Ho sempre saputo che una volta conseguito il diploma di Assistente per l’Infanzia non sarebbe stato facile trovare un posto di lavoro. Oltretutto nel riordino delle qualifiche, alla mia era stata tolta la possibilità di entrare nella scuola materna, nonostante il programma del primo anno fosse tutto incentrato su ciò che riguarda il bambino dai 3 ai 6 anni, compreso un consistente numero di ore di tirocinio presso una scuola materna. Aspetto questo, del tirocinio, che rendeva particolarmente innovativo l’indirizzo che avevo scelto, già nuovo di per sè perchè più a carattere psicopedagogico, rispetto a quello equiparato e più medico della puericultrice.
Acquisire il sapere del tradurre la teoria in pratica in campo lavorativo è un aspetto del tutto trascurato dalla scuola italiana ed è un peccato perchè permette di acquisire più consapevolezza del proprio ruolo e rinforza le motivazioni che ti hanno spinto a fare quella scelta; oppure nella peggiore delle ipotesi, ti rendi conto che forse non sei fatto per quel mestiere e sei ancora in tempo per cambiare.
Aspettando le risposte alle domande spedite ai vari enti, dirottai il mio intento verso quelle attività che il territorio offriva. Uno dei miei fratelli m’informò che un guantificio vicino al suo luogo di lavoro stava cercando personale, era uno dei lavori con lo stipendio più basso, ma vabbè… sarebbe stata una nuova esperienza per me e qualcosa avrei guadagnato comunque, e poi lì lavorava anche la mia amica d’infanzia e sarebbe stato bello condividere con lei questa esperienza. Infatti mi trovai benissimo, c’era un gruppo di donne di varie età ben affiatato e regnava una bella armonia, forse per merito della caporeparto, la figlia del proprietario, una persona buona ed estremamente positiva, che nei momenti critici sapeva usare l’ironia come piace a me. Il primo giorno mi sedetti davanti alla macchina da cucire, sapevo usare quella a pedale, ma questa era elettrica… mi si accostò l’operaia più anziana che con molta cortesia e con metodo mi spiegò cosa dovevo fare. Il mio compito era cucire il dito pollice dei guanti da lavoro in crosta, le altre a catena avrebbero cucito il resto. Fu contenta di me perchè imparai con scioltezza e mi rassicurò del fatto che ero sulla strada giusta per acquisire in breve tempo qualità e sveltezza. Ciò fu molto importante perchè mi motivò a dare il meglio, in aggiunta al fatto che mi divertivo parecchio in quell’ambiente, perchè momenti di totale dedizione al lavoro erano intercalati a brevi momenti di puro divertimento, messi in atto proprio dalla caporeparto che tra battute spiritose e scenette sapeva stimolare l’aspetto giocoso del mio carattere, che esprimo solo in determinate situazioni. Per cui fu un colpo infertomi tra le costole, quando solo dopo il primo mese di prova alla mia seppur misera prima busta paga, con un certo fare da commediante, mi fu detto dal datore di lavoro: che sì… facevo bene il mio lavoro… però ero troppo lenta… che al giorno dovevo produrre tot pezzi… però rendevo poco… Così scoprii che quando uscivo dal laboratorio lui andava a contare i pezzi e poichè nessuno mi aveva messo al corrente di questo, lo sentii come un tradimento alle spalle. Fu un vero e proprio colpo basso per me, non in quanto mi sentissi offesa, ero delusa: avendo avuto conferma che stavo facendo qualitativamente un buon lavoro, e che un mese era poco per poterlo giudicare da un punto di vista quantitativo, a me il suo risultava essere un atteggiamento fin troppo pretenzioso, quasi arrogante, un giocar sporco con la mia presunta ingenuità di diciassettenne e in quel preciso istante decisi che non avrei più lavorato per lui… e glielo dissi. Allora voltò registro, cominciò a dire che sì, avevo solo bisogno di tempo… che avrebbe avuto pazienza… che mi avrebbe dato un’altra possibilità… ed ebbi conferma della mia intuizione, ma ero già determinata a non tornare più sulla mia decisione, anche se mi dispiaceva per le ragazze perchè so che ci tenevano a me, ma nessuno mi avrebbe smossa.
Non cedette di fronte alla mia risolutezza, anzi andò ben oltre, tentò di attaccare la mia autostima. Mi chiese dove avrei pensato di trovare lavoro. Gli dissi con semplicità che il mio desiderio era lavorare in un asilo nido, egli affermò con una certa presunzione che sarebbe stato impossibile! Proprio così mi disse, conosceva la situazione perchè faceva parte del Consiglio di Amministrazione del Comune, come se non esistessero altri asili nido… vabbè… Replicai con la possibilità di lavorare in ospedale come puericultrice e anche lì tentò di mortificarmi… Allora gli dissi che avrei tentato nel settore della concia delle pelli e anche lì ebbe qualcosa da dire, ma gli chiusi la bocca con il fatto che a differenza del salario da fame che lui mi offriva, là avrei guadagnato sicuramente molto di più con un stipendio da operaia e si arrese.
