Strade e autostrade


Foto personale

Col riflesso del sole, un gioco di ombra e di luce
di rara e unica bellezza, le nuvole han dato spettacolo di sè
in una domenica dello scorso maggio.

Quello nella foto è il suggestivo ponte strallato sull’Adige del nuovo tratto autostradale, tanto agognato, della A31 della Valdastico, che collega le zone a sud della provincia di Vicenza e di Padova, per immettersi poi nella strada statale Transpolesana che da Verona porta a Rovigo.

Il ponte strallato è un ponte di tipo “sospeso” nel quale l’impalcato è retto da una serie di cavi (gli stralli) ancorati a piloni (o torri) di sostegno. Una tipologia che si sta imponendo come soluzione ideale per superare le medie e grandi luci fino ad oltre i mille metri. L’idea di sorreggere una trave con funi inclinate, gli stralli, è antichissima: i ponti levatoi medioevali e, molto prima, i picchi delle navi egiziane, ne sono un esempio.
Le prime applicazioni di tale sistema nella costruzioni di ponti, apparvero sin dai secoli XVII e XIX, rispettivamente in italia (Fausto Veranzio), in Germania (Immanuel Löescher) ed in Inghilterra (Redbath and Brown). Nei primi anni del 1800 in Inghilterra e Germania si verificarono due drammatici crolli di opere di questo tipo, per cui vennero abbandonate in favore del ponte sospeso tradizionale, che ebbe grande sviluppo con le note realizzazioni nord americane. Soltanto nel 1938 il ponte strallato viene riscoperto e riproposto, nei primi anni del 1950, in Germania per la ricostruzione di alcuni ponti sul fiume Reno, una tipologia che va a riaffermarsi anche in altre parti del mondo.
In Italia, quello sul fiume Adige è al momento della sua costruzione, il ponte strallato con la maggior luce (310 m) e la cui lunghezza complessiva è di 1087 metri.

Un tratto autostradale tanto agognato perchè abitare in provincia, dove la viabilità è scarna e i mezzi pubblici ridotti all’osso, diventa complicato intraprendere e far coincidere ogni cosa. Pur essendo in linea d’aria vicini ai capoluoghi di provincia, è la viabilità rimasta per decenni immutata a renderli “lontani”. Strade strette, a due corsie in doppio senso di marcia, prive di piste ciclabili, che attraversano il centro dei paesi, dove spesso si verificano rallentamenti, frequenti tamponamenti, inutili sprechi di carburante e inquinamento. Non a caso la Padana inferiore veneta è stata oggetto di numerosi rilevamenti sull’effettiva percorribilità, che per lunghi anni ha penalizzato le attività industriali, artigianali e commerciali di aree depresse che cercavano di riscattarsi.

Più precisamente si tratta dell’ex strada statale 10 Padana Inferiore, che pur avendo un ruolo di primo piano nella rete delle comunicazioni stradali nazionali, in seguito a un decreto legislativo del 1998 passa dall’ANAS alle Regioni diversificando la classificazione e subendo una declassazione. Diventa quindi strada regionale in Veneto e strada provinciale in Piemonte, in Lombardia, in Emilia-Romagna (tuttavia la segnalazione non è stata aggiornata, e risulta ancora quella dell’ANAS).
È una delle più note arterie stradali del Nord Italia, istituita nel 1928 con un percorso che ha origine a Torino e termina a Monselice, attraversando così la parte meridionale inferiore della pianura padana, innestandosi poi nella strada statale 16 Adriatica, istituita anch’essa nello stesso anno con un percorso che da Padova doveva portare a Capo Santa Maria di Leuca in Puglia, ma che nel 1937 viene deviato verso Otranto.

Ironia della sorte, l’ampliamento della A31 della Valdastico, gestita interamente dalla società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova S.p.A. è resa in parte sì finalmente disponibile, ma in forte ritardo perchè nel frattempo le imprese sono state decimate dalla lunga crisi economica.  Per cui oggi l’infrastruttura può apparire superflua da un punto di vista soggettivo e superficiale, in realtà sta favorendo un flusso turistico ai bellissimi borghi e città murate ai più ancora sconosciuti, incentivato anche da una rinnovata attenzione dei mezzi di comunicazione alle bellezze d’Italia.

