Nel film Il capitale umano, durante il consiglio di amministrazione l’ultimo intervento, che finisce per banalizzare il progetto di Carla, è quello del politico, dell’assessore, il quale:
– SENTE ciò che si dice, ma della materia sa ben poco,
– DISPONE di  una tecnologia in grado di dargli quel sapere, ma
– NON LA USA in quel senso, ma piuttosto ne è DISTRATTO.
È un personaggio controverso, proprio del nostro tempo.

Egli esprime una mediocrità che lascia senza parole, ma esprime anche una grande verità: la cultura dell’arte è stata messa all’angolo, spiazzata e rimpiazzata da una cultura che svuota il cervello. Dopo aver lavorato tutto il giorno come uno schiavo, uno non può star lì a pensare, ha bisogno di rilassarsi, no?

Quella dell’arte è una cultura da snob, relegata a una élite di sfaccendati. Tutto ciò che è arte risulta inutile a meno che non si possa ricavarne del denaro. Ma è un’élite disorientata, che man mano perde di credibilità e abdica, cedendo il passo al nuovo che avanza. Così i più alti valori di cui l’arte nutre e si nutre, non più compresi, difesi e condivisi, appaiono ai più inutili zavorre, come tutto ciò che si è costruito intorno. L’arte così viene abbandonata a se stessa, svenduta, eliminata dalle scuole, come eliminati sono stati i teatri e molte sale cinematografiche.

Del resto parte di quell’élite ha peccato di presunzione snobbando la cultura popolare, considerandola inferiore, volgare per la sua semplicità e genuinità, quando in realtà fin dagli albori delle civiltà è stata fondamentale mezzo di trasmissione della conoscenza. Così che il coro di voci, citato dall’assessore, non risulta solo un gruppo di persone che canta, ma è espressione di una cultura fatta di sentimenti ed emozioni, atta a ricordare quali sono i VERI valori irrinunciabili, il capitale umano, appunto, di una società sana e costruttiva.

E a Carla non resta che concludere altrettanto banalmente con la frase:

«Che dite, faccio portare del te, del caffè… biscottini…»

Che poi tanto banale non è. Mi viene in mente una scena di un altro film, rimasta stampata nella mia memoria.

Quella dell’ironica quanto battagliera Tess McGill (Melanie Griffith) in Donna in carriera, un film commedia di Mike Nichols del 1988, ambientato nel mondo competitivo dell’alta finanza.
Tess, la giovane segretaria impiegata nel settore fusioni e acquisizioni, conscia delle proprie capacità aspira a fare carriera, ma è determinata a non scendere a compromessi. Ella ha un’intuizione circa un progetto finanziario, ma il suo “boss” Katherine Parker (Sigourney Weaver) la raggira e le “soffia” l’idea. Ma non finisce lì…

Al contrario di Bud Fox (Charlie Sheen) che scende a gravi compromessi nel film Wall Street diretto da Oliver Stone nel 1987. Egli è un broker determinato nel voler lavorare per Gordon Gekko (Michael Douglas), un famoso e potente squalo della finanza. Offuscato dal potere e dal denaro, Bud sottovaluta i rischi e le conseguenze delle proprie azioni in un ambiente intriso di arrivismo, avidità e immoralità. Il film è uno spaccato del mondo della finanza degli anni Ottanta.

Nel 2010 Michael Douglas è nuovamente nei panni di Gekko nel sequel Wall Street – Il denaro non dorme mai per la regia di Oliver Stone. Rimasto a lungo fuori dall’ambiente finanziario, Gekko nel 2008 decide di pubblicare un libro per mettere in guardia il mondo finanziario da un’imminente crack che a breve andrà a colpire sia la cagionevole economia americana che quella mondiale. Ma viene snobbato, e considerato un vecchio rudere di un sistema economico ormai superato.
La prestigiosa banca d’affari Keller Zabel in seria difficoltà per aver investito troppo in titoli giudicati “tossici”, ovvero ad alto rischio, chiede ma non ottiene alcun aiuto dalle maggiori banche del paese ed è la prima a cadere. Altre seguiranno come in un effetto domino. Tutto il mondo finanziario in breve crolla e tutte le banche chiedono al governo il denaro per sopravvivere.
Nel film riappare anche Bud Fox (Charlie Sheen), personaggio che ha avuto un’evoluzione negativa, una sorta di nuovo Gekko disposto a tutto per guadagnare più soldi.

