Uno pensa: non c’è lavoro… e allora mi metto in proprio! Ma la tendenza di oggi è quella di aprire un bar che è l’esatta copia degli altri bar (troppo) vicini; la pasticceria simile a quella un po’ più in là, le stesse paste, le stesse torte; un negozio per gli arredi di casa “ciucià e spuà” a quell’altro; 1, 2, 3 pizzerie da asporto che una volta almeno erano al taglio, ora sono tutte rotonde, una fa il panaro e via tutte a copiare… Vabbè che le licenze sono libere, ma che so’, non si può pensare a una paninoteca, a una gelateria, a una piadineria, a una rosticceria, a un negozio dell’usato, a una merceria seria, alla sarta, al calzolaio…?
Suvvia un po’ di fantasia, è l’originalità che fa la differenza!
Poi si sa, tira di qua, tira di là l’utenza è sempre quella… uno apre e la curiosità attira, ha un anno di tempo davanti prima di ritrovarsi oberato da tasse e balzelli, sperando che nel frattempo a nessuno venga la stessa idea o sarà il suo turno di vedersi intorno il deserto. Intanto gli altri esercizi registrano un brusco calo e con gli alti costi che ha un’attività in proprio, in breve tempo i conti non tornano… e si tira a campà, finchè non arriva il prossimo “che apre lo stesso locale, nello stesso paese, magari proprio vicino al tuo, che credevi di scamparla bella…”
Qualche ventennio fa esistevano delle regole, un certo ordine, prima di aprire un’attività ci si chiedeva se era necessaria in loco, altrimenti si optava per un altro paese, un altro quartiere, così da avere il giusto riconoscimento, un giusto spazio, un giusto senso, si producevano più servizi, più variegati.
Però (l’altra faccia della medaglia), bisogna riconoscere che esisteva un certo lobbismo: il giornalaio che premeva per essere l’unico, il tabaccaio che aveva il suo monopolio, il barbiere che mandava a controllare i prezzi dell’altro per tenerli sempre un po’ più bassi (pur di fregargli i clienti disponibilissimo anche a rimetterci…), il macellaio che solo lui aveva la carne buona…altro che i supermercati!
E chi in Comune rilasciava le licenze storceva sempre il naso. Come quella volta: primi anni Novanta, un tale da fuori paese (mi raccontò) aveva chiesto di poter aprire una pizzeria al taglio. Alla sua richiesta il funzionario donna cominciò a tergiversare: “ma non è il caso… il paese è piccolo e la pizzeria c’è già… non avrebbe successo, tutti soldi sprecati. E poi dove avrebbe aperto? C’erano le giuste distanze? La giusta proporzione in base alla popolazione?”
Lui si fece convincere e lasciò perdere. Due anni dopo c’erano tre pizzerie da asporto…
Non rilasciando altre licenze esisteva pure la prassi di venderle e il prezzo variava a seconda del giro d’affari e del numero della clientela, più acquirenti c’erano più il prezzo saliva…
magari per capriccio la vendevano a meno, proprio a quella più simpatica di te…
Ci vuole un po’ di perspicacia e capire che così si rovina il mercato, si punta al ribasso e si deteriora. Chi ha dedicato anni a formarsi, ad aggiornarsi per dare qualità a ciò che offre, ora si trova costretto ad arrancare e a scendere a compromessi come non avrebbe mai voluto fare.
Non è il denaro che fa un professionista ma la sua passione, la sua dedizione che dovrebbero essere premiate.
Leda