«Credi che riusciremo mai a trovare un pianeta
dove tu ed io saremo uniti
al di là del silenzio e al di là dei suoni?»
Presso un istituto per non udenti del New England arriva un nuovo insegnante, James Leeds (William Hurt), il cui curriculum è notevole. Ha prestato la sua opera nelle migliori scuole del paese, ha lavorato pure come barista in una tavola calda, e come dj curava le trasmissioni dedicate ai sordomuti… così dice con ironia al direttore e, come capita spesso, viene subito messo in riga.
«Noi non vogliamo cambiare il mondo da queste parti. Cerchiamo solo di aiutare qualche ragazzino sordomuto a cavarsela un po’ meglio, nient’altro, tutto il resto è fumo negli occhi»
È un insegnante un po’ singolare, sa catturare l’attenzione dei suoi studenti adolescenti, passando attraverso le loro passioni.
Nella sala-mensa della scuola l’attenzione di James viene attratta da Sarah (Marlee Matlin), una giovane donna sorda fin dalla nascita giunta all’istituto all’età di 5 anni con un grave ritardo nello sviluppo, ed è rimasta lì a lavorare come addetta alle pulizie. «Una delle allieve più brillanti che io abbia mai incontrato» dice il direttore, ma Sarah è scontrosa, sarcastica e isolata nel suo silenzio.
James è un insegnante ricco di risorse, e scavalca i pregiudizi. Quando mai un sordo sente la musica? – pensano tutti – ed è proprio attraverso la musica che nei ragazzi riesce a creare quell’entusiasmo necessario per mettersi in gioco, sperimentare divertendosi. Irrimediabilmente attratto da Sarah, dal suo carattere caparbio e dalla sua unicità, tenta di aiutarla ad uscire dal suo silenzio e di migliorare la sua vita, e trova nel suo passato la chiave di lettura che sarà proprio Sarah a svelare.
Lei vuole prima di tutto essere se stessa, non vuole essere cambiata, ma nel contempo si sente rifiutata dal mondo “normale”. Ormai le loro vite sono cambiate e non possono che andare avanti, soffriranno entrambi, si faranno del male, cambieranno se stessi e troveranno quel punto d’incontro che supera l’incomunicabilità. «Vuoi essere solo te stessa?…Ma chi diavolo sei tu?» James l’aggredisce…
La diversità fa paura perchè scardina quelle certezze che ci fanno sentire indiscutibilmente nel giusto.
Esistono ancora inutili quanto dannosi pregiudizi verso le persone che vivono una realtà diversa da quella ritenuta “normale”, che poi stabilire cosa sia normale è tutto da vedere. Dipende dal punto di vista con cui si guarda.
Per esempio Sarah è una persona che si rifiuta di usare la parola per comunicare le proprie sensazioni, ma è capace e disinvolta nell’usare un linguaggio non verbale, balla e si fa trasportare dalla musica, cosa che a James risulta difficile, appare goffo e impacciato, ma ne è profondamente affascinato.
Attraverso Sarah imparerà ad entrare nel suo mondo, a recepire la diversità come un arricchimento, come tanti mondi che possono trovare un punto d’incontro partendo dal presupposto che nessuno detiene la supremazia sugli altri.
Un film di spessore, tratto da una piéce teatrale di Mark Medoff, che ti tocca profondamente, anche attraverso la musica che esalta la misticità del silenzio e l’assordante mondo in cui viviamo.
I veri sordi sono coloro che non sanno ascoltare i messaggi della propria anima, i veri ciechi sono coloro che si sottomettono al culto del corpo artificiale, estraneo, automatizzato, i veri muti sono coloro che non sanno esprimere sentimenti ed emozioni, incapaci di percepire la bellezza in ogni gesto, il suo significato, l’energia che produce. Viviamo in un mondo di finzione dove quello che importa è il far credere di… piuttosto che il sentire di…
Allora viene da chiedersi che cos’è la normalità, e quanti si nascondono dietro di essa, se ne facciano un alibi per giustificare la pigrizia e l’egocentrismo nel non tentare di migliorarsi, giudicando e pretendendo che sia il mondo a farlo. Ma il mondo siamo noi ed è dalle piccole cose che bisogna cambiare, dal singolo individuo, così da ottenere un insieme di entità diverse ma accomunate dallo stesso spirito.
