Foto personale
Nella mia infanzia durante il mese di dicembre si andava a raccogliere il muschio nei campi, sovente innevati. Il muschio migliore, guarda caso, quello spesso, soffice e di un verde brillante, si trovava nelle zone di tramontana dove il sole è avaro e la neve è l’ultima a sciogliersi. Per prelevarne le zolle occorreva un coltello, quello d’acciaio del vecchio servizio di posate, le si faceva poi asciugare al sole per alcune settimane battendole delicatamente per far scendere la terra sottostante. Eh sì, l’odore del muschio è un ricordo indelebile.
Il muschio serviva per il presepe che in prossimità del Natale si allestiva in un angolo della casa, in versione nostrana, niente a che vedere con la morfologia della terra di Betlemme: le montagne le si costruiva con pezzi di legna da ardere ammonticchiati e rivestiti con carta marrone, quella dei sacchetti del pane, stropicciata, appallottolata e grossolanamente distesa.
In un angolo si andava a formare una cavità, la grotta della natività dove porre Gesù, tra la paglia della culla la notte di Natale. Si soleva accostarne un’altra, di grotta, sul fondo della quale sapientemente si poneva uno specchio così da creare l’effetto moltiplicato delle genti e degli animali diretti a portare doni a Gesù.
Sparso dappertutto il muschio, e la segatura a delimitare la strada dove transitavano i pastori di creta con le loro pecore e il cane-guardiano. C’è chi porta sulle spalle un sacco di grano, chi suona la cornamusa e chi, un vero pezzo d’antiquariato, porta la lanterna dai colori stinti. Il pifferaio, il mio preferito, ha il suo posto fisso sul ponticello sotto cui scorre il ruscello di carta stagnola che confluisce nello stagno delle anatre (un altro specchio) dove la lavandaia lava i panni, e dietro la fattora pascola le sue oche. Qualche casetta sparsa qua e là con le finestre rivestite di carta velina emana una luce fioca, la lucina della catena luminosa, ben nascosta, sta nel foro retrostante. E sulla montagna domina un castello, accanto qualche daino, un cervo, un pino spolverizzato di bianca farina. E sopra tutto la stella cometa che indica la strada ai Re Magi ancora lontani dietro le montagne con i loro cammelli, un lungo viaggio che termina con l’Epifania.
Si potevano così spegnere le luci, e si rimaneva là a lungo, a guardare e rimirare il paesaggio surreale.
Arrivava infine la vigilia di Natale e la sera tardi si sentiva giungere di lontano le note di “Tu scendi dalle stelle” dal suono delle cornamusa degli zampognari, vestiti di lana d’agnello con un ampio mantello. Sembravano usciti da qualche presepio ad annunciare il lieto evento. Casa per casa si fermavano pochi minuti, e una soave magia s’impadroniva di noi bambini, che seppur assonnati, si rimaneva alzati ad attenderli.
La mattina di Natale si andava con tutta la famiglia alla Santa Messa, e al ritorno si giocava fino all’ora di pranzo. Poi in piedi tutti zitti intorno alla tavola apparecchiata, la TV accesa, non si toccava cibo finchè non finiva il tradizionale Messaggio del Santo Padre, l’allora Giovanni XXIII, il Papa buono che impartiva la benedizione Urbi et Orbi. Poi ci si sedeva e riprendeva il dialogare davanti all’immancabile brodo di carne fumante con dentro le tagliatelle tirate fini e tagliate a mano da mia madre, a seguire qualche arrosto con contorno.
Nel pomeriggio si andava tutti a vedere il presepe animato con i meccanismi costruiti minuziosamente dai frati francescani, con effetti visivi e sonori che erano un’autentica meraviglia!
Le cose in quegli anni erano ben diverse da come vanno ora. Il Natale era una festa prettamente religiosa, legata a un momento intimo famigliare, in cui si stava di più insieme, si cucinavano cose buone e l’atmosfera magica era legata all’arrivo del bambin Gesù. Una festa quasi totalmente priva di risvolti consumistici, ridotti al solo consumo del pandoro o del panettone, del mandorlato e dello spumante rigorosamente italiano.
A quei tempi non si usava molto fare l’albero, ma i miei genitori nei primi anni Settanta decisero di acquistare un’abete vero a un prezzo modico… fu un’occasione, disse mia madre, e infatti gli aghi erano sul principio di cadere. In quel lontano Natale divenne esso stesso oggetto di un aneddoto un po’ drammatico ma allo stesso tempo divertente:
L’albero, si decise di metterlo fuori in terrazza così con il freddo, aveva pure nevicato, si sarebbe mantenuto più a lungo. Uno dei miei fratelli che frequentava il primo anno della scuola di elettronica, volle dare sfoggio della sua abilità e gli venne la brillante idea di decorarlo con il sacco delle palline di plastica colorata che la zia ricca, dovendole eliminare, ci aveva regalato l’estate prima. Facemmo un piccolo buco e in ognuna infilammo la lucina della catena luminosa e poi decorammo l’albero. Ma occorreva una prolunga piuttosto lunga per arrivare alla presa che stava proprio dietro la porta d’ingresso, così recuperò un filo, una presa e una spina e la costruì con le sue mani.
Io a quel tempo avevo solo dieci anni e mi incaricò di inserire la spina nella presa. Ero fiera di poter svolgere quel compito e mi prodigai con una certa solennità ad eseguire le istruzioni. Ma qualcosa andò storto, come inserii la spina ci fu una grossa scintilla e proprio come nei film …la fiamma corse velocemente lungo tutto il filo fino all’albero che subito divampò e si spense diventando tutto nero!!
Le facce che facemmo!!
Eravamo stati tutti colti di sorpresa, chi si aspettava una cosa del genere?…Probabilmente il filo era danneggiato, ma il fratello-ideatore si voltò e posò uno sguardo minaccioso su di me, io tentai di spiegare… ma vidi bene il caso di filarmela svelta, rincorsa dalle urla e dalle invettive di chi mi considerava responsabile del fattaccio… 😅
Vabbè, per quell’anno ci dovemmo accontentare, ma l’anno dopo fu acquistato un bell’abete che mettemmo accanto al camino e tra le decorazioni (sorpresa!) scoprimmo appese delle figurine di cioccolato… che delizia!
Leda
Tu scendi dalle stelle – Andrea Bocelli (2009)