Il Castello Carrarese di Este – Foto personale

La A31 della Valdastico soprannominata Pirubi, è un’autostrada che ha una sua storia che in qualche modo rispecchia l’approccio politico (inteso in senso generale) italiano, in cui spesso prevale l’interesse personale su quello dell’intera comunità secondo la tesi, piuttosto discutibile, che il fine giustifica i mezzi.

LA “PI-RU-BI”

Tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta tre politici della Democrazia Cristiana: Flaminio Piccoli, Mariano Rumor e Antonio Bisaglia impiegarono molte delle loro energie per un progetto comune: realizzare un’arteria che mettesse in comunicazione Trento, Vicenza, Rovigo, rispettivamente città d’origine di ciascuno dei tre. Per questo quando nel 1972 iniziarono i lavori di costruzione del tratto a nord della A31, venne definita scherzosamente “Pi-Ru-Bi”, dalla prima sillaba di ciascun cognome. I lavori del primo troncone di 36 Km terminarono nel 1976.
Il tratto a sud della Valdastico ebbe il via libera dal Consiglio dei Ministri per la sua realizzazione nel 2002, approvata nel 2004 dall’ANAS, vide un accordo tra le tre province Vicenza, Padova, Rovigo nel 2005.

Da lì prende il via un susseguirsi di scontri tra interessi privati e interessi pubblici, causa di un rallentamento tale che ancora ad oggi la Valdastico non si è ancora conclusa.
Un ulteriormente rallentamento si ebbe in seguito ad alcune indagini portate avanti dalla Direzione Nazionale Antimafia di Venezia, c’è motivo di sospettare infatti la presenza di scarti di lavorazione industriale con il rischio di aver contaminato i canali di irrigazione nell’area attorno all’autostrada, adibita a coltivazioni  e, per effetto della pioggia, le falde acquifere sotterranee. Dalle analisi effettuate, i cianuri, l’arsenico e il piombo presenti nel terreno, risulta siano ben superiori ai limiti consentiti dalla legge. Nel 2012 la Commissione Europea è stata informata del rischio rifiuti tossici sotto la cosiddetta Valdastico Sud, che metterebbero a rischio la salute di migliaia di persone; alcune norme europee in materia ambientale e di salute pubblica sembrerebbero essere state raggirate, ad esempio non considerando come rifiuti i materiali di scavo contaminati. Dal 2013 risultano iscritte nel registro degli indagati 27 persone per i reati di falso ideologico e traffico illegale di rifiuti in forma organizzata.
Alcuni lotti sono stati anche oggetto d’indagine del Pm antimafia di Caltanissetta per accertamenti tecnici sulla regolarità del calcestruzzo utilizzato e sull’eventualità che possa dare origine a fenomeni di degrado “precoce”, in concomitanza con l’inchiesta sulle Tav Milano-Bologna, Roma-Napoli, al Metrobus di Brescia, e al passante autostradale di Mestre sull’A4.

Attualmente la Valdastico si interconnette con l’autostrada A4 la Serenissima e la SS 434 Transpolesana, in progetto è un collegamento anche con la Pedemontana Veneta, un’altra arteria stradale con una gestazione difficile e complessa che ha creato molte aspettative, in più occasioni deluse, alimentando una certa sfiducia nella gente.


