I se, i ma, i però. Ma quale Italia?

Quando su consiglio di un amico mi iscrissi su Twitter, scoprii un mondo di informazione: giornali online, blog sugli argomenti più disparati, articoli, video… ho cominciato a seguire persone che scrivevano con competenza dei più svariati argomenti e anche se all’inizio non capivo proprio tutto pian piano ho imparato il significato dei termini usati e i contenuti mi sono diventati più famigliari.

Ho voluto riunire qui, in questo post alcuni articoli, perchè credo che noi italiani le capacità e le idee le abbiamo e anche notevoli, anche il coraggio per metterle in atto.


Se Steve fosse nato in provincia di Napoli

Steve Jobs è cresciuto a Mountain View, nella contea di Santa Clara, in California. Qui, con il suo amico Steve Wozniak, fonda la Apple Computer, il primo aprile del 1976. Per finanziarsi, Jobs vende il suo pulmino Volkswagen, e Wozniak la propria calcolatrice. La prima sede della nuova società fu il garage dei genitori: qui lavorarono al loro primo computer, l’Apple I. Ne vendono qualcuno, sulla carta, solo sulla base dell’idea, ai membri dell’Homebrew Computer Club. Con l’impegno d’acquisto, ottengono credito dai fornitori e assemblano i computer, che consegnano in tempo. Successivamente portano l’idea ad un industriale, Mike Markkula, che versa, senza garanzie, nelle casse della società la somma di 250.000 dollari, ottenendo in cambio un terzo di Apple. Con quei soldi Jobs e Wozniak lanciano il prodotto. Le vendite toccano il milione di dollari. Quattro anni dopo, la Apple si quota in Borsa.

Mettiamo che Steve Jobs sia nato in provincia di Napoli. Si chiama Stefano Lavori. Non va all’università, è uno smanettone. Ha un amico che si chiama Stefano Vozzini. Sono due appassionati di tecnologia, qualcuno li chiama ricchioni perchè stanno sempre insieme. I due hanno una idea. Un computer innovativo. Ma non hanno i soldi per comprare i pezzi e assemblarlo. Si mettono nel garage e pensano a come fare. Stefano Lavori dice: proviamo a venderli senza averli ancora prodotti. Con quegli ordini compriamo i pezzi.

Mettono un annuncio, attaccano i volantini, cercano acquirenti. Nessuno si fa vivo. Bussano alle imprese: “Volete sperimentare un nuovo computer?”. Qualcuno è interessato: “portamelo, ti pago a novanta giorni”… continua

di Antonio Menna
8 ottobre 2011


Un’altra idea di futuro

È passato un anno esatto in questi giorni. Mi avevano chiamato in tutta fretta a Torino per parlare di una grande mostra da allestire in occasione delle celebrazioni per i 150 anni della unita d’Italia. Una mostra sul Futuro, quello con la maiuscola, mi spiegarono. Io dissi: allora non facciamola su un futuro generico, facciamola sul nostro futuro. Il futuro dell’Italia. Ricorderò sempre la reazione dei miei interlocutori: “Ma perché l’Italia ce l’ha ancora un futuro?”. Non una domanda, una battuta. O forse una condanna
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Io sono sempre stato ottimista. Credo che una robusta dose di ottimismo sia la premessa di tutto. E in questi ultimi anni poi ho capito che non basta un ottimismo qualunque per vivere bene, ma serve un “ottimismo razionale” (citazione di Matt Ridley e del titolo di un suo bel libro). Come mi disse una volta un mio interlocutore a San Francisco “I am optimistic but for a reason”. Ecco l’ho fatta un po’ lunga per dire che la mia “reason” principale per essere ottimista, anche adesso, soprattutto adesso, sono gli innovatori italiani, le tantissime persone che ho scoperto e conosciuto nei miei 40 mesi a Wired e che continuo a incontrare ogni giorno anche adesso che ho lasciato il giornale.
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“Ma l’Italia ce l’ha un futuro?”. La battuta di un anno fa mi è tornata in mente leggendo il discorso che il capo del nostro governo ha fatto qualche giorno fa alla Camera, in uno dei momenti più difficili della nostra storia recente. Prima ho letto i resoconti dei giornali e poi, incredulo, mi sono andato a cercare in Rete il testo integrale. L’ho trovato sul sito de L’Occidentale. Se vi capita, rileggetelo come ho fatto io. E cercate lì dentro una prospettiva di innovazione, il senso di Internet per la crescita del paese, il ruolo dei giovani e delle giovani idee e la necessità di capitali di rischio per sostenerle. Insomma, cercate lì dentro una qualunque idea di futuro, anche con la minuscola, e non la troverete. E non è solo questione del fatto i concetti che ho elencato in qualche caso non sono stati nemmeno citati. E’ proprio che non esistono nella mente della nostra classe dirigente, e in particolare della classe governante. Come se quella equazione un po’ semplicistica epperò verissima per cui non c’è vera crescita senza innovazione (e il più potente fattore di innovazione è lo sviluppo di Internet e di una Agenda Digitale), non la conoscessero affatto… continua