«Siete nella cacca fino alle orecchie. Ancora non ve ne rendete conto, ma siete la generazione dei tre niente: niente lavoro, niente reddito, niente risorse. Davvero un gran bel futuro. Ehm, qualcuno mi ha ricordato qualche sera fa che una volta ho detto: «l’avidità è giusta»… a quanto pare è diventata legge. Perché, vedete, è l’avidità che spinge il mio amico barista a comprare tre case che non può permettersi senza dare l’anticipo; ed è l’avidità che spinge i vostri genitori a chiedere un mutuo di 250.000 dollari sulla casa che ne vale 200. E con quei 50, correre al centro commerciale a comprare la TV al plasma, l’ultimo cellulare, il computer e già che ci sono anche un SUV. E perché non anche la seconda casa? In effetti conviene. Insomma, lo sappiamo tutti che il prezzo delle case in America sale sempre, giusto? Ed è l’avidità che ha spinto il nostro governo a ridurre il tasso d’interesse all’1% dopo l’11 settembre perché tornassimo tutti a fare shopping».

«Guardi oltre le sbarre e dici “Ehi, ma là fuori sono diventati tutti matti?!”. È chiaro come il sole, basta fare un po’ di attenzione: la madre di ogni male di oggi è la speculazione, il debito indotto. In conclusione, il vero nemico è il prestito, è ora di riconoscere che è un biglietto sicuro per la bancarotta, senza ritorno. È sistemico, maligno, ed è globale come il cancro. È una malattia, e dobbiamo combatterla.

Datemi i giovani, gli affamati e gli stupidi
e in men che non si dica, li faccio diventare ricchi.

Protagonista del film The Wolf of Wall Street del 2013 diretto e prodotto da Martin Scorsese è Jordan Belfort, uno spregiudicato broker newyorkese  interpretato da Leonardo DiCaprio. La pellicola è un adattamento del libro autobiografico Il lupo di Wall Street di Jordan Belfort (2007) in cui l’autore narra la sua ascesa e la sua caduta, e una vita fatta di eccessi.

Dopo aver iniziato come apprendista a Wall Street nel 1987 sotto la guida dell’eccentrico Mark Hanna, Belfort ha modo di apprendere uno stile di vita esagerato basato sul sesso e sull’assunzione di stupefacenti di ogni tipo al fine di aiutare la mente a raggiungere importanti risultati; impara anche a compiere azioni disoneste guadagnando molti soldi.
Il giorno della sua assunzione come broker presso l’azienda di investimenti L.F. Rothschild, coincide con l’improvviso crollo della borsa, il cosiddetto “lunedì nero” (il 19 ottobre 1987). L’azienda fallisce e lui rimane senza lavoro. Grazie alla sua verve aggressiva e convincente, riprende in mano la sua carriera aprendo uno studio che ben presto diventa una società: la Stratton Oakmont, dietro alla cui apparente rispettabilità si cela un complesso giro di truffe.
Jordan conduce una vita sconsiderata e ben presto diventa dipendente da cocaina e quaalude.

Questi uomini, arrivisti sempre pronti a nascondersi dietro qualsiasi pretesto, sono disposti a usare la violenza e a rinnegare ogni cosa, persino i propri figli se mettono loro i bastoni tra le ruote.
Così l’esaltazione poetica di Russomanno, nel  film Il capitale umano, il suo amore per una musa una volta deluso si trasforma in violenza. Ha perduto il suo giocattolo.
Un figlio, che giudica la dea-madre. Non sa accettare che la madre nel bene e nel male, è anche una donna.

La superbia domina la nostra epoca, ed è considerata il peccato peggiore tra i sette vizi capitali, vizi che coltivano il male e causano la morte dell’anima. Ognuno di noi pecca di superbia ogni qualvolta si crede migliore di altri. La Chiesa stessa in passato ha peccato di superbia.
Gesù disse ai suoi discepoli «Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura» (Bibbia, Nuovo Testamento).
Conoscendo gli insegnamenti di Gesù certamente non può avere inteso l’opera di conversione (proselitismo) perpetrata dalla Chiesa cattolica su altri popoli, che fu una delle cause di contrasto con le sorelle Chiese ortodosse.
Non può avere inteso lo scontro armato tra eserciti ebraici, cristiani, musulmani e le Crociate in Terra Santa, e tanto meno il sado-masochismo del periodo dell’Inquisizione, che di divino aveva ben poco.
Tutto ciò più che portare luce ha portato il buio.