SS 434 La Transpolesana – Foto personale

La Pedemontana veneta è una superstrada a pedaggio (la prima in Italia) che collegherà Vicenza a Treviso, un’opera viaria di cui si sentiva forte la necessità fin dagli anni settanta. Le città venete ai piedi delle Prealpi, protagoniste di un notevole sviluppo socio-economico-industriale, mancavano dei necessari collegamenti che consentissero una maggiore mobilità. Negli anni novanta la situazione divenne critica, tanto da portare a elaborare un progetto e un accordo tra Stato e Regione Veneto per la realizzazione dell’opera, poi annessa nei piani europei del Corridoio 5 (è un’arteria a rete multimodale, uno dei grandi assi ferroviari ed autostradali che l’Unione Europea si è impegnata a realizzare, che collegherà Lisbona a Kiev, in cui all’Italia è stato assegnato un ruolo strategico.
A oggi la Pedemontana è ancora in costruzione sotto la vigilanza del Commissario delegato Silvano Vernizzi, ingegnere dirigente della Regione Veneto, già commissario delegato per il Passante di Mestre, nominato nel 2009 per far fronte a quello che ormai è diventato uno stato di emergenza della viabilità sia nel trevigiano che nel vicentino. A realizzare l’opera è il concessionario Sis, controllato dalla famiglia piemontese Dogliani, che ha quali soci di minoranza gli spagnoli di Itinere Infraestructuras. Diversi fattori hanno contribuito a rallentare l’opera, dall’impatto ambientale alle esigenze dei Comuni coinvolti. Nel frattempo però il costo dell’intervento è lievitato.

LA FAMIGLIA DOGLIANI

Oltre a controllare un notevole numero di società impegnate nel cemento, la famiglia Dogliani è nota in particolare per la produzione e commercializzazione di grandi vini piemontesi ricavati dalle uve delle Langhe. Forte della sua esperienza, è un’azienda a conduzione famigliare, iniziata con il bisnonno Domenico e prossima alla quinta generazione. Sempre in continua evoluzione, seguendo il vino di qualità certificata dalla vigna al cliente, la Cantina, soprannominata dei “Generali“, è diventata punto di attrazione di turisti anche stranieri, grazie anche alle sue strutture ricettive, ai prodotti enogastronomici e alla bellezza della Langa, a metà strada tra le Alpi e il mare, colline immortalate e rese celebri nelle pagine della letteratura.

La luna, – disse Nuto, – bisogna crederci per forza. Prova a tagliare a luna piena un pino, te lo mangiano i vermi. Una tina la devi lavare quando la luna è giovane. Perfino gli innesti, se non si fanno ai primi giorni della luna, non attaccano. Allora gli dissi che nel mondo ne avevo sentite di storie, ma le più grosse erano queste. Era inutile che trovasse tanto da dire sul governo e sui discorsi dei preti se poi credeva a queste superstizioni come i vecchi di sua nonna. E fu allora che Nuto calmo calmo mi disse che superstizione è soltanto quella che fa del male, e se non adoperasse la luna e i falò per derubare i contadini e tenerli all’oscuro, allora sarebbe lui l’ignorante e bisognerebbe fucilarlo in piazza.

La luna e i falò di Cesare Pavese

Nel nostro Paese purtroppo, gli interventi sulle infrastrutture richiedono sempre tempi lunghi di realizzazione, che rendono complicato quantificare i costi e i reali rientri una volta completata l’opera, scoraggiando così investimenti massicci come nel caso della Pedemontana veneta.

Il percorso dell’autostrada A31 della Valdastico che nel tratto a nord termina a Piovene Rocchette, nel progetto originario era previsto proseguisse fino a Trento per collegarsi così alla A22 Autostrada del Brennero, che rappresenta un’importante arteria di traffico internazionale e di collegamento con il Nord Europa.

Fin dal 1949, quando durante la Convenzione di Ginevra venne tracciata una rotta di strade europee che favorissero le comunicazioni e il trasporto tra i paesi della futura Comunità Europea, fu considerato come punto strategico il passo del Brennero, essendo della catena alpina il varco più a bassa quota, per creare un’arteria stradale (E6) che dalla scandinava Levanger arrivasse a Reggio Calabria sul Mediterraneo.

