Tieni il segno: Banana Republic spiegato da De Gregori

di Mario Luzzatto Fegiz
pubblicato il 26 Luglio 2012

Estate 1979. Dopo il successo della canzone in duetto “Ma come fanno i marinai” Lucio Dalla e Francesco De Gregori decidono di dar vita insieme a un tour negli stadi italiani. Da alcuni anni la musica negli stadi scarseggia. Una serie di gravi incidenti avvenuti ai concerti o nelle immediate vicinanze fa sì che le star straniere e quelle italiane disertino stadi e Palasport. Il tour “Banana Republic” si svolge in maniera ordinata e registra una affluenza di pubblico senza precedenti. Grazie a Dalla e De Gregori la musica ritorna negli stadi. Il disco “live” dell’evento viene pubblicato mentre il tour è ancora in corso e finisce ai primi posti delle classifiche. La RCA decide che l’album deve uscire in agosto. Gli operai degli stabilimenti di stampa di via Tiburtina salteranno le ferie.
Con Francesco De Gregori cerchiamo di ricostruire quella pazza estate degli anni Settanta.

Banana Republic non nasce dal nulla. Con Lucio già da due o tre anni esisteva un contatto molto stretto dal punto di vista musicale, perché entrambi eravamo nati e cresciuti sotto lo stesso ombrello: prima nella casa discografica IT di Vincenzo Micocci dove anche Lucio bazzicava e dove io avevo inciso il mio primo disco, e poi alla RCA diretta da un grande professionista che si chiamava Ennio Melis. Io amavo molto la musica di Dalla che trovavo stimolante, molto innovativa e molto moderna (era il periodo in cui lui collaborava col poeta Roberto Roversi). Avevo grande attenzione per i testi e il modo di scrivere di Roversi. Era qualcosa di estremamente nuovo anche per me. Tutto questo mi spinse a entrare nel mondo poetico e musicale di Dalla e anche lui era molto curioso, attratto dal mio lavoro di giovanissimo cantautore della nuova leva”.
Mi consideravo nuova leva non perché Dalla fosse molto più vecchio di me, in fondo c’erano solo sette anni di differenza, ma perché lui apparteneva a una generazione che si era fatta la gavetta, ovvero Festival di Sanremo e Cantagiri, mentre io ero riuscito a pubblicare dischi seguendo un’altra onda, quella dei cantautori. Fra noi c’era reciproca stima, voglia di conoscerci e voglia di incrociare le voci, le penne e i talenti. Quando un giorno Dalla venne a pranzo a casa mia insieme a Ron (cosa che avveniva abbastanza di frequente) mi feci trovare intento a scrivere la canzone “Ma come fanno i marinai”. Forse già mentre la pensavo ipotizzavo che, assieme a Lucio, sarebbe potuta diventare una cosa forte, importante e divertente. E lui la sentì, se ne innamorò, ci mise subito un bel riff di clarinetto all’inizio, aggiunse, cambiò, migliorò, la rese decisamente più “commestibile”, più adatta alle nostre due vocalità. E da questo 45 giri, registrato abbastanza in fretta, nacque quest’idea di fare un tour assieme. Un tour di cui in non avevo assolutamente valutato l’importanza a cominciare dai numeri. Allora io lavoravo tenendo ben distinto l’elemento artistico dalla questione botteghino-incassi. Solo molto tempo dopo colsi il grande successo e longevità di questo disco che a distanza di decenni continua a essere importante non tanto come sacra reliquia, ma per il peso artistico di queste due teste unite. Due facce così diverse che riescono nel miracolo di rendere sostanziale la loro unione! Non c’è nessuna alchimia pensata a tavolino alla base di questo disco. Il pubblico lo ha percepito e si è lasciato attrarre”.

Nel disco i duetti veri e propri sono soltanto due.

Si, tecnicamente erano due sole le canzoni che eseguivamo assieme, “Banana Republic” e “Ma come fanno i marinai”. Raramente le nostri voci sono insieme. In realtà il duetto non è solo somma di voci, ma condivisione di una atmosfera, di un palco, dare importanza a quello che sta facendo l’altro. Ciascuno restava sul palco quando cantava l’altro. Insomma, si avverte che c’è un’unione forte, una tensione comune”.

Il brano “Banana Republic” vero e proprio come nasce? Allegro e ironico, fa pensare a dei bancarottieri italiani in un resort di lusso a Santo Domingo o altra isola caraibica, un po’ annoiati e irritati…

Esattamente quello. Non è una musica originale, è la traduzione di un pezzo di Steve Goodman che mio fratello, più noto come Luigi Grechi (quello de “Il bandito e il campione”) mi aveva fatto conoscere. Mi piacque molto e cominciai a tradurlo un po’ per gioco un po’ per allegria. Quando la tournée era ormai decisa, pensammo che ci sarebbe voluto un altro pezzo da condividere oltre ai “Marinai”. Io feci sentire a Lucio il brano, a lui piacque. Non solo lo mettemmo nella scaletta del concerto, ma quel titolo innescò uno strano processo di fascinazione cosicché Ennio Melis, direttore della RCA, uomo di grande istinto, ci consigliò di chiamare il tour come il brano appena realizzato. “Mica la vorrete chiamare “I marinai” che sa di vecchio?”. Ci disse di chiamarla Banana Republic “perché è curioso e non si capisce cos’è” ”.

Il ruolo di Ron?

Sicuramente dei tre era il più attento alla calligrafia musicale del tutto, alla filosofia degli arrangiamenti, sempre pronto a mettere una toppa dove qualcosa sembrava scollarsi, il suo contributo era straordinariamente utile (fra l’altro suonava molto bene la chitarra). Lui ha lavorato più sulle cose di Lucio che sulle mie. I pezzi miei tipo “Bufalo Bill”, “Quattro cani”, “Santa Lucia”, sono nel mio sound anche se dentro Ron ci sta benissimo”.

Cosa significa, a distanza, aver vissuto questa avventura?

Eravamo come in una bolla di inconsapevolezza o di “non cale”… Io non sentivo di aver avuto nessuna promozione rispetto ai concerti che facevo da solo, dove poi venivano anche 3-4 mila persone. Nulla a che vedere con le 50 mila persone che certe sere Banana Republic richiamava”.

8 giugno del 1979. In un servizio da Rimini in cui tu e Dalla lanciate l’operazione, io osservo che Milano non viene toccata dal tour. E maliziosamente azzardo delle ragioni: De Gregori era stato interrotto e insultato da membri dell’autonomia operaia qualche anno prima durante un concerto al Palalido, mentre Dalla si era beccato un bottiglia incendiaria durante un concerto nel cortile del Castello Sforzesco.

Non so se fu per questo. Forse furono gli organizzatori a non voler rischiare. Da parte mia certo nessuna ritorsione, rivalsa o voglia di punire una città per un episodio che riguardava una minoranza rissosa e rumorosa… continua

LUCIO DALLA

FRANCESCO DE GREGORI

 

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