Pane e vino

«Da toseti, ricordo, che d’està jera abitudine magnare le foje tenare de “pan e vin” quando se andava a zugar par i campi e ne vegnea un certo languorino.

Rumex acetosa. Tipo de erba che se pol magnar. La ga un saor axein. (Wikisionario)

Un’erba bona, dal saor aseìn, che saziava assè, però bisognava star tenti che non la gavesse… i sputaceti. E se raccomandava sempre de non esagerare, se no la ne gavarìa fato un gran mal de pansa! »

Da bambini ricordo si mangiava “pan e vin”, era abitudine nostra d’estate mangiarne le foglie tenere quando si andava a giocare per i campi e ci veniva un certo languorino.

Un’erba buona, dal sapore acidulo, che saziava parecchio, però bisognava stare attenti che non avesse gli sputi. E si raccomandava sempre di non esagerare, se no ci avrebbe fatto un gran mal di pancia.

Per approfondire: Acetosa: Proprietà e Benefici

E chi da bambino non ha mai visto “Marcellino pane e vino, un film spagnolo in bianco e nero del 1955, diretto da Ladislao Vajda e interpretato da Pablito Calvo, un bambino molto espressivo di soli sei anni, che tre anni dopo reciterà anche con Totò nel film diretto da Antonio Musu “Totò e Marcellino”. Un film genuino, sempre bello da rivedere anche da adulti.

Tratto dal romanzo “Marcelino Pan y Vino” di José María Sánchez Silva, la storia è ambientata in Spagna e racconta di un bambino ancora in fasce che viene lasciato davanti al portone di un convento dell’ordine francescano, sorto sulle rovine di un castello distrutto dai soldati francesi sul finire della Guerra dei Trent’anni, guerra che mise in ginocchio il paese lasciato nella miseria.

I frati trovato il bambino, decidono di battezzarlo con il nome di Marcellino, il santo del giorno, e dopo vane ricerche non trovando una famiglia adeguata disposta ad accoglierlo, decidono di occuparsi di lui. Nel convento il bambino con l’affetto e l’insegnamento dei dodici frati cresce sereno e vivace, “gioia e tormento di tutta la comunità”. Ma vedendo gli altri bambini con la loro mamma si manifesta in lui il desiderio sempre più forte di poter vedere la sua. Con Manuel, il suo amico immaginario ne combina di tutti i colori, con lui un giorno trova il coraggio di salire la “scala proibita” che porta nella vecchia soffitta dove tra vecchi attrezzi, cose abbandonate e grappoli d’uva posti ad appassire, scopre un grande crocefisso. Marcellino è molto turbato dalla condizione del Cristo in croce e decide di portargli del cibo, pane e vino per l’appunto, un gesto di cuore che Gesù accoglierà con gratitudine.

«A che pensi Marcellino?»

«Dove sarà la mamma tua, adesso?»

«Con la tua»

La storia della pianta del miracolo

Una vite dal tronco secolare vive ancora oggi nel cortile dell’antico Monastero a Cascia, produce abbondanti fioriture ed è nota come “la pianta del miracolo”.

Si racconta che la madre badessa del Monastero volendo mettere alla prova le sue virtù, chiese a Rita di annaffiare quello che a tutti gli effetti sembrava uno sterpo secco.

Rita da Cascia preso il velo e inseritasi nella comunità delle suore agostiniane con spontanea umiltà, conduceva una vita così semplice e così esemplare da suscitare l’ammirazione e la stima delle sue stesse consorelle. Ella accolse volentieri il compito affidatole dalla madre badessa. Così tutti i giorni, due volte al giorno, per un anno intero se ne prese cura.
Quello sterpo secco in realtà era un arido vitigno e con la solerzia di Rita tornò a nuova vita. Dopo un anno sui suoi rami spuntarono nuovi germogli che poi crebbero, fiorirono, diventarono nuove foglie e fiori e infine si trasformarono in splendidi grappoli d’uva dorati.

Santa Rita da Cascia più che con gli scritti, ha tramandato il suo messaggio attraverso l’esempio concreto del vivere quotidiano.


Viti e vitigni

Il vino è una risorsa preziosa. E come dimostra il sapere di una volta dei doni della natura non si butta via niente.
Ed ecco una ricetta veneta che spiega come si faceva il “Vin coto”.