IL VALICO DEL BRENNERO

Fin dall’antichità il valico del Brennero è stato luogo di passaggio delle genti e della Claudia Augusta, antica via romana costruita nel 15 a.C., trasformata circa 200 anni più tardi in una strada militare.
Durante l’impero Asburgico il valico rappresenta una via di comunicazione interna con una linea ferroviaria che viene inaugurata nel 1867 e diventa linea internazionale con lo spostamento al Brennero del confine tra Austria e Italia avvenuto nel 1918. L’Unione Europea conferma la sua importanza nel 1994 con il progetto della linea ferroviaria ad alta velocità e del trasporto combinato lungo l’asse del Brennero, in vista della realizzazione del corridoio intermodale Berlino-Monaco-Verona.

La A22 Autostrada del Brennero fu fortemente voluta dalla neonata regione del Trentino-Alto Adige/Südtirol che con lungimiranza colse l’impulso economico e turistico che avrebbe determinato. Non senza rallentamenti burocratici il 20 febbraio 1959, su diretta iniziativa degli enti territoriali interessati a tale nuovo collegamento, viene fondata la S.p.A. Autostrada del Brennero. Nel 1961 essa ottiene dallo Stato la concessione per la costruzione e il successivo esercizio dell’autostrada; due anni dopo viene approvato il disegno definitivo del percorso e nel 1964 si dà inizio ai lavori, a cui la società dà seguito in forza della concessione dei mutui da parte della Banca Europea per gli Investimenti di Bruxelles (istituzione finanziaria creata nel 1957, con il Trattato di Roma, per finanziare e sostenere gli obiettivi dell’Unione) e del CREDIOP (Consorzio di Credito per le Opere Pubbliche di Roma specializzato nella concessione di mutui e prestiti a lungo termine per la realizzazione di grandi infrastrutture. Fautore della sua istituzione nel 1919 fu Alberto Beneduce, che vedeva nella specializzazione nella concessione del credito un modo per evitare gravi crisi bancarie. L’istituto di credito raccoglieva risparmio mediante l’emissione di obbligazioni garantite dallo Stato e lo utilizzava per erogare finanziamenti a lungo termine, prevalentemente destinati agli enti locali).

Nel 1968 viene inaugurato il primo tratto tra Trento e Bolzano; la A22 si conclude nel 1974 con il tratto più impegnativo sotto il punto di vista delle opere di ingegneria. Si dovettero affrontare notevoli difficoltà, considerando le caratteristiche orografiche della parte alpina molto difficile e delicata da un punto di vista ambientale. Dieci anni dopo, in anticipo sui tempi previsti, la società di gestione ricava il primo utile.
Il percorso originario negli anni ha subito poche modifiche: ha origine a Modena, dove si immette nella A1 Autostrada del sole, mentre al lato opposto sale verso nord percorrendo la pianura, intersecandosi con la A4 Serenissima in prossimità di Verona, quindi salendo lungo il lato est del Lago di Garda passa per Trento e Bolzano, fino al passo Brennero dove si immette nella A13 austriaca la Brenner Autobahn per Innsbruck. L’autostrada è molto trafficata e soggetta a forti rallentamenti, ed essendo a sole due corsie per senso di marcia, viene suggerito e incentivato l’uso da parte dei mezzi pesanti del trasporto intermodale, caricando i mezzi su appositi vagoni e trasferiti da Verona all’estero via ferrovia. Con sempre maggiore attenzione alla sicurezza e al rispetto dell’ambiente e delle comunità circostanti, sono previste alcune migliorie, tra le quali la costruzione di una terza corsia nel tratto  più trafficato da Modena a Verona nord.

Nel 2014 nei pressi di Bolzano Sud è stato inaugurato il primo impianto, su scala industriale, per la produzione e distribuzione di idrogeno.