di Riccardo Luna
11 agosto 2011


Massimo Marchiori: “Perché lascio Volunia”

La vita è fatta di storie. E la storia che sto per raccontarvi non è tutta la storia che potrei raccontare, anzi (quella completa sarebbe lunga come un libro), ma contiene gli elementi principali. Cominciamo dalla fine: non sono più direttore tecnico di Volunia.

E non solo: non dirò più una sola parola tecnica, non darò più un’idea, non contribuirò alla manutenzione ed al miglioramento né del codice che ho scritto, né degli algoritmi che ho dato al progetto, e non ne creerò mai più di nuovi. A meno che la situazione non cambi. Per capire come questo sia potuto succedere, occorre tornare indietro, all’inizio della storia.

Volunia

Volunia, è risaputo, nasce qualche anno fa, da una serie di mie idee che ho concretizzato in un progetto strutturato e ambizioso. Un progetto, a mio avviso, troppo bello per non essere realizzato; e dal potenziale enorme. Decisi così di mettermi in gioco, buttandomi anima e corpo in quest’avventura, anche a costo di enormi sacrifici personali. Quello che però forse non sapete è che io non sono l’Amministratore Delegato di Volunia.

In altre parole, non sono io il numero uno della società. Perché ho accettato allora? Perché in tutta la mia vita finora, avevo sempre lavorato con persone che mettevano in prima piano passione, fiducia, onestà. E poi, perché mi sono lasciato convincere da una argomentazione tutt’ora vera: che il progetto non sopravviverebbe senza di me. Ho creato un team e l’ho guidato nella costruzione da zero del sistema, ho affrontato le difficoltà di una startup e cercato soluzioni a mano a mano che la complessità aumentava, sempre con la visione del progetto globale.

Sebbene fossi consapevole che lasciare la carica di Amministratore Delegato ad altri avrebbe potuto rivelarsi una scelta delicata da un punto di vista strettamente economico, ho accettato di impegnarmi in questo progetto perché quello che faccio nella vita – Volunia incluso – non ha lo scopo primario di “fare i soldi”. Se il mio obiettivo fosse l’arricchimento personale, avrei da tempo abbandonato l’università e l’Italia e accettato una delle offerte provenienti dall’estero.

Mi sono invece immerso anima e corpo in questo progetto per la bellezza di far progredire il mondo del Web, per il piacere di dare una scossa al futuro e fare qualcosa di utile. Ed anche per altri motivi, come quello di dare stimoli all’Italia, mostrare che si deve cercare di innovare… continua


Ma purtroppo quello che in Italia manca è uno Stato che ascolti e sappia dare le giuste risorse/risposte a chi ha voglia di fare, e smetta di buttare il nostro denaro per accontentare chi di politica ci vive a scrocco e non la fa.
Investire oggi per oggi cercando di sopravvivere e di mantenere lo status di cose vecchie e superate, fare delle scelte importanti per accontentare questa o quella lobby non ci porterà da nessuna parte, abbiamo bisogno di progetti a lungo termine, ritrovare la credibilità nello Stato e avere dei valori e dei modelli giusti da seguire che ci stimolino a sentirci partecipi e non succubi.

Leda

Non solo l’erba del vicino è sempre verde, l’Italia sa essere un meraviglioso giardino se la sappiamo coltivare tenendoci uniti, riconoscendo i nostri talenti, sentendoci orgogliosi e appoggiando chi davvero fa tanto per l’Italia.

Italiani – Edoardo Bennato (2011)

 

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