La piopa

‘Na piopa alta e bela
jera drio la me stradela:

fin ca son cressù tosato
me roegava cofà on gato

e là sù jera contento
a sentir vis-ciare el vento.

Anca el merlo ‘nte la zima
el sigolava la so rima

e le róndane de jorno
ghe xolava senpre torno.

Passa i ani, passa i dì
e la piopa no gh’è pì,

le zigale xe nà via,
xe sparìa la so onbrìa,

gnente gnari de i osèì,
gnente dugo de putèi,

basta sosta ‘ntel sentiero
par la mula e caretiero.

Tuta rota la stradela
bandonà xe anca quela,

se ga roto l’armonia
e xe morta l’alegrìa.

da “Le Tiritere”
di Bepi Famejo

Traduzione dalla lingua veneta:

Una pioppa alta e bella
stava lungo la mia stradella:
finché sono diventato un ragazzo
mi arrampicavo come un gatto
e lassù ero contento
a sentir fischiare il vento.

Anche il merlo sulla cima
fischiettava la sua rima
e le rondini di giorno
gli volavano sempre intorno.

Passano gli anni, passano i dì
e la pioppa non è più lì,
le cicale son andate via,
è sparita la sua ombrìa,
niente nidi degli uccelli,
niente gioco dei putèi (bimbi),
basta sosta lungo il sentiero
per la mula e il carrettiere.

Tutta rotta la stradella
abbandonata è anche quella
si è rotta l’armonia
ed è morta l’allegria.

Con i suoi racconti dialettali, Bepi Famejo intende recuperare il dialetto rustico del contado profondo… In sostanza si vorrebbe dare una voce a quel mondo rurale in via di estinzione, del quale, senza lo scritto, non rimarrebbe presumibilmente traccia.

Bisogna premettere che parlare il nostro dialetto ed ascoltarlo risulta più agevole che scriverlo. Ecco pertanto la necessità di curare la sua trascrizione al fine di facilitarne la lettura. Lettura non sempre agevole per chi non ha confidenza con i testi dialettali scritti.

Dello stesso autore: L’Olmo de la Dèzima.

Lettera di un amico ecologista

Bepi, leggendo i tuoi racconti sulla vita contadina di una volta con le sue descrizioni così particolareggiate, i filari di alberi, le siepi, le bine*, i fossi, tantissimi uccelli e insetti, riconosco una natura che ormai non c’è più, io che ho conosciuto seppur marginalmente gli ultimi anni di un’epoca così vera e genuina.
Mi sono sentito così attratto dalla spontanea bellezza di questo mondo che ho pensato di realizzare un angolo che fosse il più possibile simile a ciò che ai tuoi tempi era naturale e incontaminato. Ho cominciato a recuperare le siepi, raccogliendo il maggior numero di cespugli spinosi (brombioli, stropaculi…), ho continuato con le latifoglie nostrane, recuperando anche un vecchio “màsaro”* ormai sparito.  Anni di lavoro e tanta passione sono stati ripagati dal ritorno di alcune specie di insetti, rettili, molti uccelli anche nidificanti.
Oggi, 13 luglio 1996, ti documento con una foto l’“Averla Piccola, LANIUS COLLURIO”, la nostra “rejèstola” che ha mostrato di gradire questo luogo con ben due nidiate dopo molti anni di assenza. Con affetto.

Lorenzo

Dalla prefazione del libro: Có cantava le rejèstole. Raccolta di racconti di Bepi Famejo, 1998

* Bine: spazio di terreno tra due filari di vigne.
* Masàro: specchio d’acqua artificiale usato come maceratoio per la canapa.

Riflessioni: c’è come una febbre in giro, un virus che attanaglia le persone, molti sono gli alberi che vengono tagliati o potati in modo scellerato, togliendo loro ogni dignità. Molti sembrano pronti a tutto, tranne che a preservare l’ambiente.

“Un giorno arriva un tale, ammette di aver parcheggiato all’ombra di un albero per trovare un po’ di ristoro dalla calura estiva del primo pomeriggio. L’albero è parte di un filare di cui una pianta è tutta rinsecchita, morta, osserva compiaciuto… la settimana seguente tutto il filare è sparito, è stato tagliato.
«Che cosa è successo?» ci si chiede l’un l’altro smarriti. Un ciclista che passa di lì, con ironia risponde: «Perdevano le foglie…» come a dire che ogni scusa è buona”.
È proprio vero, la stupidità umana non ha confini.

Leda

Gli alberi sono come grandi ombrelli verdi
pronti a proteggerti dalla pioggia della vita.

L’idea del possesso e della conservazione, sui cui si fonda la condanna della borghesia, sono una caratteristica del vecchio mondo padronale, mentre il nuovo mondo non si cura tanto di possedere e di conservare, quanto di produrre e di consumare.

Tratto da “L’attualità di Teorema di Pier Paolo Pasolini”
di Alessandro La Mura – artesettima.it

* Foto personali

 

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