IDROGENO

L’idrogeno non è una fonte di energia ma un vettore, cioè un mezzo che – come l’elettricità – trasporta l’energia immagazzinata quando è stato prodotto. Non è presente allo stato libero in natura per cui, in linea con la tutela ambientale assai cara al Trentino-Alto Adige/Südtirol, verrà prodotto da fonti rinnovabili. Ciò rientra in un piano di ricerca europeo denominato HyFive (Hydrogen for innovative vehicles) che ha come obiettivo il sostegno e lo sviluppo delle infrastrutture dell’idrogeno.
A questo progetto collaborano anche alcune case automobilistiche che hanno messo a punto diversi tipi di auto con alimentazione a idrogeno, ritenute una valida alternativa al motore a scoppio tradizionale e persino alle auto elettriche. Un auto alimentata a idrogeno infatti produce allo scarico solo vapore acqueo, e non presenta problemi di autonomia o tempi lunghi di ricarica come per le auto elettriche. Pur tuttavia vi sono ancora alcuni fattori che devono essere messi a punto, come il problema dell’immagazzinamento, il costo delle tecnologie impiegate nelle vetture che è ancora molto alto, l’assemblaggio delle auto che avviene prevalentemente a mano e le infrastrutture per la distribuzione del gas non sufficientemente diffuse.
Gli Stati Uniti e la Corea stanno investendo molto in questa tecnologia, così come il Giappone che dopo il disastro nucleare di Fukushima (2011) per garantirsi un’autonomia energetica, ha deciso di puntare molto sull’idrogeno come tecnologia alternativa per immagazzinare l’energia prodotta in eccesso e utilizzarla sia nei trasporti che nel riscaldamento degli edifici.

Due tecnologie, quella a idrogeno e quella elettrica, che sono ancora acerbe rispetto all’auto con motore alimentato a benzina. La ricerca e lo sviluppo per quella a idrogeno si è avuto soltanto nell’ultimo ventennio con un contenuto investimento di risorse e capitale. Per quella elettrica il primo approccio di motore elettrico si è avuto già nel 1884, in epoca vittoriana, seguito solo due anni dopo dal motore a benzina, entrambe rappresentarono un’alternativa al motore a vapore. Ma alcune innovazioni tecnologiche e il prezzo più economico dei derivati dal petrolio rispetto all’energia elettrica, indussero il nascente mercato dell’automobile a investire più sul motore a benzina.

Nel 1896 Henry Ford, ingegnere presso l’azienda produttrice di centrali elettriche di Thomas Alva Edison a cui sono riconosciute le invenzioni del fonografo (1877) e della lampadina a incandescenza (1879), ideò un prototipo di motore a scoppio che Edison incoraggiò a sperimentare e si arrivò così alla prima auto dal prezzo accessibile, un prodotto per il mercato di massa. Nel corso degli anni il motore a scoppio divenne sempre più pratico e affidabile.
Agli inizi del novecento Il motore elettrico venne impiegato più per i mezzi di trasporto (tram, treni, metropolitane, filobus) e una volta ridotte le sue dimensioni, venne applicato anche a tutti quegli attrezzi che precedentemente venivano azionati dall’energia fisica umana o animale (elettrodomestici).

Il motore elettrico non rappresenta più un’alternativa al motore a scoppio fino all’inizio degli anni novanta del secolo scorso, quando il crescente inquinamento atmosferico e le ripetute crisi petrolifere inducono a rivalutare il sistema di alimentazione delle automobili. Si comincia così a mettere in circolazione modelli di auto ibride, con motore elettrico affiancato a quello a combustione interna, in grado di sfruttare l’energia che si genera quando l’auto frena o rallenta (secondo il principio della dinamo che trasforma lavoro meccanico in energia elettrica, sotto forma di corrente continua), in versione plug-in, cioè la possibilità di ricaricare le batterie collegando l’auto a una presa di corrente o con il sistema wireless (la rete elettrica però in gran parte è ancora alimentata da centrali a carbone, a metano, nucleari).
Altri aspetti necessitano di essere superati relativamente alle batterie: peso, costo e metalli impiegati rappresentano un limite, così pure l’autonomia e il tempo di ricarica che restano i principali punti deboli delle auto elettriche e di tutti i dispositivi elettronici, a cominciare da computer e smartphone.
Riporto qui due punti di vista che trovo molto riflessivi e realistici estrapolati dai commenti all’articolo: “Perchè non abbiamo tutti un auto elettrica“ di Andrea Fiorello su ilpost.it :

