poteva non tener conto della realtà industriale del luogo che era in piena espansione e che il servizio se ben gestito sarebbe stato una risorsa importante per la comunità. Così decise di accogliere le nostre proposte, infondo non aveva nulla da perdere.
Fu un lavoro che richiese molta pazienza e dedizione considerando anche la resistenza al cambiamento delle mie sfiduciate colleghe, ma ben presto si accorsero dei benefici che ne traevano e dell’ammorbidimento dei rapporti con i superiori. La passione è contagiosa, si possono fare dei miracoli quando si ha fede e fiducia nelle proprie capacità e nei propri obiettivi.
Nel giro di pochi anni si fu costretti ad adottare una graduatoria per le iscrizioni, arrivavano richieste di genitori anche dai comuni vicini (prima le gelosie di supremazia campanilista lo boicottavano). Ottenemmo oltre ai corsi di aggiornamento di poter partecipare ai Convegni locali e nazionali sugli asili nido. E qui va un ricordo dedicato alla meravigliosa persona di Loris Malaguzzi che ci illuminava col suo grande amore per i bambini e la sua passione per la cultura dell’educazione. Avemmo anche l’opportunità di incontrare il personale dei nidi di Reggio Emilia, che ci sono invidiati da tutto il mondo e che ci diedero un bel scossone alla voglia di fare, adrenalina pura! Potemmo acquistare diverso materiale didattico di qualità, venne accolta una nostra proposta che ripensava l’uso degli spazi e sulla quale venne attuata una ristrutturazione dei locali. E il nostro nido divenne un fiore all’occhiello dell’Amministrazione comunale.
Poi mi trasferii in un’altra provincia e seppi in seguito che ritornarono tempi difficili negli anni 90 per via del blocco delle assunzioni imposto al Comune, essendo carente di personale assorbì quello del nido spostandolo in altri settori e la gestione fu data in appalto a una cooperativa.
Invece il cento c’è
Il bambino
è fatto di cento.
Il bambino ha
cento lingue
cento mani
cento pensieri
cento modi di pensare
di giocare e di parlare
cento sempre cento
modi di ascoltare
di stupire di amare
cento allegrie
per cantare e capire
cento mondi
da scoprire
cento mondi
da inventare
cento mondi
da sognare.
Il bambino ha
cento lingue
(e poi cento cento cento)
ma gliene rubano novantanove.
Gli dicono:
di pensare senza mani
di fare senza testa
di ascoltare e di non parlare
di capire senza allegrie
di amare e di stupirsi
solo a Pasqua e a Natale.
Gli dicono:
di scoprire il mondo che già c’è
e di cento
gliene rubano novantanove.
Gli dicono:
che il gioco e il lavoro
la realtà e la fantasia
la scienza e l’immaginazione
il cielo e la terra
la ragione e il sogno
sono cose
che non stanno insieme.
Gli dicono insomma
che il cento non c’è.
Il bambino dice:
invece il cento c’è.
di Loris Malaguzzi
Loris Malaguzzi nasce a Correggio nel 1920, e una volta compiuti gli studi inizia ad insegnare nelle scuole dello Stato. Nell‘aprile del 1945 aderisce all’ambizioso progetto di un gruppo di gente comune di origine contadina e operaia che in un piccolo borgo di campagna nei pressi di Reggio Emilia, decide di costruire e gestire una scuola per bambini e bambine. E questa fu la scintilla che fece nascere in seguito altre scuole in periferia e nei quartieri più poveri della città, tutte inventate e autogestite.
All’educazione dei bambini provvede un gruppo di insegnanti molto motivati e la battaglia più dura è avere l’aiuto dei genitori che chiedono una scuola diversa, che creda nelle capacità dei bambini: questo esprimeva la convinzione che nei bambini bisogna innanzitutto credere.
Così Malaguzzi ormai lasciata la scuola dello Stato piena di vuoto formalismo, frequenta a Roma un corso di psicologia; al rientro fonda nel 1950 con il comune di Reggio un Centro Medico Psicopedagogico per bambini in difficoltà. Comincia così a lavorare parallelamente nel Centro e nelle scuole autogestite.
Nel 1963 nasce la prima scuola comunale per l’infanzia “Robinson”, che per farsi conoscere dà corpo ad un’idea molto efficace: portare una volta alla settimana la scuola in città, dove si fanno lezioni all’aperto in modo da mostrare alla gente cosa può significare per i fanciulli questa opportunità di apprendimento.
La domanda di accesso alle scuole infantili costituisce sempre più un fenomeno di massa e il Comune decide di aprire altre scuole per soddisfare i bisogni delle famiglie e dei bambini: è una svolta epocale perché segna il diritto a una scuola infantile laica.