La libertà di pensiero ci permette di imparare da quei fatti e di leggerli in modo diverso; vedendoli distaccati dalle consuetudini del tempo ci appaiono per quello che sono: atti coercitivi prodotti dalla convinzione di possedere l’unica verità. Nei fatti la Chiesa ha peccato di superbia, sostituendosi a Dio decidendo della sorti di altri popoli.

Durante il Giubileo dell’anno 2000 nella “Giornata del Perdono” Giovanni Paolo II ha chiesto sette volte perdono per le colpe storiche e attuali di cui gli uomini di Chiesa si sono macchiati.
Sette cardinali durante la messa papale hanno letto le sette «invocazioni» di perdono, a ognuna delle quali il Papa ha risposto, a nome della Chiesa, con altrettanti impegni perché simili errori non vengano MAI PIÙ compiuti.
Un «mea culpa» epocale sui duemila anni di storia, un atto di umiltà senza precedenti storici, che si è concluso con una preghiera universale e ha aperto un processo di cambiamento.

La vera fede sta nella libertà di pensiero, nel capire ognuno ciò che si fà nel bene e nel male e che cosa si produce, così da superare i sensi di colpa nello sforzo di elaborare quei principi che danno valore alla nostra vita e che tradotti negli atti quotidiani producono il cambiamento verso una visione migliore del mondo. Rimanere nelle proprie convinzioni seguendo delle certezze, inglobati nella massa, così da non sentirsi “diversi” è rinunciare a se stessi, è infossarsi in una stasi dove ciò che è male è colpa degli altri (si trova sempre qualcuno da perseguitare) e ciò che è bene è frutto della bontà divina (chi sia il divino è poi tutto da vedere). Anzichè essere protagonisti della propria vita la si subisce, destinati a ripetere gli stessi errori. Un circolo chiuso in cui il prodotto è la sfiducia in se stessi e negli altri, come Rosanna, che nega il valore di tutto e non crede in niente. Un alibi perfetto per non fare nulla, perchè le cose rimangano immutate, che si fa meno fatica, poi. Si delega a qualcun altro il compito di regolare il tutto, senza rendersi conto di correre un rischio più grande, di cui ci si accorgerà poi, quando sarà troppo tardi.

Così è anche per i fondamentalisti di ogni religione, di ogni cultura, superbamente convinti di avere l’assoluta verità, di avere il potere di estirpare il male… quello degli altri. S’illudono di essere i soli ad esserne immuni, quando invece ne sono i promotori, seminando diffidenza e odio verso chi è diverso da loro. Pare che nemmeno se ne rendano conto.
Il male e il bene sono entrambi parte dell’uomo; se non sapessimo cos’è il male come potremmo comprendere ciò che è il bene? Non a caso si dice che sbagliando s’impara. Illudersi di possedere l’unica verità inevitabilmente porta a scontrarsi con altre verità, perchè ognuno fa riferimento all’ambiente in cui è cresciuto e si è formato. Se invece con un po’ di buon senso ci si sforzasse di mettere insieme queste verità e si cercasse un punto di unione, in un equilibrio tra il bene e il male nel rispetto della libertà di ognuno, si scoprirebbe che la verità sta nel mezzo.

«La mia libertà finisce dove comincia la vostra»

Martin Luther King

solo così si può raggiungere la pace, il quieto vivere.


La scena del film Nostra Signora dei Turchi che il professore Russomanno propone di rivedere insieme a Carla, è una delle scene più dissacranti del film di Carmelo Bene.

“Santa Margherita compare da una magica nebbia mentre va a tutto volume ‘Musica proibita’ e ripete come un disco rotto ‘ti perdono, ti perdono’. Poi ricompare a letto, fra le lenzuola, vestita di tutto punto, con tanto di aureola, mentre fuma e sfoglia ‘Annabella’ e torna poi ossessiva con un altro ritornello mitico ‘ti cambio le bende’.

da carmillaonline

Nostra Signora dei Turchi è un film che Carmelo Bene diresse nel 1968, tratto dal suo omonimo libro che dà una dimensione leggendaria alla strage di Otranto (1480) da parte dei turchi di Maometto II, in cui ottocento cristiani rifugiati nella cattedrale vennero decapitati dopo aver rifiutato l’abiura (rinnegare la propria religione).
Il “lui” del film è un superstite, scampato alla decapitazione perché il suo carnefice, convertito al Cristianesimo, venne crocefisso. Così viene spiegato dalla voce fuori campo di Bene.