Nel caso (l’auto elettrica) fosse competitiva rispetto al motore a combustione, un conto è produrre l’energia elettrica in una grande centrale, concentrare lì l’inquinamento e abbattere le sostanze più nocive in maniera efficace, un conto è bruciare combustibili in motori inefficienti, che consumano di più nel ciclo urbano che in autostrada, e produrre in proporzione più inquinamento.

di Claudio (l’altro)

I discorsi sulla convenienza, il prezzo e l’autonomia sono importanti, ma se diventa insostenibile avere sempre più auto inquinanti, può diventare anche un obbligo passare all’elettrico, no? Costerà di più, si potranno fare meno chilometri, ma saremo costretti a rinunciare alle nostre comodità che consideriamo acquisite e venire a patti con la necessità.

di Luca Segantini

 

A differenza del passato in cui si tendeva a privilegiare una fonte energetica su tutte le altre, oggi si punta sulla sinergia e sul contrastare la dispersione. La volontà nel voler risolvere i problemi ambientali sta portando a un’evoluzione sui sistemi di ricarica e batterie per quanto riguarda qualità, potenziale e durata.

“La nostra missione è cambiare il modo in cui il mondo usa l’energia. Suona esagerato, e folle, ma vogliamo cambiare le infrastrutture energetiche di tutto il mondo, fino ad azzerare completamente il consumo di anidride carbonica.”

È un’affermazione di Elon Musk, imprenditore sudafricano famoso per aver creato SpaceX (Space Exploration Technologies Corporation) un’azienda privata che si occupa di trasporti spaziali, Tesla Motors un’azienda automobilistica che ha come obiettivo la creazione di veicoli elettrici ad alte prestazioni orientati verso il mercato di massa, che ha co-fondato PayPal, il sistema di pagamento via internet più grande del mondo.

Spesso la chiave del vero progresso sta proprio nel mettere insieme le forze senza sciocche invidie e inutili rivalità, così come serve qualche volta guardare indietro per recuperare cose che in un determinato momento potevano sembrare di poco valore, e superarne i limiti. Il buon senso, una buona visione elastica ma coscienziosa nel rispetto dell’ambiente, faranno il resto per arrivare a una migliore qualità di vita e una reciproca fiducia.

Per quanto ci riguarda, in Italia per troppo tempo con troppo poca attenzione e rispetto si è guardato al nostro patrimonio ambientale e paesaggistico, nonostante i continui moniti e solleciti dei geologi. Occorre intervenire e vigilare per preservare quello che è un patrimonio di tutti, un ruolo fondamentale in questo senso lo ha il Corpo Forestale, una forza di Polizia articolata sul territorio, dai comandi di stazione ai nuclei investigativi specializzati, che ha le competenze e gli strumenti necessari per monitorare il territorio, per prevenire i reati ambientali, della flora, della fauna e agroalimentari. Inoltre ha funzioni di polizia giudiziaria e concorre a garantire l’ordine, la sicurezza pubblica e il pubblico soccorso.

Leda

Vere e proprie “sentinelle silenziose” che lottano per la difesa dell’ambiente. Il loro lavoro è spesso poco raccontato e conosciuto dall’opinione pubblica. Nonostante la limitatezza di uomini e mezzi gran parte delle attività di intelligence e soprattutto delle prove portate ai magistrati atte a determinare le responsabilità civili e penali nel traffico illecito legato ai rifiuti li dobbiamo a loro, anche in Veneto.

di Laura Puppato


Massima del giorno:
«Spesso si lascia in pace chi ha appiccato l’incendio e si castiga chi ha dato l’allarme»

Nicolas De Chamfort


p.s.: orgogliosissima del mio telefonino Nokia vecchia generazione, non avrà mille funzioni ma mi permette di fare delle foto fantastiche 😀


Video consigliato: Mario Tozzi – Costruire in un paese a forte rischio idrogeologico

 

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