Nel 1970 nasce a Reggio il primo Nido per bambini al di sotto dei 3 anni, che rappresenta una conquista per le donne perchè offre l’opportunità di poter conciliare i problemi della maternità, del lavoro e dei bambini.
Nel 1971 insieme a dei collaboratori Malaguzzi scrive il primo testo laico riservato agli insegnanti, ovvero “Esperienze per una nuova scuola dell’infanzia” che racchiude tutta l’esperienza delle scuole di cui Loris era consulente.
Seguono convegni di cui Malaguzzi è relatore e nel 1976, in seguito a dure battaglie per far riconoscere questa sua politica, viene incaricato di dirigere la rivista mensile “Zerosei”.
Nel 1991 una giuria di esperti internazionali riconosce nella scuola dell’infanzia “Diana” di Reggio Emilia l’istituzione più all’avanguardia nel mondo rispetto all’educazione dell’infanzia.
A questo riconoscimento fa seguito nel 1992 il prestigioso Premio Lego (Danimarca), mentre nel 1993 riceve a Chicago il Premio Kohl.
Nel gennaio del 1994 a Reggio Emilia, Malaguzzi muore improvvisamente. Lo stesso anno viene fondata “Reggio Children”, Centro internazionale per la difesa e lo sviluppo dei diritti e delle potenzialità dei bambini.
Il Pensiero:
Malaguzzi crede fermamente che ciò che i bambini apprendono non discende automaticamente da un rapporto lineare di causa-effetto tra processi di insegnamento e risultati, ma è in gran parte opera degli stessi bambini, delle loro attività e dell’impiego delle risorse di cui sono dotati.
I bambini svolgono sempre un ruolo attivo nella costruzione e nell’acquisizione del sapere e del capire. L’apprendimento è quindi sicuramente un processo auto-costruttivo.
La scuola è paragonata a un cantiere, a un laboratorio permanente in cui i processi di ricerca dei bambini e degli adulti si intrecciano in modo forte, vivendo ed evolvendosi quotidianamente.
L’obiettivo principale è quindi quello di fare una scuola amabile dove stiano bene bambini, famiglie e insegnanti, dove lo scopo dell’insegnamento non è produrre apprendimento ma produrre condizioni di apprendimento. E’ fondamentale apprendere e insieme ai bambini e che essi diano forma all’esperienza.
Promuovere la formazione fin dalla più tenera età, favorendo la maggiore e migliore integrazione possibile fra tutte le forme del linguaggio e dell’espressività umane. Sviluppando dunque nei soggetti l’abilità nel trovare autonomamente delle nuove strategie di adattamento di fronte alle problematiche che la vita pone loro davanti.
Nelle scuole di Malaguzzi è posta una grande attenzione al senso estetico in quanto vi è il convincimento che esista anche un’estetica del conoscere: la tesi è che nell’impresa di apprendere e capire c’è sempre, consciamente o no, una speranza che ciò che riusciremo a realizzare ci piacerà e piacerà agli altri.
Malaguzzi introdusse l’atelier nella scuola: se avesse potuto avrebbe sostituito la vecchia tipologia scolastica con una scuola fatta di atelier e laboratori, luoghi dove le mani dei bambini, il fare, il pasticciare, potessero conversare con la mente come è nelle leggi biologiche ed evolutive.
Malaguzzi può essere considerato un “movimentista della pedagogia”: osservava quotidianamente i bambini, confrontava le proprie conoscenze e teorie con bambini veri, cioè che giocano, apprendono, lavorano e si sviluppano. Lottava per ottenere l’estensione dei servizi, la qualificazione del lavoro pedagogico.
Concludendo, si può riassumere il pensiero di Loris Malaguzzi ricordando che privilegiava:
l’attenzione primaria al bambino e non alla materia da insegnare
la trasversalità culturale e non il sapere diviso in modo settoriale
il progetto e non la programmazione
il processo e non il solo prodotto finale
l’osservazione e la documentazione dei processi individuali e di gruppo
il confronto e la discussione come alcune delle strategie vincenti della formazione
l’autoformazione degli insegnanti
Diceva Malaguzzi:
« …i bambini costruiscono la propria intelligenza. Gli adulti devono fornire loro le attività ed il contesto e soprattutto devono essere in grado di ascoltare… »
Commento: la cultura educativa che è nata attorno e dentro ai nidi credo sia un’enorme miniera da cui attingere per riformare sul serio la scuola pubblica proprio per i principi su cui si fonda, ampiamente descritti qui sopra. Va detto per giustezza, che in Italia esistevano allora ed esistono tutt’ora anche altre realtà di eccellenza in altre regioni d’Italia, Reggio Emilia rappresenta il fulcro trainante.