Ritornando al film Il capitale umano, tra i personaggi quello che ha maggior equilibrio è Roberta, ma è una figura impotente perchè parla di cose troppo astratte per essere ascoltata da una società materialista che ha messo in cima a tutto il profitto e il successo. Si concentra così sul suo bambino, che rappresenta il nuovo che avanza, la speranza che le cose cambino. Ma è fondamentale che il cambiamento avvenga anche in quelli che per lui saranno i suoi punti di riferimento sociali.

Luca ne è un esempio. Lo sgangherato Luca, che sta scontando una pena ingiusta per possesso di droga, sorprenderà per i suoi alti principi morali. Il peccatore che si rivela martire, a cui il destino non ha ancora smesso di complicargli la vita. Il fato ha deciso di metterlo ancora alla prova. È l’unico che in tutto il film brilla di luce propria e insieme a Serena vince sulla mediocrità.

Che dire, da questo film emergono tutte le sfaccettature e le contraddizioni della nostra epoca, se da un lato si è acquisita una maggiore sensibilità verso il valore della vita, dall’altro si è acconsentito diventasse un bene commerciale, usa e getta, al servizio del dio denaro, l’unico da idolatrare, a cui tutto è lecito sacrificare.
Alcuni, come il Bernaschi si sono creduti dei venerabili nel produrre una narcisistica illusione, nel far credere di vivere nel paese di Bengodi.

«Ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva.»

Giovanni Boccaccio (1313 -1375) nel suo Decamerone, opera iniziata proprio nel periodo in cui a Firenze era scoppiata un’epidemia di peste, raccontava delle delizie del paese di Bengodi, dove chi più dorme più guadagna.
Il paese della cuccagna… sono citazioni di saggezza di cui in passato ci siamo nutriti, educati, nel diffidare dei guadagni facili, delle scorciatoie, della gratuità delle cose. C’è sempre un prezzo da pagare.

«Ma Renzo non ardiva creder così presto a’ suoi occhi; perché, diamine! non era luogo da pani quello. — Vediamo un po’ che affare è questo — disse ancora tra sé; andò verso la colonna, si chinò, ne raccolse uno: era veramente pan tondo, bianchissimo, di quelli che Renzo non era solito mangiarne che nelle solennità. — È pane davvero! — disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: — così lo seminano in questo paese? In quest’anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo, quando cade? che sia il paese di cuccagna questo? — … »
(Alessandro Manzoni, I promessi sposi)

Nella foto Paola Pitagora e Nino Castelnuovo nell’omonimo sceneggiato televisivo del 1967 diretto da Sandro Bolchi.

Così come in veneto si usa dire: «I schei guadagnà sensa lavoro i xè del diavolo», nel senso che il denaro guadagnato senza fatica non gli dà la giusta dimensione, e cioè quella di essere soltanto un mezzo per migliorare la propria vita e quella degli altri, così da garantire il bene comune: la felicità, la libertà e la pace.
Chi accumula denaro soltanto per arricchirsi invece, ne diventa schiavo e non si accontenta mai, s’incattivisce e spesso rimane solo, senza il bene vero degli affetti. Come Paperon de Paperoni nel ruolo di Ebenezer Scrooge, protagonista di Canto di Natale di Topolino. Se tutti sapessimo accontentarci non ci sarebbe disparità, la fame nel mondo e nemmeno le guerre.

Spesso sento dire che oggigiorno siamo investiti da un’overdose di informazioni e per paradosso c’è sempre più una scarsa conoscenza. Se da
un lato non ci si sofferma più, il tempo necessario per riflettere, dall’altro spesso l’informazione è fine a se stessa, e mancando una conoscenza di base che aiuti a estrapolare i significati, non ne rimane nulla e difficilmente si riesce ad elaborare un’opinione personale. Si crea così un circolo vizioso e la tendenza a non saper più distinguere tra chi fa buona informazione e chi bla bla bla, ti racconta “la storia dell’orso”.

Leda

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