Na volta el vin coto el se faseva recuperando la parte fissa del vin che restava sul fondo del tinasso. I vasi i se sarava con carta velina e spago e i se picava via in caneva, rente i saladi. El vin coto el se magnava col pan o co la polenta, par fare vigilia, al posto del formajo.

Un tempo il vino cotto si faceva recuperando la parte densa del vino che restava sul fondo del tino. I vasi si chiudevano con carta velina e spago e si appendevano in cantina, vicino ai salami. Il vino cotto si mangiava con il pane o con la polenta, per fare vigilia, al posto del formaggio.

ANTICHE RICETTE:

Vin coto
(Marmellata a base di vino)

Ingredienti:

5 litri di vino
1 kg di mele cotogne
1 kg di pere
1 kg di patate dolci
½ kg di zucchero

Preparazione:

Sbucciate e riducete a pezzetti le mele, le pere e le patate.
In una pentola di rame fate bollire il vino perchè si concentri un po’: togliete la schiuma che si sarà formata in superficie.
Aggiungete quindi gli ingredienti e mescolate, a fuoco lento, per due ore circa finché tutto sarà amalgamato e ne risulterà una bella crema.
Aggiustate eventualmente la consistenza con qualche bicchiere di vino o, se necessario, con qualche cucchiaio di farina , avendo cura di prolungare la cottura in questo caso per altri 10-15 minuti.
Lasciate raffreddare la marmellata ottenuta e versatela in vasi di vetro che chiuderete ermeticamente.
Se non si è fatto uso di zucca , “el vin coto” va consumato anche dopo 2-3 mesi, come una vera e propria marmellata.

Tratto da: La ricetta della nonna – antologia di ricette ricostruite dagli scolari e dagli studenti delle Province di Padova e Rovigo (Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, 1982)

 

IL PANE E IL VINO


Foto di congerdesign da Pixabay

Il pane e il vino sono simboli che hanno un profondo significato.
La conversione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e sangue di Cristo, che avviene durante la Messa, è in Teologia il dogma della Transustanziazione, dogma definito dal Concilio di Trento nel 1551.

Il sacerdote pronuncia la formula della consacrazione durante l’Eucarestia.

Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi».

Dal Vangelo secondo Luca (22,19-20)

 


Mosaico che rappresenta l’episodio di Noè – Duomo di Monreale (Palermo)

Nella Bibbia si racconta che Noè dopo il diluvio universale, con la moglie ed i tre figli Sem, Cam e Jafet si dedicò a coltivare la terra e a procreare, obbedendo ai divini comandamenti.

«Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all’interno della sua tenda».

Fu così visto nudo dal figlio Cam che raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Sem e Jafet per rispetto del padre, camminarono a ritroso e così senza guardarlo, coprirono il padre con un mantello.

Dall’episodio possiamo apprendere che Noè è un uomo e in quanto tale può sbagliare e commettere degli errori. I doni che la natura offre sono buoni, come buono è il vino, presente in tutte le culture mediterranee, che può allietare il cuore dell’uomo o essere causa di degenerazione. Tutto dipende dal comportamento che assume l’uomo, dai limiti che impara a porsi.

Bacco, Tabacco e Venere
riducono l’uomo in cenere

Proverbio

Il vino è un dono divino e come tale potenziale apportatore di benessere. Ma la mancanza di moderazione può procurare danni al corpo e anche all’anima. Ossia i vizi si traducono in decadenza fisica e/o morale dell’uomo. L’eccedenza a lungo andare toglie il gusto, porta a cercare nuovi stimoli sempre maggiori e sempre più estremi, e poi all’insoddisfazione e alla noia. Non è la quantità che soddisfa, ma la qualità. Meglio poco, ma buono.

Leda


NOTA BENE: L’abuso di alcol provoca dipendenza e quando si è alla guida di un veicolo si mette in pericolo la propria e, soprattutto, l’altrui esistenza.


Chi ben beve ben dorme,
chi ben dorme mal no pensa,
chi mal no pensa mal no fa.
Chi mal no fa in Paradiso va.
Ora ben bevè che el Paradiso avarè…

Brindisi veneziano del XIV sec.

 

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