La mia personale esperienza quando sono entrata in un nido a Reggio Emilia è stata come entrare in un sogno ad occhi aperti, tornare bambina. Man mano che proseguivo nel vedere gli spazi, gli arredi, i contenuti, tutte le teorie prima udite e poi tradotte in realtà, riscontrabili nell’ambiente, ho percepito una scuola decisamente su misura del bambino, in cui lui è il protagonista e l’educatore una guida.
Oltre ai bellissimi e originali lavori eseguiti dai bambini esposti nelle stanze, che erano davvero tanti, sulla percezione tattile, dello spazio, del tempo, del giocare con le ombre, la drammatizzazione delle paure e tanto altro ancora. Una cosa in particolare mi ha lasciato una sensazione straordinaria …cercai di immaginare cosa potesse rappresentare per il bambino!
Al centro della scuola c’era un bel giardino interno che illuminava a giorno tutto il corridoio che gli girava intorno, attrezzato a zone d’interesse con giochi fantastici. Sospesi intorno alle finestre c’erano dei fili, alla cui estremità vi era un piccolo specchio che muovendosi spargeva riflessi tutt’intorno. Non so descrivere a parole l’effetto magico prodotto, ma ricordo le nostre espressioni estatiche.
Leda
altri riflessi di luce
TIENI IL SEGNO:
Lettera d’amore alla scuola pubblica
di Luisa Mattia
2 marzo 2011
Quando ero piccola, vedevo mio nonno sfogliare le pagine di un vecchio (e un po’ muffito) vocabolario. Mio padre studiava la sera, dopo il lavoro, per prendersi il “diplomino”. Mia madre leggeva libri, riviste e enciclopedie. Mia sorella leggeva e scriveva perché andava a scuola già da un pezzo. Io ero l’analfabeta di casa. Desideravo andare a scuola, per avere quello che ai miei genitori e al nonno era stato negato: saper leggere, saper scrivere e far di conto… continua
Fonte: luisamattia.com
Lo smantellamento dell’educazione pubblica in Spagna
by Fernando Algaba
26 agosto 2012
Che il neoliberalismo è poco amico dei servizi pubblici non è ormai un segreto per nessuno. Che la crisi stia fornendo ai governi di questa ideologia delle motivazioni più o meno plausibili per svuotare dei fondi necessari la sanità, l’educazione e persino le forze dell’ordine pubbliche (come i vigili del fuoco, di cui ne abbiamo già parlato qui) lo si può vedere giorno dopo giorno, se non in tv, tramite la rete, che smaschera e offre le prove delle bugie e le mezze verità dei media di regime… continua
Al mio breve commento su Twitter, attraverso cui ho letto l’articolo, Fernando Algaba risponde: “Sta a noi evitare che sia così… “
E ha pienamente ragione, ma finchè la bilancia etica pesa più dalla parte di quello che si ha e non su quello che si è, sarà difficile.
Questa crisi mondiale sta ridimensionando parecchie cose in modo positivo, ma sta anche provocando delle forti retrocessioni su aspetti sociali acquisiti con fatica e ora così svuotati del loro valore.
Personalmente sono attiva all’interno della scuola come componente del Comitato Genitori ed è molto inquietante quello che stanno facendo alla scuola italiana: oltre ai tagli di spesa, l’invito a trovare degli sponsor, arredi fatiscenti, strutture ai limiti della norma se non completamente fuori, quota d’iscrizione richiesta alle famiglie come contributo per spese varie, perdita di molte ore di scuola perchè mancano i supplenti e quindi gli studenti entrano 1 o 2 ore più tardi o escono prima. Certo in una situazione di crisi come quella odierna è indiscutibile che occorra fare dei tagli, ma occorre anche fare una scaletta dei valori irrinunciabili tra i quali c’è la scuola …i futuri cittadini di domani… e la sanità. E guarda caso sono sempre questi due settori ad essere penalizzati. Anche nella sanità la situazione è al limite del ragionevole: conosco persone che fanno turni su turni per coprire le assenze per malattia, per non parlare dei tempi di attesa, ecc.
Il problema sostanziale è che il settore della scuola non dà risultati immediati ma si proiettano nel futuro, nella scuola si semina per raccogliere un domani e pensare in quest’ottica, politicamente, è privilegio di pochi.
Leda
IL POTERE DEL SAPERE
In molte scuole e università gli studi umanistici vengono trascurati. Ma per diventare dei bravi cittadini bisogna imparare a pensare in modo critico e a mettersi nei panni degli altri.
