Dalla parte delle bambine

Frequentavo la scuola di Assistente per l’Infanzia quando ebbi occasione di conoscere e leggere questo libro, per cui ero già molto sensibile riguardo questi modelli educativi, e sui molto diffusi e sottovalutati pregiudizi che condizionavano il comportamento e le aspettative degli adulti e della società intera nei confronti dei bambini.

Dalla parte delle bambine.
L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita
di Elena Gianini Belotti
Genere: Politica e società, saggistica, psicologia
Editore: Feltrinelli, 1973

La tradizionale differenza di carattere tra maschio e femmina non è dovuta a fattori innati, bensì ai condizionamenti culturali che l’individuo subisce nel corso del suo sviluppo. Questa la tesi appoggiata da Elena Gianini Belotti e confermata dalla sua lunga esperienza educativa con genitori e bambini in età prescolare. I condizionamenti nella direzione del ruolo assegnato all’uno o all’altro sesso cominciano addirittura prima della nascita, quando si prepara il corredino: rosa o celeste, e proseguono con la scelta – da parte degli adulti – dei giochi che i bambini «possono» o «devono» svolgere nella famiglia prima e poi nella società, per giungere alle scelte più o meno coatte nel campo degli studi, del lavoro e del loro avvenire. Ma perché solo “dalla parte delle bambine”? Perché questa situazione è tutta a sfavore del sesso  femminile.  La cultura alla quale apparteniamo – come ogni altra cultura – si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere: fra questi anche il mito della “naturale” superiorità maschile contrapposta alla “naturale” inferiorità femminile. In realtà non esistono qualità “maschili” e qualità “femminili”, ma solo qualità umane. L’operazione da compiere dunque, scrive l’Autrice, “non è di formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi, ma di restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi  nel modo che gli  è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene“. Da questa operazione trarranno vantaggio uomini e donne, e la loro stessa vita in comune.

Elena Gianini Belotti è nata e vissuta a Roma, dove tuttora risiede. Dal 1960, cioè dalla sua istituzione, dirige il Centro Nascita Montessori di Roma, unico nel suo genere in Italia, dove si preparano psicologicamente e praticamente le gestanti al compito di madri rispettose delle individualità del bambino. Da molti anni insegna alle allieve della stessa Scuola Assistenti Infanzia Montessori, che si è trasformata in Istituto Professionale statale nel 1960. Collabora inoltre a diverse riviste specializzate.

Tratto dalla copertina del libro

Educati con questi concetti discriminanti, i bambini una volta adulti replicano questo modello, pensando a se stessi e al proprio ruolo secondo questi canoni in cui la donna ne risulta decisamente sottovalutata e svalutata.

Sono queste strutture psicologiche che portano la persona di sesso femminile a vivere con senso di colpa ogni suo tentativo di inserirsi nel mondo produttivo, a sentirsi fallita come donna se vi aderisce e a sentirsi fallita come individuo se invece sceglie di realizzarsi come donna.

ancora…

Spinta da ogni parte, rifiutata, osteggiata, punita se non aderisce al modello ideale, combattuta tra la spinta all’identificazione con la madre e le sue esuberanti energie che comunque non sono affatto spente, ma che urgono in lei e reclamano uno sbocco, la bambina ingaggia una dura battaglia con se stessa e con gli altri, battaglia confusa e contraddittoria, nella quale energie preziosissime andranno sterilmente perdute.

Paradosso è il fatto che sia proprio la donna ad esercitare questi pregiudizi sulle donne, dato che in gran parte è proprio alle donne che è affidata  l’educazione dei bambini sia nella famiglia che nella scuola. Ciò costituisce un circolo chiuso che si pensava di aver spezzato in quegli anni ma che in realtà sopravvive tutt’oggi.

Le donne hanno distrutto la propria creatività, hanno nascosto e mutilato la propria intelligenza, si sono immiserite nella ripetizione quotidiana di meschine faccende, autodistruggendosi per il “piacere” di porsi al servizio del maschio.

L’operazione da compiere non è quella di tentare di formare le bambine ad immagine e somiglianza dei maschi, ma di restituire ad ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene.

È quello che è accaduto anche a me, nonostante io sia cresciuta in una famiglia in cui ho avuto un’educazione all’autonomia, avendo le stesse opportunità dei miei cinque fratelli maschi, una madre che ha cercato di darmi quello che lei non ha avuto, l’istruzione ad esempio. Mi sono spenta mano a mano, ma non tanto per essermi posta al servizio del maschio ma perchè in quanto donna credo nella famiglia, nella collaborazione e cooperazione per farla funzionare. Sono gli uomini  incapaci di ripensarsi in quest’ottica, che quando la donna si ribella a questa repressione e recupera la sua energia attraverso il potenziale creativo che la caratterizza, rendendosi autonoma, specie economicamente, rimangono disorientati e hanno una crisi d’ identità che si trovano ad affrontare da soli e impreparati.

Attraverso il femminismo abbiamo potuto migliorare e dare spessore alla nostra vita in quanto donne, però ha anche portato un ulteriore carico sulle nostre spalle: quello di essere madri-educatrici, perchè nella società di oggi si pretende un ruolo educativo del genitore, vedi il patto di corresponsabilità scuola-studente-famiglia; quello di essere lavoratrici esterne, perchè con il progresso sono aumentate le spese per mantenere uno status famigliare che possa stare al passo con i tempi; quello di lavoratrici in casa, perchè la nostra evoluzione non è andata di pari passo con quella dell’uomo, che forse sta ora germogliando nelle nuove generazioni, verso un ruolo collaborativo e complementare nella famiglia.

E le istituzioni oltre a lasciare sola la famiglia, lasciano sole noi donne in questo non riconosciuto triplice ruolo femminile nella famiglia, nemmeno tenta di proteggerci di fronte alla violenza a cui giornalmente siamo sottoposte da uomini retrogradi che vogliono negare questa emancipazione. Mi chiedo per l’ennesima volta dove sono andati a finire gli uomini, miei coetanei e non, che hanno vissuto la rivoluzione del 68 e che hanno tratto, loro stessi, benefici dall’emancipazione femminile. Pensavamo di poterli avere accanto…

Leda

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