Leda
Titolo originale: Children of a lesser god
di Randa Haines
USA, 1986
Genere: drammatico
Cast: William Hurt, Marlee Matlin, Piper Laurie, Philip Bosco,
Allison Gompf, John Cleary, Philip Holmes, Georgia Ann Cline,
William D. Byrd, Frank Carter Jr., John Limnidis
Sceneggiatura: Hesper Anderson, Mark Medoff
Musiche: Michael Convertino
Fotografia: John Seale
Montaggio: Lisa Fruchtman
Produzione: Burt Sugarman Production
Distribuzione: UIP (1987) – CIC VIDEO
«Non pensa che tu sia stupida. Pensa che tu sei sorda.»
« … »
«No, solo gli stupidi che ci sentono benissimo
credono che le persone sorde siano anche stupide.»
«I ragazzi che ci sentono non si sono mai preoccupati
di imparare il mio linguaggio, ero sempre io
quella che doveva imparare a parlare. Così io non parlo»
«Il sesso è sempre stata una cosa che potevo fare bene
al pari delle ragazze normali…anche meglio!»
«Tu vuoi dei bambini sordi? Pfiuu…che vuoi che ti dica?
Che voglio dei figli sordi? No, non li voglio…
ma se lo fossero sarei felice lo stesso.»
«Tutti hanno sempre avuto la pretesa di conoscermi
e io li ho lasciati fare… lei vuole… lei pensa…
e il più delle volte si sbagliavano.
Non immaginavano neanche quello che dicevo, volevo, pensavo»
«Amore è essere uniti in un rapporto,
essere distinti ma in una sola unità.
Ecco che cosa voglio, ma tu pensi per me,
pensi per Sarah, quasi come se io non esistessi….
Finchè tu non mi permetterai di esprimere
la mia personalità al pari di te,
tu non potrai mai penetrare il mio silenzio, nè conoscermi.
E io non permetterò a me stessa di conoscerti.
Fino a quel momento noi due non potremo mai
essere uniti, così (linguaggio dei segni)»
Breve storia della lingua dei segni
La comunicazione visiva dei sordi è nota sin dall’antichità, anche se le notizie su quello che allora veniva chiamato linguaggio mimico o dei gesti sono molto frammentarie.
Il primo a descrivere nei suoi scritti in modo più sistematico la lingua dei segni usata dai suoi studenti sordi è l’educatore e fondatore della Scuola di Parigi per sordi, l‘Abbè de L’Epèe, che nella seconda metà del 700, decide di utilizzare questa forma di comunicazione per insegnare la lingua scritta e parlata aggiungendo dei segni da lui creati corrispondenti ad elementi grammaticali e sintattici della lingua francese.
Sicard, successore di L’Epèe, è stato un grande studioso della lingua dei segni e in generale tra gli illuministi francesi, nello stesso periodo, si può riscontrare un interesse per i diversi aspetti della comunicazione umana.
Lo statunitense Thomas Hopkins Gallaudet, affascinato dall’opera di Sicard, si reca in Francia e dopo un anno di tirocinio presso l’istituto dei sordi di Parigi, decide di ritornare in patria nel 1816. Nel viaggio di ritorno in nave durato un anno, impara la lingua dei segni francese (LSF) da un educatore sordo dell’istituto che porta con sè: Laurent Clerc.
Gallaudet ha portato negli Stati Uniti la lingua dei segni francese, che si diffonde grazie alla nascita di istituti per sordi (la prima scuola è quella di Hartford nel Connecticut), e combinandosi con dei segni allora in uso presso la popolazione locale, ha dato origine alla lingua dei segni americana (ASL) (possiamo infatti notare ancora oggi delle somiglianze significative tra la LSF e l’ASL).
Gallaudet è famoso, inoltre, per aver fondato la prima università al mondo per sordi.