Sono in corso cambiamenti radicali in quello che le società democratiche insegnano ai giovani, e su questi cambiamenti non si riflette abbastanza. Attirati dal profitto, molti paesi, e i loro sistemi scolastici, stanno escludendo alcuni saperi indispensabili a mantenere viva la democrazia. Se questa tendenza continuerà, gli stati di tutto il mondo produrranno generazioni di macchine docili, utili e tecnicamente qualificate, invece di cittadini a pieno titolo, in grado di pensare da soli, mettere in discussione le consuetudini, e comprendere le sofferenze e i successi degli altri.
Quali sono questi cambiamenti radicali? Gli studi umanistici e artistici stanno subendo pesanti tagli sia nell’istruzione primaria e secondaria sia in quella universitaria, in quasi tutti i paesi del mondo. In un momento in cui gli stati devono eliminare il superfluo per rimanere competitivi sul mercato globale, le lettere e le arti – considerate accessorie dai politici – stanno rapidamente sparendo dai programmi di studio, dalle menti e dai cuori di genitori e studenti. E anche quelli che potremmo definire gli aspetti umanistici della scienza e delle scienze sociali – l’aspetto creativo e inventivo, e il pensiero critico rigoroso – stanno passando in secondo piano, perché si preferisce inseguire il profitto a breve termine garantito da conoscenze pratiche adatte a questo scopo.
“Stiamo inseguendo i beni materiali che ci piacciono, e ci danno sicurezza e conforto: quelli che lo scrittore e filosofo indiano Rabindranath Tagore chiamava il nostro “rivestimento” materiale.
Ma sembriamo aver dimenticato le capacità di pensiero e immaginazione che ci rendono umani, e che ci permettono di avere relazioni umanamente ricche invece di semplici legami utilitaristici. Se non siamo educati a vedere noi stessi e gli altri in questo modo, immaginando le reciproche capacità di pensiero e emozione, la democrazia è destinata a entrare in crisi perché si basa sul rispetto e sull’attenzione per gli altri. Questi sentimenti a loro volta si basano sulla capacità di vedere le altre persone come essere umani e non come oggetti.”
tratto da: Il potere del sapere di Martha C. Nussbaum
Martha C. Nussbaum è una filosofa statunitense che insegna all’università di Chicago. Questo articolo è tratto dal suo nuovo libro, Non per profitto, che sarà pubblicato dal Mulino.
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Caro Gianni, a me fa da sempre un po’ orrore un ordine sociale che per soffocare la libertà ha prodotto l’autoritarismo e il permissivismo, che sono le due varianti, solo apparentemente contraddittorie, della stessa logica. E che, secondo le circostanze e le convenienze, spinge un po’ sull’uno e un po’ sull’altro, un po’ nega un po’ concede, un po’ autorizza e un po’ vieta. Direi che è un po’ la morale della case chiuse, tipica del costume italiano: i peccati e le nequizie sono consentiti se consumati in incognito. L’importante è fingere di non essere quello che si è.
Devo anche dirti che fra i miei studenti sono abbastanza apprezzato per non essere né dispotico né lassista e per pretendere da loro il massimo del senso di responsabilità senza ricorrere a quegli stupidi e inutili strumenti di coercizione che sono le note, i voti in condotta, i richiami del preside. Certo, mi capita spesso di difenderli ma solo perché sono senza difese, senza mediazioni, imparano quello c’è da imparare, quello che di vivo noi comunichiamo, che non è contenuto nei nostri programmi ma nei nostri sguardi, nella coerenza con cui teniamo fede o meno a ciò che predichiamo.
Quindi imparano ad essere cinici, ignoranti e feroci se leggono (perché leggono) o ascoltano in Tv (perché il regime gliel’ha imposta come unico strumento di formazione, per confonderli, rincretinirli e ridurli a oggetti di consumo) che la disonestà viene premiata e l’onestà calpestata e offesa.
Vedi, tu parli della loro responsabilità individuale e non ti curi, evidentemente, della nostra nei loro confronti; tu forse credi che vivendo come vivono abbiano tutto ciò che si può desiderare di avere. Glielo abbiamo fatto credere ma per quella meravigliosa legge della storia che è l’eterogenesi dei fini, oggi anche tu, come me, devi prendere atto che è tornata la rivolta, che sarà magari di poco peso e di breve durata ma che comunque esprime un malessere, una rabbia che sta giustamente preoccupando i moderati dei due centri destri e sinistri, giacché se questi ragazzi che occupano scuole e facoltà ne diventeranno consapevoli, se la prenderanno in mano, forse noi che siamo vecchi vedremo un ultimo respiro di giovinezza precipitarci addosso, e spazzarci via. Un caro saluto. Marino.
di Marino Bocchi, La rivolta
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