La gatta – Gino paoli (1960)
C’era una volta una gatta tutta nera con una sola macchia bianca sul collo, la vedevo tutti i giorni mentre tornavo da scuola e stava sempre là, tutta sola accovacciata su una fascina di legna.
Correvo ogni giorno per vedere se la trovavo, e rimanevo a lungo con lei, a guardarci l’un l’altra. La volevo tanto portare a casa con me, ma sapevo che mia madre non voleva altri animali (avevamo avuto due bellissimi cani). Avevo intorno agli 8 anni e avevo tanta paura mi graffiasse se mi avvicinavo ad accarezzarla.
Un giorno un mio vicino di casa passò, e vedendomi lì ferma davanti alla gatta mi disse se volevo portarla con me e gli dissi di sì, allora la prese, me la fece accarezzare e me la portò fino a casa. La nascosi nel sottoscala esterno facendo una barriera di mattoni con tanto di uscita e la gatta ne fu contenta e rimase lì.
Mia madre non se ne accorse perchè la gatta era furba, non si muoveva quando sentiva che si avvicinava. Però ci fu un imprevisto. Un giorno tornata da scuola corsi a salutare la mia gattina quando sentii dei miagolii…erano nati 4 bellissimi gattini! Naturalmente divenne praticamente impossibile nasconderli a mia madre che infatti ben presto li trovò e la pregai talmente tanto di lasciarmi tenere la gatta che acconsentì, ma i gattini appena svezzati furono dati via.
Diventò la mia amica, nella bella stagione la mattina presto entrava dai balconi e si acciambellava nella piega delle mie gambe facendo le fusa. Io mi svegliavo sentendo il suo calore e il suo leggero peso che mi infondeva sicurezza.
Quando morì di vecchiaia mi mancò tantissimo e anche se potei tenere un’altra gatta, anche lei molto affettuosa, rimase e rimane sempre nei miei ricordi così come la vidi quel giorno per la prima volta su quella fascina al freddo e tutta sola. 😞
Leda
La consapevolezza che gli animali ed in particolare quelli da compagnia hanno un’azione socializzante e talvolta anche terapeutica nei confronti dell’uomo non è un concetto nuovo.
Tuttavia occorre arrivare alle pubblicazioni dello psichiatra infantile Boris Levinson (1962, 1970) per ottenere una strutturazione metodologica ed una finalizzazione della Pet Therapy alla cura di specifiche patologie dell’uomo. Il termine Pet Therapy deriva dall’unione di: pet o animale d’affezione e therapy o terapia, cura.
Dagli anni ’60 in poi il numero di pubblicazioni relativo all’utilizzo a fini terapeutici degli animali (Animal Assisted Therapy – AAT) è cresciuto in maniera esponenziale. Dopo una fase di strutturazione metodologica e finalizzazione della Pet Therapy, gli effetti positivi degli interventi assistiti con gli animali vengono provati in maniera scientifica sia in ambito fisio-motorio sia in ambito psicologico, delineando in maniera chiara il concetto di animale co-terapeuta.
Breve storia del cane e della Pet Therapy
Nell’Egitto antico al dio Anubis, protettore della medicina, era sacro il cane. Al suo ritorno ad Itaca, Ulisse fu riconosciuto solo dal cane Argo.
Immagine di ArtTower da Pixabay
Io non rubo e l’uomo sì, eppure nei negozi c’è scritto:
E’ vietato l’ingresso ai cani.
Io non bestemmio e l’uomo sì, eppure in Chiesa è scritto:
Vietato l’ingresso ai cani.
Io non baro e non do scandalo, l’uomo sì, eppure in Parlamento è scritto:
E’ vietato l’ingresso ai cani.
Io non ho mai fatto una guerra e l’uomo tante, eppure è d’uso la scritta:
Attenti ai cani.
Io non chiedo tangenti in cambio del mio “operato”, l’uomo sì, eppure mi tocca andare in giro con il guinzaglio, museruola e la paura di Essere Abbandonato.
Specialmente quando l’uomo decide che IO sono un peso (Natale, Pasqua, ferie).
Pensate, l’uomo si comporta così anche con i suoi simili,
quando questi non hanno più la forza per difendersi,
perché troppo vecchi ed inutili…
Allora chi di noi è “cane” realmente?