Anche in Italia esiste e viene usata una lingua dei segni: esistono testimonianze al riguardo di educatori sordi della prima metà dell’800. Ma il Congresso di Milano del 1880 e la svolta rigidamente oralista che ad esso si accompagna, impedisce che questa forma di comunicazione abbia un’ampia diffusione soprattutto in ambito educativo: proibita nelle classi si diffonde nei corridoi con un conseguente impoverimento linguistico e una conseguente mancanza di consapevolezza che la lingua dei segni italiana costituisca la lingua madre dei sordi, non inferiore alla lingua degli udenti.
In tutti i paesi, comunque, la lingua dei segni inizia ad essere studiata da un punto di vista linguistico solo a partire dagli anni sessanta. William Stokoe, un ricercatore americano, fu il primo a dimostrare che questa forma di comunicazione non è una semplice mimica, ma una vera lingua, con un suo lessico e una sua grammatica, in grado di esprimere qualsiasi messaggio.
La lingua dei segni a scuola: una storia di bilinguismo
La LIS, la Lingua dei Segni Italiana è una lingua con una propria morfologia e sintassi, alla pari delle lingue vocali. Attraverso questa il segnante (colui che usa i segni per comunicare) trasmette conoscenze e informazioni, stimolando le competenze di base della comunicazione visiva, ossia capacità di trasmettere un’informazione tramite “ciò che si vede” (le espressioni, la postura, i gesti).
Prevede l’uso simultaneo di più canali e di diversi segnali espressivi, nella realizzazione dell’atto comunicativo: i segni sono prodotti dalle mani, ma anche da diverse parti del corpo, con alterazioni dell’espressione facciale, della direzione e della postura. Ciascuna di queste componenti risponde a una grammatica ben precisa, nel caso di verbi, a una diversa coniugazione per il singolare e il plurale.
La lingua dei segni offre benefici anche ai bambini udenti, oltre a quelli sordi. Infatti la conoscenza della LIS, al pari di una lingua straniera, contribuisce allo sviluppo di una personalità ricca ed equilibrata, favorisce l’apertura mentale e la plasticità percettiva, stimolando la capacità di adattamento a contesti diversi.
Estratto da Radio Magica
Fondazione Radio Magica onlus nasce da un progetto del 2010 di Elena Rocco, ricercatrice presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si pone l’obiettivo di offrire spazi di condivisione on line di qualità, atti a valorizzare le abilità, la creatività e l’espressività di bambini e ragazzi, coinvolgendoli nella creazione di contenuti educativi interessanti al fine di stimolare la curiosità e il piacere dell’ascolto. Si rivolge anche agli adulti a sostegno della genitorialità e offre formazione “facendo rete” tra associazioni, specialisti e ricercatori.
Particolare attenzione è rivolta anche alla cultura della solidarietà, della cittadinanza attiva e un giusto approccio alla diversità; si inserisce nella realtà del territorio con la realizzazione di progetti, seminari, laboratori dedicati ai bambini della scuola dell’infanzia e ai ragazzi della scuola primaria e secondaria di primo grado.
Per approfondire: Radio Magica – Molto di più di una radio
Riflessione: noi italiani siamo famosi per la nostra gestualità che accompagna l’uso delle parole, fa parte della nostra cultura, evidentemente. Ho cari alcuni ricordi che si ricollegano a un efficace uso dei segni: quando lo usavamo per comunicare ciò di cui avevamo bisogno durante il pranzo in colonia, a scuola quando era imposto il silenzio e l’insegnante era distratto, per non farci scoprire usavamo l’alfabeto muto. Negli anni sessanta era molto in voga “Il gioco del mimo” che ci piaceva tanto fare a scuola durante l’intervallo: uno a turno mimava un oggetto, o un animale, o un’attività e gli altri dovevano indovinare. Era un gioco molto intrigante farsi capire con la gestualità, e nascevano di quelle gag divertentissime. Certamente in tutto questo grande influenza hanno avuto le comiche e il cinema muto.
Pena de l’alma – Vinicio Capossela
(Charlie Chaplin, Il vagabondo)