Era un tardo pomeriggio estivo con un caldo afoso, c’erano grossi nuvoloni scuri su un cielo azzurro intenso, avevo perso il passaggio in auto di mio fratello che lavorava lì vicino e dovevo fare circa quattro chilometri a piedi. Sapevo già che mia madre si sarebbe arrabbiata molto con me, perchè spesso citava un principio-base: mai lasciare un posto di lavoro senza prima averne trovato un altro! Ma io mi sentivo troppo bene! Mi ero tolta un peso che mi opprimeva e per strada mi lasciai andare a un pianto liberatorio che si mimetizzò sul mio volto ai primi goccioloni di pioggia, che presto divennero un vero e proprio diluvio. Ben si accostava al mio stato d’animo in rivolta. Una sensazione imparagonabile!
Rientrai a casa fradicia ma con il sorriso, mia madre si limitò a scrollare il capo… credo che avesse capito ma non poteva contraddire il suo principio. Due anni dopo, lasciata la conceria, entrai a lavorare in ospedale in qualità di ausiliaria e un giorno sulle scale incontrai la figlia del mio ex datore di lavoro, ci salutammo velocemente e lei mi strizzò l’occhio e mi disse contenta: “Gliel’hai fatta proprio vedere al prepotente di mio padre! Era convinto non ce l’avresti mai fatta…”.
Quando lei ebbe un figlio ci reincontrammo in asilo nido, dove lavoravo da un po’ e mi confidò che qualche anno dopo che me ne ero andata, suo padre chiuse l’attività. Tornarono indietro parecchie partite di guanti difettose… le cuciture erano talmente malfatte che indossandoli si sfondavano. Non riuscì più a far quadrare i conti e dovette dichiarare il fallimento della ditta. Sapevo che lei era in conflitto con il padre e non condivideva affatto la sua filosofia di vita, in un certo qual modo io rappresentavo la sua rivincita nell’aver tenuto fede a me stessa e alla mia dignità e aver dimostrato che i sogni possono diventare realtà. 😏
Leda
LA PREPOTENZA
“La prepotenza è composta da tre elementi essenziali: il primo elemento è che è una violenza intenzionale, noi usiamo due termini violenza e prepotenza, perché la violenza è si prepotenza, ma è una violenza specifica, cioè è intenzionale, il prepotente sa ciò che vuole fare e lo fa perché vuol farlo; il secondo elemento è costituito dal fatto che ogni atto di prepotenza tende a creare una dismisura, a portare uno squilibrio, a creare una rottura delle relazioni; ed il terzo elemento è dato dal fatto che la prepotenza tende a creare almeno una vittima o più vittime, spesso interi popoli sono vittime, interi continenti sono state le vittime! Se si mettono insieme questi tre elementi si vede che la prepotenza agisce nell’arco delle 24 h… praticamente ovunque, sul lavoro, a scuola, nei rapporti di coppia, nel rapporto genitori e figli, tra gli eserciti, nella politica, nella diplomazia. La prepotenza è quel modo di agire di pensare per cui si tende a sottomettere l’altro: questa è l’essenza della prepotenza”.
Qual è il mondo che entra nel terzo millennio?
“Esattamente quello che è stato prodotto dai secoli precedenti e in particolare da questo dalle grandi forze della prepotenza. Quello che io chiamo “il mondo rovesciato“, cioè un quarto dell’umanità sopra nell’opulenza che controlla tutto: le leve della finanza, del potere, dell’economia, il dollaro, i satelliti delle comunicazioni; e i tre quarti sotto nella disperazione, nella miseria. Mentre stiamo parlando ogni otto secondi un bambino è costretto a morire di fame!”.
Nella realtà del mondo niente è neutro: la prepotenza invece, predica la neutralità di tutto, in primo luogo è l’economia ad essere presentata come neutra. Vogliamo approfondire il concetto?
“Il più grande trucco che consente alla prepotenza di affermarsi è quello di non palesarsi ma di occultarsi, di mascherarsi, di camuffarsi. La neutralità è una delle sue maschere principali. Sull’economia tutto ciò è ancora più evidente, l’economia viene infatti presentata come quella scienza che teoricamente dovrebbe organizzare le risorse per l’insieme degli esseri umani, in pratica invece viene organizzata per l’arricchimento di una minoranza”… continua
di Marina Pellitteri – Il fiume della prepotenza. A colloquio con Mario Capanna (politico e scrittore italiano. È stato fra i principali leader del Movimento giovanile del Sessantotto)
Le donne lo sanno – Luciano Ligabue (2006)